Missioni Consolata - Dicembre 2013

OSSIER 46 MC DICEMBRE 2013 N ato a Bra nel 1942, ordinato nel ’67 a Torino, a 30 anni è partito per l’Argen- tina. Al tempo dei generali ha fatto 4 anni di prigione. A 40 anni è andato in Nicaragua, tentando l’avventura in un paese che in quel momento era per lui molto interessante per la rivoluzione sandinista, «una rivoluzione cristiano marxista, chiamiamola così, tanto per spaventare qualcuno», ci ha detto. E poi a 50 anni è partito per la Colombia. «Adesso, a 70, vado di qua e di là. Sono stato in Albania, in Pale- stina. Muovo i miei ultimi passi sempre cercando di riflettere». Di recente, a Torino, è nata, grazie a lui, l’università del perdono: www.universitadelper- dono.org. Che senso ha, secondo te, parlare di giustizia ripa- rativa su una rivista missionaria? «Se una rivista missionaria s’interessa dell’uomo, della persona, certamente il tema della giustizia ri- parativa è importante. Purtroppo ancora poco di- battuto. Si tratta di liberare l’uomo. Nella giustizia riparativa il centro di tutto è la persona umana. E mettere l’uomo al centro vuol dire fare un buon ser- vizio missionario». Come si sposa la missione della Chiesa con il tema della giustizia riparativa? «Io preferisco la parola “restaurativa”. Perché “ripa- rare” vuol dire mettere le cose a posto, invece qui si tratta di restaurare la persona, ridarle dignità. Credo che questo discorso sia una sfida fondamen- tale per la Chiesa oggi. Un discorso che i politici non sanno fare o non vogliono fare. È quello per cui l’uomo, nonostante i suoi errori, e anche l’uomo vit- tima, viene riconosciuto come persona degna di ri- spetto, degna di amore. Oggi, nel sistema di giustizia la vittima scompare, non è importante. La giustizia cammina da sola senza ascoltare il dolore di chi ha sofferto. Allo stesso tempo, il colpevole non viene ri- stabilito come persona. Io penso che la funzione della giustizia non sia di castigare, ma neppure di essere indifferente. La funzione della giustizia è di restaurare: la vittima, il colpevole, la società. Certo, ci sono delle condizioni: se il colpevole non riconosce quello che ha fatto, allora deve intervenire una giu- stizia che diventa “retributiva”. Ma se il colpevole è capace di assumersi la responsabilità di quello che ha fatto, allora si entra in un dialogo di umanità. Non di castighi, di leggi, ma di umanità, dove le persone acquistano un rilievo fondamentale, e ognuno as- sume le proprie responsabilità, trovando anche le strade di riparazione». La Chiesa si è mai espressa in maniera ufficiale ed esplicita sul tema della giustizia restaurativa? «No. Fin’ora no. Sarebbe una bella sfida. Penso che sarebbe bello se ci si sedesse un po’ di teologi, di filo- sofi, qualche giurista a pensare, riflettere insieme. L’importante cos’è? È la persona umana! Sempre. Il cuore della nostra fede non è Dio, di cui possiamo parlare molto poco, ma siamo noi. Noi che entriamo in noi stessi in profondità, e poi nello spirito, nella verità, riscopriamo Dio. E siamo capaci anche di perdonare, di restaurare e di lasciarci restaurare. Questo mi sembra che sarebbe per la Chiesa un “buon campo di battaglia”. Aiutare la società ad af- frontare la domanda che da 2.800 anni ci si pone: “Come castigare un crimine senza commetterne un altro?”. Noi normalmente perseguiamo i crimini fa- cendo altri crimini. Basti pensare a come sono ge- stite le prigioni. Basti guardare la carica di odio, di rancore che si accumula con la nostra giustizia. Ma che giustizia stiamo facendo? Noi abbiamo, come Chiesa, un’esperienza di fede, di vita, di sensibilità che è insuperabile. Forse non abbiamo riflettuto an- cora abbastanza su questo tema. Sarebbe un annun- ciare un’umanità nuova. La famosa civiltà dell’a- more, del rispetto per la persona, anche per il colpe- vole, ancora di più per la vittima. La giustizia restaurativa è, alla fine dei conti, una prassi quotidiana. Faccio un esempio: in Colombia seguivo dei ragazzi che un giorno sono entrati in una casa a rubare. Una volta scoperti abbiamo applicato, in modo informale, tra noi, la giustizia restaurativa: ho proposto loro due tipi di castighi, oppure di sce- gliere loro. Il mio castigo sarebbe stato di farli tor- nare a casa e di non accettarli più, oppure di non PADRE GIANFRANCO TESTA SI TRATTA DI LIBERARE L’UOMO DI L UCA L ORUSSO Se il mondo missionario s’interessa della persona, il tema della giustizia riparativa è importante. Si tratta di liberare l’uomo. Parola di padre Gianfranco Testa, missiona- rio della Consolata che da decenni si occupa di perdono e riconciliazione. © Af MC/G Testa 2006

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