Missioni Consolata - Aprile 2018

NIGER la Nigeria. Grazie a questo inter- vento avranno del lavoro. Nor- malmente, finita la campagna agricola dei cereali, la gente in- crocia le braccia, ma ora ha delle risorse importanti che possono essere sfruttate anche nel pe- riodo morto». E conclude: «Si tratta di famiglie molto povere che non riescono a soddisfare i propri bisogni alimentari nell’arco dell’anno con la sola coltivazione di cereali». Anche il prefetto in persona, av- volto nel suo grand boubou da grande capo, ci parla della sua vi- sione in merito: «Questo inter- vento permetterà ai più poveri di arrivare a essere autosufficienti, grazie a un appoggio iniziale che viene dato loro. Dovranno essere un po’ più attivi, perché diven- tano degli attori che contribui- scono al miglioramento della pro- pria condizione di vita. Ma anche individui che, da un momento all’altro, iniziano a contribuire allo sviluppo dell’economia lo- cale. Inoltre, altre comunità po- tranno ispirarsi alle tecniche e metodologie messe in campo dal progetto, in modo che questi in- segnamenti diventino duraturi e diffusi sul territorio». I disperati di Birji Partiti da Mirriah, ci spostiamo una cinquantina di chilometri a Nord di Zinder. Gli alberi si fanno più radi, sono rimpiazzati da bassi cespugli spinosi, la sabbia invade la strada asfaltata e la laterite af- fiora dal sottosuolo. Ma non siamo ancora nel vero deserto. Anche qui vi sono villaggi di agri- coltori che condividono una terra bellissima, ma povera, con popo- lazioni di allevatori nomadi, i peulh , i quali si spostano di conti- nuo con le loro mandrie in cerca di pascoli ed acqua. Ci accompagna madame Nana Ai- cha Mamadou, responsabile dell’associazione locale Sa3d ( Sahel action pour la democratie et le developpement durable , ov- vero «Sahel azione per la demo- crazia e lo sviluppo sostenibile»). Una realtà nuova della società ci- vile di Zinder, che ha la specificità di essere composta in maggio- ranza da donne. Arrivati al villaggio Birji, ci diri- giamo nel cortile della scuola ele- mentare, l’edificio più grande in mattoni e cemento. Qui ci aspetta una folla di uomini, molti dei quali piuttosto giovani. Sono vestiti in modo un po’ diverso dai contadini. Hanno giubbotti, giac- che o berretti di fattura occiden- tale, anche se sgualciti e di certo non all’ultima moda. Sono seduti a semicerchio e scrutano gli ospiti venuti da lontano. Sapremo più tardi che sono oltre un centinaio. Birji è il villaggio più grande, e quindi di riferimento, di una zona particolarmente svantaggiata, in quanto non ha avvallamenti o aree orografiche come la valle di Korama, che raccolgano l’acqua durante le piogge. Inoltre, qui la falda acquifera è molto profonda, e realizzare dei pozzi che forni- scano una buona quantità d’ac- qua anche in stagione secca è più costoso che altrove. Quest’area - ci racconta madame Nana - è zona particolarmente depressa, segnata quindi da emi- grazione stagionale. Questi uo- mini sono le braccia valide dei vil- laggi, che lasciano la famiglia du- rante la stagione secca per an- dare a lavorare in Libia o in Nige- ria. Ma qualcosa negli ultimi tempi è cambiato. I fattori sono due. Le maggiori difficoltà per affrontare il viaggio, a causa della nuova legge nigerina per il contrasto alla migrazione clandestina, che ha reso più complesso spostarsi e in molti casi occorre farlo clandesti- namente. Ma soprattutto le con- dizioni di lavoro e di sicurezza in Libia. Inferno Libia Nassirou ha 35 anni e faceva l’a- gricoltore a Birji. Lavorava la terra ma non guadagnava abbastanza. Decise dunque di partire, come al- cuni suoi conoscenti prima di lui: «Nel 2006 sono andato in Libia per la prima volta dove ho lavo- rato per un padrone arabo in un allevamento di polli. Vi sono rima-

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