Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2016

che disciplina solo l’informazione giornalistica, «ma la questione ri- guarda tutti». Al punto 7 la Carta afferma che «nel caso di minori malati, feriti, svantaggiati o in dif- ficoltà occorre porre particolare attenzione e sensibilità nella diffu- sione delle immagini e delle vi- cende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi a un sensazionalismo che fi- nisce per divenire sfruttamento della persona». «Vale solo per i bambini bianchi?», chiedono gli autori. Quello della tutela dei minori non è l’unico problema. Ce n’è un al- tro al quale, ammettono gli edito- rialisti, anche i missionari in pas- sato hanno contribuito: quello di rafforzare «il già ben radicato im- maginario coloniale dell’Occi- dente sull’Africa». Cioè di conti- nuare a dipingere il continente - e il Sud del mondo in genere - come un luogo bisognoso e indifeso il destino del quale deve essere de- ciso altrove, sdoganando così un colonialismo «a fin di bene». Daniele Timarco, direttore dei programmi internazionali di Save the Children Italia, intervistato da Eleonora Camilli su Redattore So- ciale, ha opposto che quelle im- magini sono quelle viste ogni giorno dagli operatori impegnati sul campo: «Proprio perché inac- cettabili, sono immagini anche giuste da trasmettere con l’obiet- tivo di sensibilizzare e spingere le Spot contro la fame o fame di spot? L’episodio che negli ultimi mesi ha riaperto la polemica è uno spot della ong Save The Children , che dal 2013 ha lanciato una campa- gna di raccolta fondi sostenuta da video. L’ultimo, dell’inizio 2015, mostra «John», un bambino mal- nutrito, che respira con affanno, con la pancia gonfia, la pelle disi- dratata e lo sguardo intontito. Dopo di lui, una bambina piange sommessamente e un altro pic- colo è appoggiato al fianco della madre, debolissimo e con le ossa visibili sotto la pelle. (La versione inglese del video include anche, alla fine, l’immagine di una borsa con il logo della ong che i donatori riceveranno come ringraziamento per il contributo). «Immagini strazianti che durano un’eternità», hanno commentato Pier Maria Mazzola e Marco Tro- vato di Africa , la rivista dei Padri Bianchi, in un editoriale dal titolo Fame di spot . Dopo i bambini de- gli altri video, rincarano gli autori, «adesso tocca a John impietosire i telespettatori per strappar loro nove euro al mese». Questo «ri- pescare il crudele cliché dello scheletrino africano», spinge Mazzola e Trovato a chiedersi che ne è stato della Carta di Treviso , il protocollo su informazione e mi- nori approvato nel 1990 da Or- dine dei giornalisti italiani e Te- lefono Azzurro: è un documento persone a reagire con indigna- zione». «Le immagini sono state realizzate con il consenso dei ge- nitori», ha aggiunto Timarco, «con il coinvolgimento dei bambini e delle bambine e della comunità stessa. Molto spesso sono le fami- glie stesse che ci chiedono di rac- contare la loro vera storia, di far vedere la drammaticità delle loro situazioni». Quel che interessa Save the Children , ha concluso il suo funzionario, è «toccare la co- scienza delle persone al di là del contributo economico». Di confine fra sensibilizzazione e pornografia del dolore, peraltro, si era già parlato con Mission , il «reality umanitario» che vedeva impegnati diversi personaggi tele- visivi - Al Bano, Paola Barale, Ema- nuele Filiberto di Savoia e altri - in viaggi su campo in diversi paesi africani e latinoamericani. In quel- l’occasione la reazione del mondo delle Ong fu altrettanto polemica e le argomentazioni a favore e contro molto simili (vedi MC 3/2014 p. 74). La situazione normativa Il dibattito si è riaperto lo scorso novembre con la proposta di Nino Santomartino, responsabile della comunicazione dell’ Associazione delle ong italiane (Aoi), di avviare un tavolo di lavoro con organizza- zioni no profit, realtà della comu- nicazione e dell’informazione, professionisti, consulenti e ricer- • Cooperazione | Fundraising | Bambini | Media • MC RUBRICHE © Gigi Anataloni

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