Missioni Consolata - Aprile 2017

12 MC APRILE2017 La cultura che salva Haiti è il paese più povero delle Americhe e uno dei più destruttu- rati del Mondo. Gli esperti lo clas- sificano come «stato fallito». Chiediamo al regista e attivista politico se la cultura potrà salvare Haiti. «Sì, in un certo senso la cul- tura può salvare Haiti. Perché la cultura salva tutti i paesi che sono in pericolo. Se non c’è nella testa della gente, nel loro modo di fare, nella loro cultura in gene- rale, una volontà di salvare o cambiare il paese, allora non è possibile. Solo la cultura può cambiare un paese in grande dif- ficoltà come il nostro. Ma non deve essere una cultura che confonde il sogno con la realtà. Ad Haiti troppo spesso domina il pensiero magico, un sistema per cui agli uomini al potere basta dire una cosa e le parole si tra- sformano in realtà. Occorre pen- sare a delle azioni concrete sulla realtà socio politica se si vuole salvare questo paese. Ma alla base ci sono questioni politiche e culturali. Ovvero se c’è la volontà politica, allora occorre che la cul- tura giochi il suo ruolo. Qui la cultura è molto forte. In ge- nerale questi paesi sono compli- cati e difficili. Un uomo politico statunitense diceva: “Haiti è il paese che abbiamo occupato più a lungo - ci sono stati 19 anni di occupazione statunitense dell’i- sola - ma è l’unico nei Caraibi dove non si gioca a baseball”. È vero, è uno sport che non ci ha mai penetrati. Allo stesso modo c’è una forma di democrazia e di sviluppo che non riescono a im- porsi ad Haiti. Tutto lo sviluppo deve partire da una realtà culturale del paese. Non bisogna credere che per un paese differente occorra una de- mocrazia al ribasso, elezioni fa- sulle o truccate. Gli haitiani hanno dimostrato che non lo ac- cettano». E lo stato come si pone nei con- fronti di questa ricchezza cultu- rale? «Ad Haiti diciamo che questo è il paese della cultura, però non esi- ste alcun aiuto dello stato alla cultura. Un paese di 10 milioni di abitanti in cui non c’è una sala per spettacoli, non un cinema, c’è un solo quotidiano. E non c’è un museo degno di questo nome. Lo stato appoggia solo il carnevale che è il grande evento culturale di Haiti. Ma anche questo è un car- nevale povero, del sotto proleta- riato». «Io ho realizzato diversi film su artisti haitiani, sia pittori e scul- tori che scrittori. Devo ricono- gista, qualcosa nel centro ammi- nistrativo e poi l’aeroporto che oggi è moderno. «Quello che chiedevamo noi era un nuovo piano di gestione del territorio, in modo che si potesse sapere, in un piccolo paese come il nostro con 10 milioni di abitanti, come fare una suddivisione in zone di di- verse tipologie: abitazioni, indu- strie, agricoltura». «Port-au-Prince è diventata una città nella quale si trovano barac- copoli ovunque. A causa dell’e- sodo rurale per la mancanza di la- voro, la maggior parte degli abi- tanti sono dei sotto proletari, quelli che possiamo chiamare Lumpenproletariat (in tedesco “proletariato straccione”, ter- mine creato da Karl Marx, per in- dicare il ceto infimo delle grandi città, formato di elementi econo- micamente e socialmente insta- bili, ndr ), per cui possiamo par- lare di “lumpenizzazione” della società haitiana. Si tratta di indivi- dui che sono molto facili da mani- polare, non hanno delle vere ra- dici, non sanno dove sono e sono affamati, alla mercé di chiunque, in primis dei politici e criminali». HAITI Sotto: Il nuovo presidente di Haiti, Jovenel Moise, il giorno dell'insediamento il 7/2/2017. A destra: una danza rituale vodù a Port-de-Paix, nel Nord Ovest. # © AFP / Hector Retamal

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