Missioni Consolata - Novembre 2015

NOVEMBRE 2015 MC 53 sono stati considerati come ele- menti eterodossi e quindi anche perseguibili. Perché? Da un lato, il fatto che esistano dei gruppi, delle organizzazioni spirituali musulmane, che sono parte del- l’islam, ma che si costituiscono in maniera autonoma e più libera, suscita il timore di un indeboli- mento dell’unità della comunità islamica, immagine dell’unità di- vina. La diffusione delle confra- ternite sufi è quindi interpretata come un attentato alla compat- tezza dell’islam «ufficiale». Da un altro lato, dal punto di vista dot- trinale, l’islam che si ritiene por- tatore dell’unica interpretazione - a partire dal wahhabismo - ri- fiuta la dottrina della totale puri- ficazione in Dio, dell’annienta- mento della persona nell’unità divina ( fanâ’ ). La dottrina sufi dell’annientamento in Dio infatti pone la questione dell’aldilà: come è possibile alla creatura, se non ha relazioni di persone. È interessante sottolineare la su- prema legge dell’unità divina, perché essa plasma tutti gli am- biti della dottrina e della vita reli- giosa, nonché politica, della so- cietà musulmana. Tutto ciò che appare contrario alla suprema legge dell’unità deve essere im- pedito e proibito. Ed è a questo proposito che il caso del sufismo diventa interessante e al con- tempo estremamente simbolico. Eterodossi e perseguibili Il sufismo, in sé non ha nessuna idea che possa davvero sconvol- gere la dottrina dell’islam, non contiene nessun elemento che sia contro la bontà della religione del Profeta. Esso propone piutto- sto una via di realizzazione pra- tica e spirituale del messaggio dell’islam. Nella storia di questa religione però, in numerosi casi, i sufi e, più in generale, il sufismo, si annienta totalmente nell’o- ceano dell’unità divina, perma- nere ancora nella sua esistenza di oggi e in quella futura? Questo punto ha sollevato non pochi so- spetti, e per questo motivo i sufi l’hanno spiegato attraverso il concetto di permanenza ( baqâ’ ) dell’essere anche dopo l’annien- tamento. Ricordiamo a questo proposito il celebre al-Hallâj (m. 922) che - secondo un’interpre- tazione in voga - fu decapitato e poi ridotto in cenere per aver af- fermato « Ânâ al-Hâqq », cioè: «Io sono la Verità divina, la realtà su- prema, Dio». Questa afferma- zione e altre simili hanno destato più di un sospetto: come è possi- bile che un sufi si proclami Dio? Il sufi che pronuncia una frase si- mile è un mistico, un uomo che ha raggiunto una «trasparenza» spirituale tale da farlo sentire identificato con la divinità. Un’af- fermazione come quella di al- Hallâj è il riflesso più compiuto del messaggio coranico «non c’è divinità all’infuori di Dio» ( lâ ilâha illâ Allâh ): se non esiste null’altro al di fuori di Dio, anche io - il soggetto - non sono se non in Dio, quindi io sono Dio. È Dio la realtà suprema, anzi è l’unica vera realtà e tutte le altre sono quasi un soffio, una semplice ap- parenza di quella suprema ve- rità. Questo approccio, benché sia fondamentalmente un riflesso del credo islamico, incute ti- more, e, di fatto, le molteplici persecuzioni e vessazioni nei confronti dei sufi del passato e attuali ne sono la conseguenza. • Sufismo | Islam | Impero Ottomano | Ataturk • MC RUBRICHE Saad Sarfraz Sheikh/Flickr.com M Reza Faisal/Flickr.com

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