Missioni Consolata - Ottobre 2018

72 MC OTTOBRE2018 4 chiacchiere con... Dopo intensi momenti di preghiera e lunghe ri- flessioni fu chiaro che il disegno che Dio aveva preparato per voi era piuttosto originale. Difatti una sera egli mi confidò che avvertiva nel profondo della sua coscienza in maniera molto chiara la chiamata a diventare sacerdote. Allora compresi che con il mio sentimento genuino di amore, Dio mi chiedeva di amarlo come «sacer- dote» e «santo». Per cui il primo ottobre 1951, di comune accordo realizzammo quello che si chiama «sposalizio mi- stico», insieme ci consacrammo a Maria Immaco- lata perché presentasse questa nostra «piccola of- ferta» a suo figlio Gesù: Ángel sarebbe diventato sa- cerdote ed io mi sarei consacrata a Dio nel mondo o dove il Signore mi avrebbe indicato. E cosa avvenne dopo? Il primo aprile 1952 prendemmo l’impegno di sepa- rarci «a causa di Dio e per Dio» e il dieci dello stesso mese lui partì per l’Europa dove avrebbe terminato i suoi studi di medicina e iniziato quelli di teologia per il sacerdozio. Nei mesi seguenti gli scrissi una gran quantità di lettere incoraggiandolo ad andare avanti sulla strada intrapresa per seguire la sua vo- cazione. Immagino che anche per te nella nuova situa- zione venutasi a creare cambiarono molte cose. Partecipando agli Esercizi spirituali dell’AC nel gen- naio del 1954, anch’io giunsi a prendere una deci- sione fondamentale per la mia vita, decisi di consa- crarmi completamente a Dio nel Carmelo, realiz- zando quello che era un po’ il ritornello della mia vita fin dall’adolescenza, quando espressi il mio ideale di vita cristiana in una formula: «T 2 0S», ad imitazione delle formule chimiche che vedevo nei miei libri e che stava a significare «Tutto Ti Offro Si- gnore». E con un’autentica grande gioia nel cuore, donai a Gesù tutta me stessa: la mia giovinezza, il mio amore, l’impegno del mio apostolato. E così il 2 febbraio del 1954, festa della Presen- tazione di Gesù al tempio, varcasti la porta della clausura e, con il sorriso sulle labbra, at- torniata da tutta la tua famiglia che tanto amavi, entrasti nel Carmelo di Asunción. Alcuni giorni dopo il Signore iniziò il suo lavoro di purificazione della mia persona facendomi attraver- sare quella che i mistici chiamano «la notte dello spirito». L’incertezza sulla scelta fatta si impossessò di me. Pensavo che forse era stato un errore la- sciare il mondo, dove svolgevo tanto bene i miei molteplici impegni; che chiudermi in clausura era come mettere la lampada sotto il moggio. Del resto, è abbastanza scontato che in questa fase della tua nuova vita potessi avere qualche momento di timore e apprensione. Devo dire che l’apice dell’oscurità lo raggiunsi du- rante gli Esercizi Spirituali prima della vestizione so- lenne, ma a poco a poco queste paure si dilegua- rono. Nella nuova vita al Carmelo cominciavo a spe- rimentare la vicinanza dell’Amato a cui chiedevo in- sistentemente una cosa sola: «Amore per amare». Finalmente il 14 agosto del 1955 ricevetti l’abito claustrale del Carmelo. Ti sentivi pienamente realizzata come donna, come religiosa e come monaca. La mia vita nel Carmelo non poteva essere più sem- plice e gratificante, infatti non facevo altro che amare, amare e amare di più Gesù e i suoi fratelli, ovvero gli esseri umani di tutto il mondo, a qualun- que continente o popolo appartenessero, soprat- tutto i più poveri ed emarginati. Un sentimento speciale lo coltivavo per le mie consorelle di comu- nità, per i sacerdoti, che avevo sempre presenti nelle mie preghiere, a cominciare dal mio «amico» che si preparava al sacerdozio, per i poveri e gli umili. Il 15 agosto 1959 avrebbe dovuto essere il giorno del suo impegno definitivo di amore con il Signore, con la professione perpetua solenne. Ma María Felicia «sentiva» che Lui voleva incontrarla prima, e lei come sempre era pronta. Nel gennaio del 1959, le fu diagnosticata una epatite infettiva. Fu portata alla Croce Rossa per essere debitamente curata. In effetti, durante la Quaresima, poté es- sere dimessa. Ritornò al suo amato piccolo mona- stero. Si dedicò alla vita monastica con tutta la sua generosità unita al desiderio sempre più vivo d’im- molazione. Giunse la Settimana Santa e si unì spi- ritualmente alla Passione di Gesù, mettendo a di- sposizione tutta la sua creatività piena di fantasia ed amore. Il Venerdì Santo, il cappellano, dandole la comu- nione, notò un livido nella lingua. Il sabato comin- ciarono a manifestarsi macchie di sangue che la domenica ed il lunedì di Pasqua si moltiplicarono. Il martedì una grave emorragia allarmò la Madre priora che fece venire immediatamente Freddy Guggiari, il fratello medico. La diagnosi fu imme- diata: «Porpora trombotica». Il giovane dottore uscì singhiozzando dalla stanza dell’inferma: «Essere medico e non poter salvare mia sorella!». Ricoverata di nuovo nell’Ospedale della Croce Rossa, cominciò il suo Calvario, la sua unione definitiva con la Croce, con una pazienza e un’allegria incredibili. Chi la vedeva anche solo per pochi istanti diceva: «È un’altra Teresina di Lisieux». Lei però desiderava tornare presto al Carmelo e il Signore la accompagnò al Carmelo del Cielo. Ogni giorno era circondata dai suoi familiari a cui María Felicia ripeteva: «Sono felice di morire nel Carmelo!», anche in quei momenti non si spense mai il sorriso sulle sue labbra. Alle quattro del mattino del 28 aprile, la si udì bi- sbigliare: «Gesù, che dolce incontro! Vergine Ma- ria!». Furono le sue ultime parole prima di entrare nel Regno dei Cieli. Don Mario Bandera

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