Missioni Consolata - Dicembre 2015

ARGENTINA 20 MC DICEMBRE 2015 # A sinistra e sotto : donne delle comu- nità kolla di Río Blanquito e El Angosto del Paraní, nella zona pedemontana delle Ande, nella provincia di Salta. Continua a pagina 24. Progetti invasivi e non sostenibili, prima di tutto perché le imprese occupano terre appartenenti ai popoli indigeni, e poi perché sono incentrati sul consumo irresponsa- bile delle risorse forestali e di quelle minerarie». Un razzismo radicato Le risorse naturali presenti sui ter- ritori indigeni sono un altro grosso elemento di conflittualità. In teo- ria, per le popolazioni indigene le norme prevederebbero un coin- volgimento diretto (la cosiddetta «consulta previa») e poi una par- tecipazione alla gestione delle stesse, ma niente di tutto questo viene rispettato. A settembre 2015 la sezione ar- gentina di Amnesty International ha reso pubblico uno studio che conta 183 conflitti in atto nel paese tra comunità indigene e isti- tuzioni pubbliche-imprese-giu- dici 4 . L’indagine di Amnesty è ri- marchevole e tuttavia in difetto. Alcuni conflitti sono seguiti da anni dallo stesso padre Auletta, che racconta: «Quando ero nel Chaco fui accanto ai Tobas che lot- tavano per avere il titolo di pro- prietà sulla terra. Alla fine, l’esito fu positivo, ma quanta fatica! A Salta le situazioni di crisi sono molte e ancora senza soluzione. Si va dalla lotta dei Tupí-Guaraní contro l’espansionismo dell’indu- stria zuccheriera Tabacal (appar- tenente alla multinazionale Usa Seaboard Corporation ) a quella degli Ava-Guaraní contro la disca- rica a cielo aperto di Pichanal. E ancora la vicenda del gasdotto del Nord Est che attraverserà il terri- torio wichí e che lo scorso settem- bre ha portato a scontri tra la poli- zia e gli indigeni». Qualcuno con- testa al missionario che la chiesa non dovrebbe intervenire in ma- niera tanto diretta. «Io rispondo che, indipendentemente dai go- verni di turno, la chiesa non può venire meno al suo atteggiamento profetico. Con rispetto poi alle questioni dell’ambiente, ricordo l’insistenza con cui papa France- sco, nella sua enciclica Laudato si’ , esorta a una “conversione ecolo- gica globale”». Viene da chiedersi come mai i con- flitti si originino sempre sui terri- tori abitati dalle popolazioni indi- gene. «Si hanno gli occhi puntati - spiega il missionario - sui territori degli indigeni perché ancora oggi essi vengono considerati “infe- riori”. E poi si è soliti dire: ”Che bi- sogno hanno di tanta terra?”, non tenendo assolutamente conto del significato olistico (sacro e vitale, non commerciale) che la terra ha per gli indigeni. Dimenticando che, in quanto primi abitanti, essi avrebbero diritto, come dice l’arti- colo costituzionale, alle “terre tra- dizionalmente occupate e ad altre adatte e sufficienti”. Oggi invece sono condannati a elemosinare su- perfici ridotte e non sempre buone, anzi spesso di scarto». L’analisi di Endepa non fa sconti: «Permangono con forza gravi si- tuazioni di morte la cui causa prin- cipale è il razzismo radicato nel cuore della nostra società che an- cora guarda e tratta i popoli indi- geni con mente coloniale. Questo scandalo è ancora maggiore in un paese in cui la gran maggioranza della popolazione si proclama cri- stiana» 5 . Conversione, un obbligo «coloniale» La citata Costituzione del 1853 sta- biliva, con l’articolo 20, che gli stranieri potessero professare li- beramente la propria religione (« los extranjeros pueden ejercer li- bremente su culto »). Cosa invece non consentita agli abitanti origi- nari del paese. L’inciso 15 dell’arti- colo 64 prevedeva infatti la loro conversione al cattolicesimo (« su conversión al catolicismo »). «Sì - conferma padre José -, la Costitu- zione del 1853 parlava della “ne- cessità/obbligo” di convertire gli indigeni al cristianesimo. Pur- troppo sopravvive ancora quella mentalità. Una dimostrazione è la discussione tra i vescovi circa il © Diego Pace © Luca Lorusso

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