Missioni Consolata - Giugno 2017

26 MC GIUGNO2017 MALI Incontro con l’abbé Timothée Diallo, responsabile dei media cattolici Occorre un cambiamento di mentalità I cattolici in Mali sono una minoranza. Ma sono ben integrati e la collaborazione con gli islamici è grande. A tutti i livelli, a partire dalle scuole. Solo così si può creare una cultura di dialogo e porre un freno all’avanzata del radicalismo. B AMAKO . L’abbé Timothée Diallo è parroco della Cattedrale di Bamako da 15 anni. Giorna- lista, ha studiato alla scuola di comunicazione sociale dei salesiani a Roma. È attualmente il respon- sabile dei media cattolici della Conferenza episco- pale del Mali. Lo abbiamo incontrato nel suo ufficio, nel centro di Bamako. Abbé Timothée, chi sono oggi i cattolici in Mali? «Come cristiani stimiamo di essere il 5% e noi catto- lici siamo distribuiti in sei diocesi. Negli ultimi tempi i battesimi sono aumentati. Le etnie che hanno mag- giormente abbracciato il cattolicesimo sono i Bobo, nella diocesi di San. Però quasi tutte le etnie vedono la presenza di cristiani: Bambara, Peulh, Soninka, Sonrai, ecc. I missionari sono arrivati in Mali nel 1888 dal Sene- gal, la prima missione è stata Tuba, nella diocesi di Kayes. Erano degli spiritani (i padri dello Spirito Santo, ndr ), perché i missionari d’Africa hanno ten- tato per ben due volte di arrivare in Mali dall’Algeria, ma in entrambi i casi i convogli furono massacrati prima di arrivare a Timbuctu. Gli spiritani lascia- rono la missione ai padri Bianchi che portarono avanti l’evangelizzazione in Mali». Quali sono le maggiori difficoltà che state vi- vendo come minoranza? «Siamo una minoranza, ma abbiamo la for- tuna di avere molti matrimoni misti, tra cristiani e musulmani. Negli ultimi anni in certi ambienti è diventato difficile esprimere la propria fede cristiana. Conosco delle famiglie che non ac- cettano più di accogliere un cri- stiano e dargli da bere o da man- giare (accoglienza che nel Sahel e nel deserto è sempre stata sacra verso chiunque, ndr ). Ma nella maggioranza dei casi c’è buona coabitazione, si ce- lebrano insieme le feste, mu- sulmane come quelle cri- stiane. Per esempio io sono sempre invitato da famiglie musulmane per la Tabaski o la fine del Ramadam. Nel campo dell’educazione abbiamo scuole cristiane dappertutto nel paese. Qui in cattedrale la nostra scuola ha 800 allievi e solo il 5% sono cattolici, gli al- tri sono musulmani. Ci sono i movimenti di azione cattolica in Mali, come la Gioc, gioventù operaia cat- tolica, qui la chiamiamo “credente”, Comunità di stu- denti credenti e poi Gli amici di Kizito, per i bambini fino a 12 anni. In questi movimenti ci sono anche molti musulmani. Questo ci permette di dialogare e comprenderci tra di noi. Preghiamo insieme, ognuno si esprime secondo la sua religione. I genitori musulmani fanno frequentare ai figli la scuola cattolica perché pensano che dia una buona educazione. E poi li mandano anche ai movimenti cattolici. Non abbiamo per nulla un approccio volto alla con- versione, ma piuttosto a dialogo e coabitazione per la pace e il benessere della persona umana. È questo che fa la nostra fortuna in Mali. Quando certi leader religiosi hanno reclamato che il Mali di- ventasse uno stato islamico, sono proprio i musul- mani che si sono opposti, preservando la laicità». Ma ci sono dei segni di radicalizzazione nella so- cietà? «Ci sono molte più donne con il velo e sono state co- struite molte moschee, tutte uguali, sorte come funghi e finanziate da paesi arabi. Questo per mostrare che il paese è isla- mico. Ma è una questione di facciata perché non sono frequentate. In una zona che conosco, la maggioranza delle persone segue culti tradizio- nali e ci sono anche molti più cri- stiani. Soprattutto nelle grandi città sentiamo la presenza dell’islam con molte mo- schee, ma non è così nelle campagne». C’è ancora una chiesa missionaria in Mali? «Ci sono ancora dei padri bianchi, nella arcidiocesi di Bamako, abbiamo 11 parroc- chie di cui 2 sono tenute dai padri Bianchi, una dai © Marco Bello

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