Missioni Consolata - Aprile 2017

Dato che il Bangladesh non aderisce alla Conven- zione del 1951 sullo status dei rifugiati, questi vi- vono perennemente in una condizione precaria senza che possano sperare in una veloce e defini- tiva risoluzione della loro situazione. Dall’ottobre 2016, inoltre, oltre 50.000 Rohingya avrebbero attraversato il fiume Naf cercando ri- paro dalla nuova ondata di violenze che ha infiam- mato il Rakhine. Il governo bengalese ha redatto, nel settembre 2013, uno Strategy paper , un documento, su rifugiati e indocumentati in Bangladesh in cui si ufficializza per la prima volta che i Rohingya sono cittadini del Myanmar e che «vi sono tra le 300.000 e le 500.000 persone di nazionalità del Myanmar che vivono non registrate fuori dai campi e che sono entrati in Ban- gladesh in modo irregolare» 30 . Il Bangladesh, come già ricordava Kyaw Naing Tun, lo studente di fisica di Sittwe, è uno degli stati più popolati al mondo (163 milioni di abitanti si as- siepano su un fazzoletto di terra di 148.000 km2 - circa metà del territorio italiano -, in confronto il Myanmar ha 55 milioni di abitanti con 677.000 km2 di superficie disponibile) e, obiettivamente, fa molta fatica a prendersi cura di così tante bocche da sfamare. Il ministro della Giustizia Syed Anisul Haque nel lu- glio 2014 ha proibito matrimoni tra bengalesi e Ro- hingya: molti di questi, infatti, per ufficializzare la loro posizione, sposavano bengalesi prendendo così la cittadinanza del Bangladesh. Il principale timore del governo di Dacca, guidato dall’Awami League di Sheikh Hasina Wazed, è che i Rohingya possano divenire strumenti di disturbo in mano ai due principali partiti dell’opposizione, il Ja- tiya Party di Muhammad Ershad e il Jamaat-e-Is- lami, il più popolare partito islamico bengalese, che hanno nelle provincie delle Chittagong Hill Tracts e di Cox’s Bazar, confinanti con il Myanmar, i loro principali serbatoi elettorali. La diaspora rohingya non colpisce solo il Bangla- desh, ma anche le nazioni che si affacciano sul Golfo del Bengala e il Mar delle Andamane: la Thai- landia, la Malesia e l’Indonesia ( si veda la mappa a lato, ndr ). I barconi dei trafficanti d’uomini L’allentamento delle misure di sicurezza e di con- trollo da parte delle autorità del Myanmar dopo il 2010, ha accelerato il flusso di migranti via mare. Solo dal gennaio 2014 circa 94.000 Rohingya sono fuggiti dal Rakhine e dal Bangladesh a bordo di barconi verso le coste malesi, thailandesi e indone- siane 31 , ma secondo il ministero degli Esteri del Bangladesh vi sarebbe da calcolare almeno un terzo di emigrati cittadini bengalesi in più 32 . La mancanza di scrupoli da parte delle organizza- zioni di trafficanti d’uomini che, in maniera del tutto illegale, organizzavano le tratte marittime era giunta a livelli parossistici. Ogni aspirante passeg- gero doveva sborsare l’equivalente di 1.600-2.400 dollari per un viaggio via mare pericoloso e senza alcuna garanzia di successo. Cifra che aumentava fino a 7.000 dollari per un biglietto aereo verso le capitali dei paesi del Sudest asiatico 33 . In nome del principio di non interferenza negli af- fari interni di ogni stato membro, l’Asean e la co- munità internazionale hanno ignorato il problema fino al maggio 2015, quando cinquemila rifugiati e immigrati sono stati abbandonati dai trafficanti nel Mar delle Andamane e nel Golfo del Bengala. Prima che si potesse intervenire un migliaio di essi erano affogati o morti di stenti nelle acque dell’O- ceano Indiano 34 . Da quella tragedia il controllo delle coste birmane e bengalesi si è fatto più capillare e nel 2015 il nu- mero di partenze da questi due paesi è diminuito a 31.000 persone 35 . Thailandia, Malesia e Indonesia ospitano in totale ROHINGYA APRILE2017 MC 47 D © Adolfo Arranz 2016 / Today, SIngapore

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