Missioni Consolata - Aprile 2018

Finita la guerra, tramontata l’ideologia del Leben- sborn, rimase solo l’onta subita dai più deboli, a cui seguirono la negazione e la rimozione del loro dramma in tutta Europa. I bambini nati da rela- zioni con soldati tedeschi furono dunque circon- dati da silenzio, imbarazzo, vergogna, senso di colpa e condanna sociale. Considerati «gli orfani del disonore», spesso subirono abusi, rifiuti, ab- bandono. Molti di loro ignorarono la propria ori- gine e così furono per sempre privati della loro vera identità. Tutti d’altronde avevano interesse a stendere un velo di omertà: le autorità dei vari paesi per esclu- dere ogni forma di relazione con i nemici di un tempo, proteggere i bambini da vessazioni, na- scondere una vergogna nazionale e così difendere la stabilità delle famiglie che cominciavano a riu- nirsi. Ma anche le madri stesse che avevano biso- gno di tenere nascosta la vera «disonorevole» ori- gine dei propri figli di fronte alla società. Solo nel 1985 il ministero della Giustizia tedesco ha affer- mato i diritti dei bambini che vogliono conoscere i genitori biologici e ha aperto l’accesso ai docu- menti rimasti negli archivi statali. Ultimamente i bambini di Lebensborn (ormai per- sone di una certa età) hanno trovato la forza di parlare e di rivelare le loro origini e hanno fondato un’associazione con lo scopo di fare emergere la verità storica e tutelarli di fronte alla legge. Nel- l’ottobre 2001, oltre 150 «figli della guerra» hanno intentato una causa contro lo stato norvegese per discriminazione, tortura, trattamento inumano e degradante. Benché la loro istanza sia stata re- spinta, hanno comunque ottenuto che lo stato fi- nanzi un progetto di ricerca per fare luce, dopo de- cenni di silenzio, sui traumi vissuti dai «bambini te- deschi». Hanno fatto anche ricorso contro il go- verno norvegese alla Corte europea per i diritti dell’uomo per violazione dei diritti dei bambini. Don Mario Bandera «fronte di guerra», in quanto la sessualità femmi- nile assume un significato prioritario: essa non è più solo una questione di decenza e virtù, ma anche di onore nazionale e di sopravvivenza. Si può dire che in queste circostanze l’intera visione della sessualità femminile viene stravolta. La possibilità di essere madre è considerata una ri- sorsa nazionale e dunque le relazioni tra donne del luogo e soldati nemici costituiscono una minaccia per l’intera popolazione e la donna che intrattiene tali relazioni è ritenuta colpevole non solo verso il codice tradizionale di comportamento sessuale, ma anche nei confronti della nazione. E questo l’avete vissuto in maniera acuta pro- prio in Norvegia, nella vostra terra, durante l’occupazione nazista. Dalle relazioni fra donne norvegesi e militari tede- schi vennero al mondo i così detti «figli della guerra» i quali furono immediatamente stigmatiz- zati due volte: non solo in quanto «bastardi», ma anche e soprattutto perché «bastardi tedeschi». La dubbia reputazione delle madri si proiettò sui figli e in maniera aberrante sulle figlie, considerate fin dall’adolescenza «disponibili», tanto che a volte esse stesse finirono per essere vittime di abusi ses- suali. Purtroppo, le cose non andarono in maniera molto diversa nel resto dell’Europa. Se le stime dei bambini nati nelle cliniche Leben- sborn si aggirano intorno ai 10mila, molti di più fu- rono i «figli della guerra», ossia i figli illegittimi di padri tedeschi e madri autoctone, tanto che - ad esempio - per la Francia si ipotizzano oltre cento- mila bambini figli di tedeschi, in Danimarca oltre 5.500, in Norvegia oltre 10mila, in Olanda almeno 8mila. MC R APRILE2018 MC 73 • Nazismo | Bambini | Lebensborn | Violenza sulle donne | Razzismo • # A sinistra : bambini durante un rituale di «battesimo» celebrato da membri delle SS nella clinica «Lebensborn e.V.» nel Rheinhessen dopo il 1939. | A destra : bambini nati nel progetto Leben- sborn.

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