Missioni Consolata - Aprile 2018

APRILE 2018 MC 15 sto due anni, durante i quali man- davo i soldi a casa. Poi sono tor- nato». Nassirou è ripartito una se- conda volta per la Libia e vi è ri- masto tre anni, senza particolari problemi. «Vi sono andato per la terza volta, ma qualcosa era cam- biato». Mentre Nassirou ci rac- conta come è andata, il suo volto ricorda il terrore: «Quando avevo finito il mio periodo di lavoro, con un gruppo di connazionali siamo partiti per tornare in Niger. Sulla strada del rientro ci hanno cattu- rati e riportati in città dove ci hanno venduti. Hanno assaltato con le armi il mezzo su cui viaggia- vamo, ci hanno obbligati a scen- dere e ci hanno messi nel cassone di un pick up, con le mani legate con corde e catene dietro la schiena». Nassirou ci mostra i se- gni delle catene ai polsi. «Siamo stati sette ore legati e senza man- giare, e ci hanno poi chiusi in una camera dove non ci hanno dato né acqua né cibo. Io ho passato due mesi rinchiuso in una stanza dalla quale non si vedeva il sole. Mi hanno fatto spogliare e indos- savo solo le mutande». Nassirou era detenuto in una pri- gione clandestina nella città libica di Beni Walid: «Durante due mesi siamo stati maltrattati, mentre aspettavamo i soldi per essere li- berati. Ci hanno dato un telefono dicendoci: “Se conosci qualcuno in Libia chiamalo e parlagli della tua condizione. Lui dovrà telefo- nare alla tua famiglia, al paese, per dire di mandare i soldi affin- ché tu sia liberato”. Così siamo riusciti ad avvisare che eravamo prigionieri». La famiglia di Nassirou, a Birji, ha venduto due vacche e ha man- dato i soldi a un suo compaesano in Libia, affinché li versasse su un conto segnalato. «Il giorno che i soldi sono arrivati, mi hanno preso e mi hanno picchiato. Poi mi hanno portato a Tripoli e libe- rato. Non riuscivo neanche a stare in piedi, ma grazie ad altri nigerini che mi hanno soccorso, ho ripreso un po’ le forze. Poi mi hanno pagato un biglietto per rientrare. Altri prigionieri che erano con me invece sono morti. C’è ancora gente rinchiusa in queste prigioni, a soffrire. È sempre così, ti met- tono una catena al collo e puoi morire facilmente. Ho visto anche persone di Sudan, Ghana, Mali, Nigeria». Nassirou non ha più intenzione di andare in Libia. È tornato da sette mesi e ha lavorato nei campi du- rante luglio e agosto, ma adesso sta cercando di capire che lavoro fare. A caccia di «neri» Accanto a lui il più giovane In- nousa, 27 anni, ha qualcosa da raccontare: «Non ho mai avuto problemi con il mio padrone in Li- bia. Ma alla fine del mese veni- vano da noi i ladri, di notte, per prenderci i soldi. Ed eravamo ob- bligati a darglieli. Vivevo nella città di Ubari, ma oggi la situa- zione si è totalmente degradata diventando molto insicura. Io sono stato assaltato due volte da banditi, che mi hanno puntato delle armi al petto chiedendomi tutto quello che avevo. Adesso ti assaltano anche di giorno, non solo di notte. E quando sei in casa devi barricarti dentro, ma rischi che rompano la porta per assal- tarti. Se devi uscire a comprare qualcosa è meglio chiedere al tuo padrone per non farti vedere in giro. Quando sei in macchina con lui per fare delle commissioni, ri- schi che vi fermino e dicano al pa- drone: “Vogliamo lui”. Alcuni la- sciano i loro lavoratori nelle mani degli assaltatori. Se prendi un taxi, rischi che il tassista ti porti dai banditi o dalla polizia dove ti maltrattano. Ormai non vedi sub- sahariani in giro, stanno tutti na- scosti». MC A In alto a sinistra : un’anziano dattilografo redige carte d’identità, in un mercato di villaggio. Avere i documenti è necessa- rio, tra l’altro, per poter partecipare al progetto. Sopra : una ragazza di etnia peulh mo- stra fiera il suo bimbo. In basso : una donna durante una forma- zione del progetto. #

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