Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2018

62 MC AGOSTO-SETTEMBRE2018 I giovani coreani D i quali giovani parlare? Qui le cose cambiano rapidamente: chissà che tipo di giovani avremo fra 10 anni? Chi ha più di 50 anni quando era giovane ha dato tutto per il «miracolo economico» della Corea. I 40enni sono gli eroi della lotta contro la dittatura militare. I 30enni hanno avuto la vita più facile: la nazione era diven- tata ricca e le famiglie molto piccole. I 20enni hanno avuto la vita ancora più comoda ma adesso fanno fatica a trovare un lavoro e spesso riman- dano matrimonio e figli perché l’economia non tira più come prima. Chi ha meno di 20 anni è sicura- mente cresciuto con un telefonino in tasca e il computer davanti al naso. Però c’è un’esperienza che li accomuna tutti, e per quanto ne so, lo stesso capita per i paesi di cultura confuciana (Cina, Giappone, Taiwan, Singapore, Hong Kong): la scuola. Fino all’asilo i bambini possono fare quello che vo- gliono, nessuno li rimprovera. Ma dalla 1ª elemen- tare vengono «intruppati» nel sistema e da quel momento è solo studiare, studiare e studiare. E fare tutto il possibile per essere ai primi posti. Qui l’educazione è intesa come: «L’allievo è un conteni- tore vuoto che deve essere riempito dal maestro». E la scuola normale non basta. Appena finito si va alle cosidette Accademie per approfondire in- glese, matematica, piano, tae kwon do (taekwondo, un’arte marziale) ecc. È normale per uno studente coreano uscire di casa al mattino alle 7 e ritornare alla sera alle 10 o alle 11. Molti anni fa, durante le mie prime esperienze di confessione in coreano, ho capito che quando mi parlavano in modo comprensibile erano peccati normali, quando invece parlavano difficile, con molti vocaboli di origine cinese, erano cose grosse. Un giorno è venuta una ragazza e mi ha detto: «Io sono ko sam ». Per stare sul sicuro le ho raccoman- dato: «Quella roba non farla mai più». Che canto- nata. Anche il più sprovveduto dei coreani sa be- nissimo che ko sam vuol semplicemente dire: «Sto frequentando il terzo anno delle superiori e mi pre- paro all’esame di entrata all’università per cui non esco di casa, non vado con gli amici, non vado a messa, e dal mattino alla sera è solo studio». Dal mattino alla sera è un eufemismo: sulle pareti di molte scuole c’è questa scritta: «Più di 4 e non ce la fai». Cioè: «Se dormi più di 4 ore per notte quando prepari questo esame non ce la farai a passarlo». Questo esame determina tutta la tua vita futura, chi sarai, quanto guadagnerai, che amici avrai. Ac- cedere a una università di prestigio è come en- trare in un club esclusivo, e, indipendentemente dai risultati e dalle materie scelte, i membri della stessa università si aiutano tra loro, ti assumono nella loro ditta, ti aiutano a far carriera. Pressione e competitività, a cui si è aggiunto di re- cente il fenomeno del bullismo, sono spesso causa di un grande numero di suicidi tra i giovani. Senza dimenticare che i giovani che escono da queste scuole saranno poi i dirigenti della Samsung, Lg, Kia, Hyundai, ecc. E che questi giovani, così legati alla loro terra e cultura, diventeranno quegli im- prenditori che non esiteranno un attimo a trapian- tare la loro piccola azienda, se qui non sarà più competitiva, in Cina, Indonesia o America Latina. V incenzo, missionario oblato di Maria Imma- colata, italiano che lavora molto nel sociale, mi ha parlato dell’emergenza nascosta di al- meno 200.000 ragazzi scappati di casa e mi ha de- scritto i cambiamenti avvenuti col tempo. All’inizio c’è stata la generazione del «doposcuola»: ragazzi COREA DEL SUD ria, mentre aspettavamo che fosse messa nella cassa, era- vamo alcuni familiari, e con lei lì presente tutti abbiamo speri- mentato una grande pace e unità. E non solo, sentivamo come una pioggia di grazie su tutta la famiglia, e in me una grande gioia del tutto innaturale e inspiegabile. La cosa è durata tre mesi e mi sono ritrovato a dirle: «Grazie mamma ma adesso basta grazie». Pastorale della pastasciutta Nel 2012, per un progetto di ur- banizzazione del governo siamo stati costretti a muovere la no- stra comunità di dialogo interre- ligioso da Okkiltong a Tejon, una

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