Missioni Consolata - Aprile 2018

56 MC APRILE 2018 PERÚ N ueva Angusilla. Una semplicissima casa in legno rialzata da terra di circa un metro. Nessun mobile, un paio di sec- chielli (di plastica) con dell’acqua, qual- che indumento appeso a fili volanti. Una famiglia numerosa e allargata (genitori, figli, nipoti) acco- glie padre Fernando. In quanto amico del missio- nario, io sono un ospite da onorare come meglio si possa. E il meglio per una famiglia kichwa è offrire una ciotola colma di masato. È - lo confesso - un momento che temevo e che inevitabilmente si pre- senta. Tremo all’idea di dover ingerire quella be- vanda tanto gradita dagli indigeni quanto indige- sta per i non-indigeni, soprattutto se occidentali. Bere è un atto dovuto, segno di rispetto, ricono- scenza, amicizia. Bere è però anche un rischio certo di avere conseguenze fisiche immediate e si- curamente poco piacevoli. Anni di esperienze ne- gative mi vengono immediatamente alla memoria. Non c’è speranza di farla franca. È quasi matema- tico. Il masato ( aswa , in kichwa) è il nome di una bevanda molto co- mune in tutto il bacino amazzo- nico. È ottenuta a partire dalla yuca dolce (o manioca), una pianta con una radice a forma di tubero, commestibile e ricca di amidi. La sua preparazione è compito delle donne indigene. I tuberi vengono prima pestati e poi bolliti. La pasta ottenuta è quindi masticata dalle donne per provocarne la fermenta- zione. Da ultimo si diluisce la massa in acqua (quasi sempre di dubbia potabilità) e il masato è pronto per essere bevuto. Prendo la ciotola di… plastica tra le mani. Appoggio le mie labbra incerte sul bordo. È come se quella bevanda bianca- stra e veramente poco at- traente quasi mi guardasse e mi dicesse: «Bevimi!». La decisione è repentina ed im- provvisa. In un decimo di se- condo passo la ciotola nelle mani compassionevoli di padre Fernando. Labbra appena inumidite, ma no, non ce l’ho fatta a bere. Però almeno sono arri- vato lì, lì a pochissimo dalla temuta meta. Cerco nella mia testa due paroline in lingua ki- chwa: «Yapa alli» ( muy bueno , molto buono), dico con un sorriso tanto largo quanto bugiardo a tutti i presenti che sono lì davanti, con gli sguardi fissi su di me. E subito cerco di sviare l’attenzione. Una foto, una foto di tutti con padre Fernando. Sì, mi vergogno, ma il mio stomaco e probabilmente la mia salute sono salvi. Spero sia salva anche la mia reputazione presso quella famiglia kichwa di Nueva Angusilla. Sentendomi come colpevole di un reato, prometto loro che farò arrivare le foto cartacee di quella visita. Temo però che il masato tornerà ancora a materializzarsi davanti a me. Ne- gli incubi notturni o nella realtà. Paolo Moiola Indigeni e bianchi Una ciotola di «masato» (per un ipocondriaco) Tra un indigeno e un bianco le diversità sono evidenti. Soprattutto quelle culturali. L’importante è accettarle, magari con un arricchimento reciproco. Racconto di un piccolo episodio di vita quotidiana.

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