Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2016

38 MC GENNAIO-FEBBRAIO 2016 L’altra faccia della crescita è la crescita delle temperature (riscaldamento glo- bale), dei rifiuti e delle discariche, della deforestazione, dei profughi ambien- tali. Una crescita questa di cui si parla soltanto in occasione di qualche con- vegno internazionale - ultima la Con- ferenza di Parigi sul clima (30 novem- bre - 11 dicembre) - per poi cadere nel dimenticatoio. «Il sistema tende a nascondere i suoi danni e le sue distorsioni. E quando è costretto a riconoscerli li sfrutta per rafforzare la sua mania di crescita. La questione dei rifiuti è un caso di scuola. La spinta al consumismo produce una tale quantità di rifiuti da non sapere più dove metterli. E dopo avere riem- pito ogni discarica possibile, inquinando falde e corsi d’acqua, la soluzione individuata è bruciarli. Bruciando i rifiuti si riempie però l’aria di diossina e polveri sottili, che provocano tumori. Con somma gioia delle imprese farmaceutiche per le quali più malati significano più affari. Classica dimostra- zione di come le ideologie possono diventare ti- ranne, quando prendono il sopravvento sul rispetto umano». La corsa al ribasso: meno salari, meno diritti, meno regole Governi, istituzioni economiche emedia alli- neati sostengono che i problemi attuali sono ge- nerati dalla spesa pubblica eccessiva, dal debito accumulato da alcuni stati, dallamancanza di flessibilità in alcuni fattori di produzione (in pri- mis, del lavoro). Questa analisi unilaterale ha portato all’adozione di politiche economiche neoliberiste che hanno prodotto un incremento dei supericchi e a un livellamento verso il basso di tutti gli altri fino alla nascita di una classe (numericamente consistente) di occu- pati poveri. Come cambiare questo trend apparentemente inarrestabile? «Le persone che, pur lavorando, sono in povertà, in tutto il globo sono un mi- liardo e mezzo, un fenomeno che non è relegato al Sud del mondo, ma che si estende anche al vecchio Nord indu- strializzato. In Italia sono l’8% degli occupati, frutto amaro della globaliz- zazione di un sistema che considera il lavoro solo un costo da comprimere. Potendo spostare la produzione dove i salari sono più bassi e i diritti meno garantiti, le multinazionali hanno messo i lavoratori cinesi in concorrenza con quelli bengalesi, quelli italiani con quelli rumeni. La soluzione è arrestare i processi di deregolamentazione commerciale che oggi si portano avanti tramite i trattati regionali come il Ttip. Contemporaneamente bisogna fissare delle regole salariali, di contribuzione sociale, di ri- spetto dei diritti sindacali, valide per tutto il mondo, affinché nessuno sia costretto a stare sotto la soglia della decenza. L’Europa dovrebbe dare il buon esempio introducendo il principio del salario vivibile valido per ogni stato dell’Unione». Apple, Google, Facebook, Amazon: i costi occulti della rivoluzione digitale È fuor di dubbio (lo scrive da tempo anche The Economist , il settimanale di riferimento del ca- pitalismo) che la continua espansione della tec- nologia - qualcuno parla di «religione tecnocapi- talista» - crei meno posti di lavoro di quelli che distrugge. Senza dire che essa consumamaterie prime non rinnovabili e che la rapidissima obso- lescenza dei suoi prodotti produce rifiuti di diffi- cile smaltimento. Insomma, i costi di questa ri- voluzione sonomolto salati. «La tecnologia non è né buona né cattiva, dipende dall’uso che se ne fa. Nel sistema capitalista è mo- nopolizzata dalle imprese con l’unico obiettivo di inventare nuovi prodotti e ridurre i costi di produ- zione. Ma la scarsità di risorse oggi ci obbliga a li- mitare l’espansione dei consumi, mentre l’esclu- sione sociale ci obbliga a ripensare la tecnologia quando diventa nemica dell’occupazione. Personal- mente sono per le tecnologie intermedie che, se da una parte puntano a liberarci dalla fatica e a poten- ziare la produzione, dall’altra sono leggere, control- labili, ad alta sostenibilità ambientale. In ogni caso quando sobrietà e tecnologia riducono il bisogno di lavoro, bisogna saperlo ridistribuire riducendo l’o- rario di lavoro». Lemultinazionali della digital economy (o net economy ) sono sempre più potenti. Apple, Goo- gle, Facebook, Amazon aumentano fatturati e profitti, ma producono pochi posti di lavoro e sono i primi elusori fiscali al mondo. Cosa pos- siamo fare davanti a questamarcia dell’oligopo- lio digitale? © Oxfam Italia 2015

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