Missioni Consolata - Dicembre 2013

DICEMBRE 2013 MC 61 persone. Ma noi, gli africani, cosa abbiamo fatto per rendere vivibili i nostri stati? I responsabili si sono riuniti ad Addis Abeba in questi giorni, hanno passato il tempo a parlare della loro sicu- rezza, rispetto alla Corte penale internazionale, ma hanno trascu- rato questo problema che è il più importante. Se i nostri gover- nanti rubano, bisogna giudicarli. L’autorità non è niente altro che un servizio. Se i dirigenti non realizzano che sono in quella po- sizione per fare il bene del po- polo, per il bene comune, se sac- cheggiano le magre risorse, oc- corre giudicarli, a qualsiasi li- vello. MC ARTICOLI Questa situazione di miseria che si perennizza è sfida enorme, e la responsabilità è grande sia a li- vello di chi governa sia della po- polazione. Bisogna lavorare, avere iniziativa, prendere il no- stro destino in mano. Dunque le responsabilità sono condivise». Lo scorso luglio voi vescovi del Burkina Faso avete scritto una lettera pastorale ( box ) critica nei confronti dell’istituzione del Senato, voluto dal presidente. Una presa di posizione corag- giosa. «I vescovi sono dei pastori, dei servitori del popolo di Dio. Se la situazione sociale, umana, sani- taria, alimentare, educativa, di sicurezza della gente non inte- ressasse noi pastori sarebbe una vera catastrofe. Abbiamo una re- sponsabilità comune e dobbiamo essere la voce dei senza voce. Siamo in mezzo al popolo, siamo solidali con esso, abbiamo quoti- dianamente delle sfide da affron- tare, sulla povertà e sull’avvenire di questa gente. Siamo dei citta- dini come gli altri, e penso che abbiamo voce in capitolo. “Alla parola in famiglia è convocato ogni membro della famiglia - di- ciamo in moore - al lavoro della famiglia devono essere convocati tutti i membri della famiglia”, compresi i vescovi: siamo anche Burkina Faso: mosse politiche del presidente padrone ROTTA VERSO IL 2015: TEMPI DIFFICILI In sella da 26 anni Blaise Compaoré le studia tutte per restare al potere. Adesso sta creando un Senato alle sue dipendenze. Ma il popolo non ci sta. E le manifestazioni di piazza sfociano nella violenza. I l Burkina Faso si prepara a giorni travagliati in vi- sta del 2015, anno delle elezioni presidenziali. In quella data, infatti «scadrà» Blaise Compaoré, al potere indiscusso dal quel lontano 15 ottobre 1987, quando fece assassinare il presidente Thomas Sankara e 12 suoi stretti collaboratori. Blaise, così viene chiamato in Burkina, è passato indenne attra- verso elezioni, multipartitismo, assassinii politici ec- cellenti del suo regime (come quello del giornalista Norbert Zongo, ucciso il 13 dicembre 1998), lotte in- terne del suo partito, il Cdp (Congresso per la demo- crazia e il progresso), modifiche costituzionali. Ed è proprio la Costituzione del 1991, modificata nel 2005, che ha ridotto la durata della presidenza da 7 a 5 anni, e imposto il limite a due mandati. Compaoré rieletto nel 2005 e 2010, sarebbe, il condizionale è d’obbligo, al suo ultimo mandato. Ma da mesi ormai, il presidente e i suoi lavorano per cambiare quel famoso articolo 37 della Costituzione, che limita i mandati presidenziali. L’ ultima trovata è la creazione di un Senato, che porterebbe il Parlamento a un sistema bicame- rale (attualmente si basa sull’Assemblea Nazio- nale di 111 membri). Creazione anacronistica, visto che in altri paesi della regione, come in Senegal, il Se- nato è stato soppresso per tagliare i costi della poli- tica. Così il 21 maggio scorso i deputati hanno appro- vato la legge sul Senato che sarà composto da 89 se- natori, di cui 29 nominati direttamente dal presidente, 39 eletti o designati dalla collettività territoriali e 21 indicati dalla società civile. Il calcolo politico è chiaro: con un Senato sotto il suo controllo, il Cdp avrebbe con tutta probabilità la mag- gioranza qualificata di due terzi dei parlamentari per modificare l’articolo 37. M a i burkinabè, popolo mite e tollerante, questa volta sembrano non essere d’accordo. L’idea del Senato manda in ebollizione la società del paese. Diverse manifestazioni investono le strade della capitale Ouagadougou e di altre città del paese, a maggio, giugno e luglio. Alcune, in particolare con- dotte dagli studenti, sfociano in atti violenti come se- questro e distruzione di vetture di passaggio, e chie- dono le dimissioni di Blaise. I giovani, il 59,1% dei burkinabè è sotto i 20 anni, diventano la spina nel fianco del presidente. E la Chiesa non sta a guardare: il 15 luglio i vescovi del Burkina Faso, che già si erano espressi in passato con- tro la modifica dell’articolo 37, diffondono una Lettera pastorale dai toni pacati ma fermi, che critica le nuove mosse del potere (vedi box). Usa e Francia vorrebbero mantenere il paese nella stabilità, vista la turbolenza che ha investito tutta la regione da circa due anni (guerra in Mali, attentati qaedisti in Niger, gruppi integralisti in Nigeria, ecc.). C’è chi dice che anche Blaise voglia farsi da parte (e per lui si cerca una posizione di prestigio in una orga- nizzazione internazionale), ma il suo partito non è pronto e si scatenerebbe una guerra di successione. In prima fila il fratello minore, François Compaoré, testa calda e implicato, tra l’altro, nell’assassinio del giornalista Norber Zongo. Marco Bello

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