Missioni Consolata - Maggio 2015

MAGGIO 2015 MC 17 La necessità lo spinge a cercare la- voro fuori: fa il collaudatore di moto a Pesaro, il caporeparto di uno zuccherificio a Fano. Ma quando gli si presenta l’occasione di andarsene davvero, in Svizzera, per un posto fisso alle ferrovie (per quell’epoca, un terno al lotto) Gino fa repentinamente marcia indietro, e torna là, nel luogo da cui tutti scappano: alla sua terra. E vuole starci con la sua donna, Tullia, che dividerà con lui il suo eretico cammino. Civiltà contadina «Anche a costo di doverlo fare da solo, il mio mestiere nella vita sarà quello di contadino» scrive nel suo diario il 28 dicembre 1969. In quasi totale solitudine, Gino giura fedeltà a quel mondo rurale sull’orlo della scomparsa, privato di mezzi e dignità dal rampante sviluppo industriale dell’epoca, segnato da quella che lo scrittore Moravia definisce «putrefazione». Nel 1970, a soli 23 anni, diventa sindaco di Isola del Piano: un’op- portunità che coglie nella consa- pevolezza che sarà una carta in più da giocare per combattere il degrado fisico e culturale della ci- viltà contadina e per tentarne il ri- lancio. Qui, nel 1973, «mette in scena» gli antichi mestieri, la prima espo- sizione delle «Attrezzature agri- cole tradizionali e degli strumenti che ancora si fanno», cui faranno seguito una serie di eventi per ri- valutare la civiltà rurale, per resti- tuire a contadini e artigiani la fie- rezza del loro mestiere e indicare loro che si può continuare a vi- vere con la terra, grazie alla terra. Se la campagna scompare, è il fu- turo stesso dell’umanità a essere in pericolo: «Senza la riappropria- zione di questo genere di capa- cità, senza essere capaci di pian- tare l’aglio né l’insalata, senza sa- per costruire un giocattolo di le- gno per il proprio figlio, senza sa- per costruire un vaso d’argilla, non si può capire bene il passato né aspettarsi molto dal futuro». Insomma, Gino crede ferma- mente che sarebbe una sciagura se andassero perduti i valori del mondo agricolo: la solidarietà, corrosa dall’egoismo della domi- nante civiltà industriale, la ma- nualità messa a rischio dal ruolo sempre più diffuso delle mac- chine, il rispetto verso la natura, inquinata e corrotta dal nuovo modello di sviluppo. Gino predica, e pratica, un’agricoltura in grado di sintonizzarsi di nuovo con i ritmi di «Madre Natura», rispet- tosa di chi produce e di chi con- suma, capace, grazie alla sua qua- lità, di conquistare spazi di mer- cato che la rendano anche remu- nerativa. l’esperienza più importante della sua esistenza: «L’aver vissuto l’e- popea antichissima della vita con- tadina… nelle campagne c’era sì la povertà, la fatica, ma c’erano an- che i valori che gli uomini hanno dimenticato: la parola data, la so- lidarietà, la cura di un paesaggio che era bello anche da vedere» (Gino Girolomoni, Alce Nero grida. L’agricoltura biologica, una sfida culturale , Jaca Book, Milano, 2002, pg. 87). Tra un piatto di polenta, l’acqua tirata su dal pozzo, i giri nel bosco con la mamma a tagliare le vitalbe per il bestiame, il piccolo Gino passa un’infanzia povera ma fe- lice. Fino a sei anni, quando la mamma muore per una puntura di spino, avvelenata dal tetano. La famiglia, che ha difficoltà a accu- dire i tre bimbi, manda Gino in collegio, dove una vecchia suora gli trasmette l’amore per la Bib- bia. Una passione che segnerà tutta la sua vita. Ma non viene mai meno l’attacca- mento alla terra, ai campi che ri- trova durante le vacanze estive. Alla vigilia del ’68, quando si chiude il ciclo del collegio, il ra- gazzo Gino si trova alle prese con la domanda che tutti i giovani de- vono affrontare: «Dove mi porta la mia vita?». Negli anni caldi della militanza politica e della ribellione giovanile collettiva, mentre l’e- sodo dalle campagne segna pe- santemente anche le sue colline, Gino va controcorrente: si sente attratto dai ruderi di un antico monastero abbandonato, sul colle di Montebello, che sovrasta la sua casa e da cui la vista spazia da San Marino al Monte Conero. Quei ru- deri contengono seicento anni di storia della Chiesa: all’origine c’è il cammino di fede del fondatore, il beato Pietro Gambacorta da Pisa e quello di altri 17 beati che sono passati da lì. «Questo è un luogo privilegiato dello spirito - si dice Gino -. Non deve morire d’oblio». • Ecologia | Agricoltura biologica | Spiritualità • MC ARTICOLI # A sinistra : Gino Girolomoni in un campo di grano della cooperativa. # A fianco : vista del monastero di Montebello, con la chiesa in primo piano.

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