Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2018

22 MC AGOSTO-SETTEMBRE 2018 Prima quegli esseri mi facevano paura. Ma se nel malato psichia- trico vedi il volto di Gesù, non hai più paura». Da questo momento ogni sera Grégoire gira la città per portare a queste persone acqua, cibo cucinato da Léontine, vestiti puliti. I «matti», per lo più mal- trattati o ignorati, accettano la sua presenza. In breve diventano quasi una ventina quelli incon- trati ogni notte. Ma Grégoire non si dà pace: «Finito il giro, io e gli altri volontari tornavamo tran- quilli a casa, mentre loro resta- vano in strada abbandonati a se stessi, in balia di qualunque peri- colo». Perciò chiede e ottiene da uno psichiatra francese di acco- glierli nell’ospedale di Bouaké; in cambio l’ Association Saint Ca- mille si deve accollare i costi di cibo e farmaci. Il numero di rico- verati aumenta in maniera espo- nenziale: preti, missionari, citta- dini si mobilitano per far arrivare aiuti, ma anche per segnalare al- tri malati di strada da raccogliere e portare all’ospedale. Lo spazio manca, c’è sovraffollamento. Nel ‘93 il ministro della Sanità ivoriano viene a conoscenza del lavoro della Saint Camille e de- cide di assegnarle 2.400 m² di ter- reno all’interno del recinto ospe- daliero per creare un nuovo cen- tro di accoglienza. L’associazione però non ha i soldi per costruirlo: gli amici e i volontari, sia laici che religiosi, invitano Grégoire a desi- stere. Non bastano i soldi per le medicine, come pensare a un nuovo edificio? Ma lui non sente ragioni: «Dobbiamo fidarci della Provvidenza, questa è l’opera di Dio, non la nostra. Penserà lui a tutto». Il 14 luglio del 1994 nasce il primo centro d’accoglienza per malati psichici della Saint Camille (il 14 luglio è San Camillo, ndr ). Crocifissi viventi Nello stesso anno, alla vigilia della domenica delle Palme, accade un fatto inaspettato: sul far della sera Grégoire riceve la telefonata di una donna che gli chiede di an- dare a soccorrere il fratello, ma- lato di mente, da tempo tenuto imprigionato dalla famiglia. «Ero sbigottito, era la prima volta che sentivo parlare di malati incate- nati», ricorda Grégoire. «Mi sono subito messo in viaggio, ma arri- vato al villaggio mi sono scon- trato con i genitori del ragazzo che non volevano farmi entrare in casa. Dicevano: “Ormai è marcio, non si può fare nulla”. Io insistevo per vederlo, i toni sono saliti, ho minacciato di chiamare la polizia e alla fine il capo villaggio mi ha fatto entrare. Avevo visto decine di malati psi- AFRICA DELL’OVEST Sopra : tre malati nel centro di reinserimento di Bohicon, Benin. A destra e qui sotto : malati incatenati nel «centro di preghiera» presso Tabligbo, Togo. #

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