Missioni Consolata - Marzo 2017

ALBANIA 26 MC MARZO2017 bania sembrava avviata a diven- tare la settima repubblica della Fe- derazione Jugoslava, ma nel giu- gno del 1948 Stalin ruppe con Tito. Per conservarsi al potere, Hoxha preferì schierarsi con l’Urss, la- sciando il Kosovo alla Jugoslavia e resuscitando sul piano interno la secolare narrazione anti serba. Un decennio dopo, il copione sarebbe stato simile: ribelle alle ingerenze sovietiche dello «slavo Krusciov» l’Albania Popolare siglò un’impro- babile alleanza con la Cina di Mao: tra gli applausi dell’Occidente, i sottomarini sovietici abbandona- rono i porti mediterranei mentre la scelta dottrinaria del marxismo- leninismo isolava il piccolo paese balcanico anche all’in- terno del Secondo mondo (quello, appunto, orbitante attorno all’Urss). Il comunismo albanese fu una risposta violenta ai bisogni di una società agropastorale, rimasta a li- velli di vita primordiali: ad appena un milione di abitanti - per l’80% contadini poveri, con il 9% della terra del paese a disposizione - un leader finalmente «autoctono» of- frì la possibilità di credere al pro- gresso materiale della propria pa- tria. Il prezzo pagato dagli albanesi per la modernizzazione realizzata da Hoxha non è ancora materia di storici altrettanto «locali». Le diffi- coltà che gli albanesi incontrano nella rielaborazione del loro pas- sato recente si devono al fatto che in quella dittatura «il comunismo» fu poco più di una grammatica dell’economia e della propaganda: una lingua straniera utilizzata per adattare al contesto della Guerra fredda quella peculiare narrazione etnica che affonda le sue radici nell’identità culturale albanese e il cui frutto moderno è, appunto, lo stato albanese. Studiare il regime enveriano implicherebbe la sua comprensione all’interno della storia che lo ha preceduto; se, an- cora oggi, quest’operazione viene rimandata è perché l’intoccabile mito nazionalista fonda anche l’Al- bania democratica. Purtroppo, nessuna coscienza storica ha mai illuminato il cammino della na- scente democrazia albanese: né a livello accademico, né a livello di élite politiche. Il risultato, visibile, sono ferite non rimarginate. La- sciate senza spiegazioni, le per- sone comuni, cresciute lacerate tra due mondi, sanno soltanto che si stava peggio (o meglio) «quando c’erano i comunisti»: come se an- che questi ultimi fossero invasori venuti da fuori. Passaggi complessi L’Albania è uno stato balcanico e in quanto tale si pensa e si rac- conta come «unico» (il nazionali- smo balcanico è fondato sull’ap- partenza etnica) e «mutilato» (non soltanto del Kosovo, ma an- che di parte della Macedonia e del Sud della Grecia). Nel 2014 hanno fatto il giro del mondo le immagini di Serbia-Albania, partita valida per la qualificazione all’Europeo di Francia, sospesa per rissa dopo che un drone telecomandato aveva fatto piovere sullo stadio una bandiera dell’«Albania etnica» munita di Kosovo. L’accaduto venne derubricato a «poco edifi- cante folklore sportivo», ma non sfuggì alle cancellerie europee la rinuncia del primo ministro alba- nese Edi Rama alla storica visita in programma pochi giorni dopo a Belgrado (gli ultimi leader a incon- trarsi erano stati Hoxha e Tito, nel 1948). Se il mito risorgimentale della nazione rimane il discorso politico più comprensibile all’opi- nione pubblica interna, l’Europa è oggi presente nelle esternazioni di tutti i politici albanesi, indipenden- temente dall’appartenenza di par- tito. Come lo stesso Rama ama ri- cordare in ogni visita all’estero, «l’Albania è il paese più europeista d’Europa». Un’asserzione che con- tiene elementi di verità, ma che non indaga le ragioni di questa propensione. Per la maggior parte degli albanesi l’Ue - che il giornali- smo albanese confonde volentieri con la Germania di Angela Merkel - è un club di paesi ricchi dal quale non si vuole venire esclusi. Che l’integrazione esiga dei doveri è chiaro a tutti, ma che questa impli- chi il superamento culturale dell’i- dea di confine nazionale non è ben spiegato ai cittadini albanesi: né dai propri politici nazionali, fer- venti europeisti anzitutto quando IMPRESE ITALIANE, STIPENDI ALBANESI I n Albania lo stipendio medio è di circa 330 euro mensili. Supera di poco i 200 euro nei noti call center delle città. Secondo l’Amba- sciata d’Italia a Tirana nel paese ci sono «500 imprese (italiane, ndr ) piccole e medie, due grandi banche, Intesa San Paolo e Veneto Banca (proprio una delle banche nell’occhio del ciclone, ndr ), e taluni gruppi industriali medio grandi affermatisi principalmente nei set- tori del cemento, dell’agroalimentare e dell’energia». Gli italiani resi- denti in Albania sono circa 20 mila. Forse anche incentivati dal costo della vita che, al momento, è notevolmente più basso rispetto all’Ita- lia. ( Ni.Pe. ) © Claudia Caramanti Sopra : celebrazione di un matrimonio a Tirana. Pagina seguente : un’immagine di Enver Hoxha, a lungo padre-padrone del paese; una foto storica, l’arrivo della Vlora al porto di Bari (era l’8 agosto 1991). #

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=