Missioni Consolata - Ottobre 2013

vogliono vivere il loro matrimonio come una voca- zione e un cammino di santità. Qual è la difficoltà più grande che incontri? Vivere un rinnovamento della mente e del cuore per essere in grado di innescare la vera «Nuova Evangelizzazione». Qual è la soddisfazione più grande? La gente di Martina è accogliente, aperta all’ami- cizia e generosa. È una gioia grande sperimentare l’amicizia e tessere rapporti di fede e preghiera. Ci racconti un episodio significativo della tua vita missionaria? Ho difficoltà nello sceglierne uno: ne avrei tantis- simi con i bambini di strada, la gioventù, i laici. Forse ce n’è uno che può riassumere il significato della mia vocazione missionaria. Durante la mia prima missione, una donna chiamata Joy iniziò il catecumenato. Joy non godeva di buona fama nel paese a causa della sua vita libera dopo essersi se- parata dal marito. Spesso veniva a trovarmi a casa con le sue due bimbe, e una di queste, Margareth, diceva che voleva diventare suora come me. Il de- siderio di conoscere Gesù e la fede crescevano in Joy ogni giorno di più e la sua vita cambiò radical- mente. Ricevette tutti i sacramenti d’iniziazione e insieme a lei furono battezzate le due bimbe. Rin- graziandomi mi disse: «Sorella, tu da un diavolo che ero, hai fatto di me un angelo!» (non io natu- ralmente, ma Dio!). Joy capì che il dono della fede lo doveva condivi- dere con gli altri (in Liberia solo il 2% sono catto- lici) e così frequentò il corso di catechista. S’impe- gnò tanto e durante la guerra andava nelle zone dei rifugiati. Non solo a evangelizzare e a pregare con la gente, ma anche a insegnare come usare le granaglie (sconosciute in Liberia) che venivano distribuite dalle Ong. Così Joy salvò tanta gente dalla fame fisica, ma anche spirituale. E Margareth si fece suora? Sì! Anche lei divenne un’evangelizzatrice in una congregazione locale! Quali sono le sfide missionarie del futuro? La grande sfida è quella di saper esprimere la Buona Notizia del Vangelo di Gesù in un linguag- gio comprensibile per la mentalità e la sensibilità della gente di qualunque posto e età essa sia. Es- sere persone di speranza è un’altra sfida, perché si aiuta le persone a dare un senso alla vita solo se si incarnano i valori che durano. L’apertura allo «stra- niero», a chi vive ai margini (o fuori) dei nostri «confini» darà alla missione un futuro. Che cosa possiamo offrire al mondo come fami- glia missionaria della Consolata? Il Carisma della Consolazione che Giuseppe Alla- mano ci ha trasmesso è un dono grandissimo da condividere con le persone. Il mondo d’oggi è as- setato d’amore e di consolazione. Lo spirito di fa- miglia caratteristico del nostro istituto è un altro tesoro che possiamo offrire per arginare il dilagare dell’individualismo e della solitudine. Come coinvolgere in questo i giovani? Per prima cosa dobbiamo conoscere la loro vorti- cosa trasformazione di mentalità. Conoscerne il modo di sentire, di apprendere, di relazionarsi. Una statistica dice che i giovani sono molto più in- teressati alla fede degli adulti; il problema è che non ci rinnoviamo e non offriamo loro «un piatto appetitoso», «un’ancora di salvezza». Che frase, slogan, citazione proporresti ai gio- vani dei nostri centri missionari, e perché? «Diventare il cambiamento che vogliamo vedere nel mondo!» (Mahatma Gandhi). In tutti c’è un de- siderio, anzi una brama insaziabile di vedere pre- sto una situazione migliore a tutti i livelli... e sicu- ramente questo cambiamento può avverarsi nella misura in cui avviene in me, perché ciascuno, e specialmente i giovani, ha l’energia, l’entusiasmo e la capacità di guidare positivamente il corso della vita, della storia e della missione. Luca Lorusso AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT © Af.MC/R. Polato 2010 © Af MC

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