Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2017

Il principio del discernimento Questa lunga premessa sulla formazione è necessaria per potere riflettere sulla situazione in cui ci troviamo, per capirla e anche per poter parlare della preghiera. Sono passati cinquant’anni dal Vaticano II e facciamo ancora fatica ad accettarlo, segno che le incrostazioni derivate da mentalità, cultura e tradizioni «consolanti» sono dure a morire e, segno ancora più grave, che siamo istintivamente portati alla conservazione più che al discernimento dei «segni dei tempi» imposto dalla «Parola di Dio». Non possiamo parlare della preghiera senza fare riferimento al mondo da cui proveniamo, un mondo che non è da rigettare, ma da soppesare per quello che ha significato e per le conseguenze che ha generato. Il concilio ha chiesto che la preghiera ufficiale della Chiesa e quella individuale dei singoli credenti fosse centrata, animata e nutrita dalla Parola di Dio, che non è un raccontino edificante, ma «la parola di Dio viva, efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione dell’a- nima e dello spirito, fino alle giunture e alle midolla, e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore» (Ebr 4,12). Il verbo discernere significa valutare/separare/giudi- care/distinguere; il «doppio taglio» della spada dice plasticamente che nessuno può fuggire, perché non c’è alcuno che possa presumere di restare illeso. La spada affilata da ambo i lati assicura che «ferisca» in un modo o nell’altro, lasciando il segno, penetrando anche fin nell’intimo più profondo, dove forse nep- pure noi siamo mai scesi a vedere come stanno le cose; fino al punto di sutura dell’anima e dello spirito, coinvolgendo giunture, midolla, sentimenti e pensieri del cuore, cioè la totalità della persona nella comples- sità del suo essere: corpo, sentimenti, passioni, intui- zioni, immaginazione, sofferenza, gioia, disperazione, anelito, ansia, progettualità e desiderio. Nulla è estraneo alla Parola per chi accetta l’avven- tura di Gesù Cristo che non si accontenta di una parte, ma coinvolge tutto di noi, centro e periferia, esterno e interno, alto e basso. Se questo è il compito della Pa- rola e se la preghiera deve essere nutrita dalla Parola, comprendiamo bene che non possiamo limitarci alle formulette del catechismo di un secolo fa. Forse allora andava bene così - ma ne siamo sicuri? - certamente non va più bene oggi e lo sperimentiamo ogni giorno. Siamo figli del nostro tempo e nessuno può vivere fuori di esso. Possiamo anticiparlo, se viviamo docil- mente all’ombra dello Spirito, ma non possiamo mai tornare indietro perché non ne abbiamo il potere né l’autorità. Rimpiangere «i tempi andati» è solo per- dere tempo, tarpando le nostre potenzialità. Siamo nati per vivere e la vita è progresso, cioè maturazione, crescita in avanti e in alto, secondo il processo del bambino che diventa adolescente, giovane, adulto, vecchio. La vita non va mai indietro e chi rimpiange il passato è già morto di suo perché ha bloccato il germe vitale per paura e per poca fede nello Spirito di Dio che ha impresso nelle cose e nelle persone il Dna della risurrezione: come credenti, siamo chiamati a cercarlo, trovarlo e testimoniarlo. Nella gioia. Il van- gelo è letteralmente notizia che dà gioia, ma se non siamo in grado di coglierla e di comunicarla, non ab- biamo, forse, fallito la nostra stessa esistenza? Il Catechismo Maggiore di Pio X alla domanda n. 254 «Che cosa è l’orazione», risponde: «L’orazione è una elevazione della mente a Dio per adorarlo, per ringra- ziarlo, e per domandargli quello che ci abbisogna». La definizione è la conclusione di un lungo percorso, ini- ziato nel sec. XVI tra fautori della preghiera vocale e fautori della preghiera mentale. Tra i primi c’era l’In- quisizione e l’autorità ufficiale della Chiesa, perché pensavano che la preghiera vocale fosse strumento più adatto a controllare l’ortodossia e quindi la disci- plina dei fedeli. Tra i secondi vi erano mistici come Giovanni della Croce e Teresa d’Avila che per questo furono inquisiti e condannati dall’Inquisizione spa- gnola: Giovanni della Croce fu imprigionato e tortu- rato e Teresa d’Avila, cui fu sequestrato il manoscritto sulla sua «Vita», dovette usare un linguaggio cifrato e scrivere per allusioni per non farsi scoprire, perché so- spettata in quanto nipote di un giudeo. Per un approfondimento su questi temi, è molto inte- ressante la biografia critica e documentata della rifor- matrice del Carmelo: Rosa Rossi, Teresa d’Avila . Intro- duzione a cura di Loretta Frattale , Editori Riuniti Uni- versity press, Roma 2015. Pregare è vivere La definizione della preghiera di Pio X è ancora este- riore, perché si preoccupa più dell’ortodossia che dell’incontro dell’orante con Dio. Dietro c’è la nozione di un dio «filosofico», esterno, onnipotente, impe- riale, non il «Dio Padre» del Vangelo predicato da Gesù. È un Dio temuto e da temere, non un Dio affet- tuoso e da amare, un padre con cui giocare e vivere. La preghiera è «elevazione» a Dio, non nel senso dei mistici di identificazione con Dio, ma quasi un’estra- neazione di sé in senso platonico perché si dà una va- lutazione negativa di ciò che è umano, corporale e materiale. Lo spirituale è contrapposto al materiale vi- sto come sorgente di ogni male. Non è la persona - tutta - che si relaziona con Dio, ma «la mente», la parte nobile, lasciando quella «ignobile», abbando- nata a se stessa e sopportandola quanto basta come sostegno dello spirituale. Questa scissione è assente nella Scrittura. In ebraico la parola «cuore» si dice «lebàb» (pronuncia: levàv ); insegnano i rabbini che le due «b» stanno a significare le due tendenze del cuore umano: quella verso il bene e quella verso il male; esse non possono essere estir- pate, per cui - concludono - bisogna amare Dio con tutt’e due le tendenze, anche con quella verso il male. Per questo nello Shemà Israèl si dice «amerai il Si- gnore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta l’anima e con tutte le tue forze (= tutti i tuoi averi)» (Dt 4,5). La Mishnàh nel trattato Berakòt -Benedizioni 9,5 così spiega: «Bisogna benedire Dio per il male e per il bene, perché egli ha detto: Tu amerai il Signore tuo Dio con tutto il cuore, con tutta la tua anima e con tutti i tuoi mezzi. Con tutto il cuore, cioè con le due tendenze: il bene e il male». Nulla di noi è estraneo a Dio, nemmeno l’eventuale nostro peccato. È questo l’orizzonte di riferimento per riflettere sulla preghiera cristiana, relazione che si consuma nella sperimenta- zione e nella visione. Paolo Farinella, prete (1 – continua). 34 MC GENNAIO/FEBBRAIO2017 Insegnaci a pregare MC R

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