Missioni Consolata - Marzo 2017

e figlie. Si ama e si può amare solo per amore, e per amore a perdere, non per averne una contropartita. Certo, l’amore ha dei doveri, che però ne sono conseguenza, mai la ragione. La maggior parte dei cre- denti, fa tranquillamente a meno dell’Eucaristia domenicale e se va a confessarsi, mette tutto a posto con «ho perso qualche Messa». Nelle stesse comunità religiose, la Messa è «una pratica di pietà» banale da si- stemare alla meno peggio. Se nel- l’Eucaristia cerchiamo una consola- zione sentimentale o vi «andiamo» per compiere un dovere necessario, perché vi siamo obbligati dalla «legge», siamo ancora nel vecchio mondo, anzi restiamo morti e inca- paci di cogliere la novità della storia, cioè che «il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, il Dio dei nostri padri ha glorificato il suo servo Gesù» (At 3,13). Partecipare all’Eucaristia è vivere esistenzialmente la preghiera piantati nel cuore di Dio perché il popolo convocato in- nalza sul mondo colui che è stato trafitto affinché tutti possano alzare lo sguardo su di lui e ricevere il dono dello Spirito: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37; Zc 12,10). Di fronte a questo evento che sconvolge la vita di Dio e quella della Chiesa, l’atteggiamento corrente è tragico: l’Eucaristia - la Messa - è trasformata in un «atto di de- vozione» privato e banale, «Dico Messa la mattina, così mi tolgo il pensiero per la giornata». Dire Messa! Una recita e null’altro. Nelle parrocchie le «Messe» sono misurate sulla persona del prete o delle intenzioni: Messe ripetute a ogni ora, anche se vi partecipano po- che persone oppure tante Messe quanti sono i preti perché a ogni Messa corrisponde un’offerta. È un dramma avere legato l’Eucaristia a «un’offerta sino- dale», mercificando anche il corpo di Dio. Quanti preti celebrerebbero la Messa se non fosse legata a una of- ferta? Non sta qui la ragione prima della secolarizza- zione e dell’incredulità del mondo di oggi? I preti sono professionisti, non «sacramento» della gratuità di Dio. Non era questa l’intenzione, ma a forza di agire così si è arrivati a commercializzare anche l’atto supremo della preghiera e della gratuità fino a ridurlo a una pia pra- tica di devozione come tante. Amare esige tempo In molte parrocchie e chiese, per esempio, mezz’ora prima dell’Eucaristia, si recita il Rosario o si fa l’esposi- zione del Sacramento eucaristico che è o dovrebbe es- sere la conseguenza dell’Eucaristia celebrata. In que- sto modo «si riempie» il tempo con altri «momenti» perché non si è abituati né al silenzio né a essere silen- zio di ascolto e di amore. Bisogna «fare», con l’esito fi- nale che si finisce per fare male ogni cosa. In certi luo- ghi poi - molto di più nel passato, quando era un’abitu- dine - le parrocchie affittavano un confessore che stava fisso in confessionale durante tutta la Messa . Si «andava a Messa» per prendere due piccioni con una fava: «prendere Messa» e «mettersi a posto», finendo per non fare bene né l’una né l’altra cosa. Ciò che era importante era la presenza fisica, l’adempimento giuri- dico e formale, non l’atteggiamento spirituale del cuore. Determinante era arrivare alla Comunione «confessati». Pazienza se si era sacrificata la Parola di Dio, cioè la prospettiva vitale per cui Dio stesso si è scomodato per annunciarci il suo progetto di amore e si tornava a casa consci di aver compiuto il proprio do- vere quantitativo… fino alla prossima volta. Le stesse Messe «a tutte le ore» erano finalizzate a facilitare la frequenza, senza alcun riferimento all’elemento co- munitario, all’assemblea come «luogo» supremo del- l’incontro d’amore tra Dio e il suo popolo. Tutte le Messe, tranne quella dei «bambini», erano deserte, con uno sparuto numero di presenti, sparpagliati nel- l’immensa chiesa, uno qua, l’altro là e il prete laggiù in fondo, quasi invisibile che recitava formule astruse per un dio sconosciuto. Ognuno per sé e Dio per tutti. Raramente si sente dire: celebro l’Eucaristia nell’ora per me più importante della giornata. Gli Ebrei inse- gnano che ci vuole almeno un’ora di tempo per predi- sporsi all’incontro con Dio. Attenzione alle parole: non per incontrare Dio, ma solo per predisporsi all’in- contro. Quando due innamorati si preparano per in- contrarsi tra di loro, sono così contaminati dalla pre- senza, ancora assente, dell’altro che l’attesa è già più passionale dell’incontro perché la preparazione minu- ziosa e intensa si prende il tempo necessario, coinvol- gendo tutta la gamma dei sentimenti umanamente possibili, dall’ansia al desiderio, dalla frenesia all’im- maginazione. Tutto è finalizzato alla persona attesa che è potentemente presente prima ancora di averla incontrata. Se avviene questo nei rapporti umani per- ché a Dio consacriamo gli scarti di tempo e di ener- gie? Pregare è come l’amore: perdere tempo per la persona amata . Lo sa bene il profeta Geremia che, dopo essersi lasciato sedurre, si abbandona, pur sa- pendo che soffrirà molto: «Mi hai sedotto e io mi sono lasciato sedurre» (Ger 20,7). Quando saremo in grado di pregare con queste parole, e queste parole avranno il sapore della carne e del sangue della vita, allora e solo allora, avremo finito il noviziato di ap- prendimento e potremo cominciare a entrare nella di- namica della vita di preghiera. Paolo Farirella, prete [2. continua]. 34 MC MARZO2017 Insegnaci a pregare MC R

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