Missioni Consolata - Aprile 2016

ITALIA 64 MC APRILE 2016 Un bicchiere al giorno... Cambiare la cultura Secondo l’Organizzazione mondiale della sanità l’alcol è una droga a tutti gli effetti. Ma chi lo dice al consumatore italiano di vino? A dispetto degli obiettivi fissati dall’Organizza- zione Mondiale della sanità (Oms) per il 2015 - riduzione del consumo di alcol a sei litri annui pro capite e consumo zero tra i minorenni - ancora oggi si registrano oltre tre milioni di decessi ogni anno (20.000 in Italia) per problemi alcol correlati, dagli in- cidenti stradali alle patologie più diverse. «Se bere non è una malattia, è però causa di oltre 60 diversi tipi di malattie ed è concausa di almeno altri 200, tra cui vari tipi di cancro (seno, cavo orale, esofago, laringe, colon, fegato…), problemi al cuore, impotenza e sterilità. Senza parlare dei disturbi neurologici o psichiatrici, spesso irreversibili, provocati dal bere», dice Mauro Torchio, responsabile di medicina generale all’ospe- dale Molinette di Torino. E spiega che i disordini da uso di alcol interessano il 30% circa della popolazione adulta e sono solo una parte di tutti i problemi alcol correlati: «Chi beve, anche solo il famoso bicchiere a pasto, non può prevedere se arriverà a far parte di questo 30% o se sarà più fortunato». Le malattie alcol correlate, inoltre, sono prive di effetto-soglia: «Non si può definire la quantità precisa di alcol da considerare dannosa, perché i problemi aumentano in modo pro- porzionale al consumo». L’unica cosa certa è l’assenza di danni a consumo zero (astinenza). S econdo l’Oms, l’alcol è una droga a tutti gli effetti, per cui non ha più senso parlare di abuso: il sem- plice uso di questa sostanza tossica è di per sé pericoloso. «Parlare di bere moderato è un po’ come giocare alla roulette russa: chi vorrebbe assumere tutti i giorni del veleno seppur in dose minima?». Que- sti concetti faticano però a farsi strada in una cultura come la nostra, dalle forti tradizioni contadine e vini- cole, e nella quale spesso si inizia a bere fin da piccoli in famiglia. «L’infanzia e l’adolescenza sono le età più a rischio: l’organismo ha ancora una relativa immaturità dei sistemi enzimatici necessari a metabolizzare l’al- col, che, a parità di dose, determina danni maggiori», spiega Torchio. «Anche il sesso femminile, per diffe- renze nel metabolismo rispetto al sesso maschile (mi- nore efficacia nella rimozione dell’alcol, barriera ga- strica meno efficiente), è più sensibile al danno alcol correlato: bere è più dannoso per le donne, e ci sono casi di ragazze con la cirrosi epatica già a 18-20 anni». «T ra le regioni italiane, l’Emilia Romagna è quella con la più alta mortalità per problemi alcol correlati tra i giovani dai 14 ai 24 anni», dice Stefano Alberini dell’Acat, Associazione club al- cologici territoriali. «Ma non c’è da stupirsi, visto che è anche tra le prime regioni per produzione alcolica. Significa, da Piacenza a Rimini, una distilleria ogni 10 km». Anche Pierluigi Allosio, responsabile del Servizio alcologia dell’Asl To1 a Torino, punta il dito sulla «lobby dei produttori, molto forte nel nostro paese e in grado di condizionare la politica. Le recenti normative anti-alcol per la tutela dei minori o la condotta al vo- lante sono dovute all’azione dal basso di cittadini e as- sociazioni, e si sono raggiunte dopo anni di tira e molla. Malgrado ciò, la Commissione nazionale alcol è stata azzerata. E a oggi non si è riusciti a ottenere, come per le sigarette, la dicitura sulle confezioni che l’alcol nuoce alla salute». Molto resta da fare, «a co- minciare dalla formazione degli operatori sanitari, spesso sprovvisti di adeguate competenze in materia», dice Allosio. Lo conferma la storia di Bianca, che da quattro anni frequenta un club di Torino: «Quando ho deciso di chiudere con l’alcol mi sono rivolta a vari dottori: due medici di base e alcuni operatori del Sert. Nessuno di loro ha fatto accertamenti sul mio stato di salute né mi ha parlato dei club alcologici territoriali. A un certo punto ho deciso di fare un esame a paga- mento, a mie spese, e in ospedale per la prima volta sono venuta a conoscenza di un club che si trovava a due passi da casa mia!». Stefania Garini © Stefania Garini

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