Missioni Consolata - Marzo 2017

38 MC MARZO2017 D casuale, quello montuoso, se si pensa ad esempio alla sopravvivenza millenaria di insediamenti a maggioranza cristiana come Ma‘lula in Siria, dove ancora oggi si parla una variante dell’aramaico, una moderna derivazione della lingua parlata da Gesù. O ancora al Caucaso, che gli arabi chiamavano ja- bal al-alsun , la «Montagna delle lingue», per la sua sorprendente varietà linguistica e culturale, ma an- che religiosa. E proprio l’isolamento e la protezione fornita da questo contesto geografico arduo e im- pervio hanno permesso agli Yazidi di mantenere una fede che, seppur influenzata dall’islam per molti aspetti e ad esso in parte riconducibile fin dalle sue origini, si è sviluppata in seguito in modo irrimediabilmente «altro». Una religione - spesso definita in modo dispregiativo come setta - che, se fosse nata nell’Europa medievale anziché nel mondo musulmano, sarebbe stata indubbiamente bollata come «eresia». Se non che, questa tradizione di tolleranza, sancita anche dal Corano nell’invito alla protezione e al ri- spetto per ebrei e cristiani, è entrata in crisi al tempo del colonialismo, per essere poi spazzata via, nel modo più violento, nei luoghi caratterizzati di recente in vario modo dall’insorgere del fondamen- talismo islamico. Certo, non in tutti i paesi musul- mani ciò è vero, come d’altronde non in tutti i go- verni islamici le cose funzionano allo stesso modo: la Repubblica islamica nata in Iran nel 1979 grazie alla guida carismatica dell’ayatollah Khomeini, per non fare che un esempio, ha mantenuto intatta - con la sola dolorosa eccezione dei bahai - la plura- lità religiosa che ha caratterizzato da sempre que- sto grande paese. Altrove, invece, e soprattutto nei territori segnati dall’influenza del wahabismo pro- pagandato a suon di petroldollari dalle monarchie del Golfo, la storia ha preso purtroppo un’altra piega. E le conseguenze sono ben note, almeno per chi presti attenzione in modo non estemporaneo a quanto succeda lontano da noi. E così, a un secolo dal Medz Yeghern, il genocidio armeno del 1915, e a oltre settant’anni dalla Shoah, la pagina ignominiosa dei genocidi sembra non tro- vare fine. Gli Yazidi lottano oggi per la loro soprav- vivenza, sterminati, cacciati dai loro villaggi e ri- dotti in schiavitù nei territori conquistati in Iraq dal Daesh. Ieri come oggi, l’indifferenza del mondo è grande, e sul destino di questo piccolo popolo - composto (forse) da 700 mila persone - si consu- mano i grandi giochi della geopolitica e dell’econo- mia. Una lotta, quella degli Yazidi, che si svolge in una solitudine disperata e che ha luogo senza che nulla si voglia fare sia da parte di chi muove le leve del potere, che a livello locale e della società civile. Persino i Curdi, con i quali condividono una lingua comune (nella variante settentrionale detta «Kur- manji») e molti aspetti della loro cultura, il più delle volte di fronte alle loro sofferenze si sono limitati a guardare da un’altra parte, quando non a cercare il proprio vantaggio. Una denuncia, questa, sentita più volte ripetere dai rappresentanti yazidi, a par- tire dalla più famosa di tutte: la candidata al Nobel per la pace Nadia Murad. Privi di una chiesa o uno stato che li protegga, an- che la diaspora - a differenza di quanto avvenuto in passato in altri casi - è troppo frammentata e re- cente per essere in grado di incidere, o anche solo di fornire qualche conforto ai profughi che oggi si trovano, privi di una coordinazione, dispersi per il mondo. E così, anche per la maggioranza di coloro che riescono (spesso in circostanze rocambole- sche) a fuggire dalla schiavitù e dalla guerra, il de- stino che li attende sono i campi profughi della Tur- Sopra: un profugo della comunità yazida intento ad arrotolarsi una sigaretta in un campo di rifugiati vicino a Dohuk, in Iraq (17 novem- bre 2016). Pagina seguente : mappa dell’Iraq con le varie zone d’in- fluenza (Kurdi, sciiti, sunniti); una famiglia yazida, rifugiata nella provincia di Sirnak, nel Sud Est della Turchia, mostra le foto di Saeed, ucciso mentre tentava di rientrare nel suo villaggio in Iraq. D © Safin Hamed / AFP

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