Missioni Consolata - Giugno 2013

GIUGNO 2013 MC 81 S embra paradossale, ma un effetto positivo la crisi lo ha avuto: le spese mondiali per armamenti nel 2012 sono di- minuite dello 0,5%. È la prima volta in dieci anni. Le nuove guerre del terzo millennio, che si sono som- mate a quelle vecchie, e la lotta al terrorismo hanno fatto crescere smisuratamente gli investimenti in armi che oggi superano i livelli del periodo della guerra fredda: nel 2012 sono stati spesi 1.750 miliardi di dollari, il 2% per prodotto mon- diale lordo. La diminuzione rispetto all’anno precedente è dovuta alla contrazione della spesa nei paesi occidentali colpiti dalla crisi, in compenso hanno speso di più le nuove potenze economiche: la Cina registra un 8% in più, la Russia ben il 16%. Insomma non si tratta di un’inversione di tendenza, il pianeta continua a essere super armato e il commercio delle armi fiorente, al primo posto nella classifica degli esportatori rimangono gli Stati Uniti, in contrasto con le crociate di Obama contro le troppe armi in casa propria, poi la Russia e più di- stanti Germania e Francia, l’Italia non sfigura piazzandosi all’ottavo posto. I migliori clienti sono in Asia: India, Cina, Pakistan, Corea, ma an- che i paesi del Nord Africa hanno aumentato le importazioni. Questo è il commercio, per così dire, legale, in cui le transazioni sono registrate dai governi, poi c’è quello clandestino che alimenta i conflitti più spaventosi, come quello della Siria, 200 mila vittime e un mi- lione e mezzo di rifugiati. In Italia, timida e inascoltata dalla politica, si è alzata la voce dei movi- menti pacifisti contro gli F-35 che non solo costano al bilancio della stato decine di miliardi, che inve- stiti diversamente potrebbero far ripartire l’economia e l’occupa- zione, ma sono mostri attrezzati per trasportare armi nucleari tele- comandate. Nel nostro paese mancano le risorse per la ricerca contro le malattie e le varie asso- ciazioni,come l’Airc (Associazione italiana ricerca sul cancro) devono contare sulla generosità dei citta- dini, eppure l’industria italiana de- gli armamenti continua a disporre, anche grazie ai finanziamenti pub- blici, di sostanziosi mezzi per lo sviluppo tecnologico. I n questo scenario desolante, lo scorso aprile si è aperto uno spiraglio: dopo sette anni di complicate mediazioni, l’Assem- blea delle Nazioni Unite ha appro- vato a larga maggioranza il Trattato internazionale sul commercio delle armi . Scopo dell’accordo non è quello di bloccare l’import e l’ex- port di armamenti convenzionali: dai carri armati alle pistole, dagli aerei da guerra ai sistemi di arti- glieria, piuttosto di porvi dei limiti, scoraggiando la vendita a paesi sotto embargo, come la Siria o l’I- raq, o a paesi responsabili di gravi violazioni dei diritti umani, come l’ Uzbekistan o il Congo Rd. Il governo degli Stati Uniti che, pressato dalle lobby dell’industria bellica, ha contribuito alla lungag- gine delle trattative, ha dichiarato che si tratta di un accordo storico perché contribuirà a «ridurre la vio- lenza nel mondo». Gli Stati conti- nueranno legittimamente a pro- durre ed esportare armi, ma do- vranno dichiarare dove sono desti- nate, evitando che vengano utiliz- zate da paesi e gruppi colpevoli di genocidi, crimini contro l’umanità o atti di terrorismo. Amnesty Interna- tional, che avrebbe sperato in un trattato vincolante che prevedesse divieti e sanzioni, ha dichiarato: «Non è l’accordo che avevamo spe- rato, ma è un effettivo passo avanti, in quanto obbliga tutti gli stati ad una maggiore trasparenza» L’opinione pubblica potrà sapere e intervenire, questo è l’aspetto più importante dell’accordo che, oc- corre ricordarlo, entrerà in vigore solo quando almeno 50 paesi l’a- vranno ratificato. Sotto questo pro- filo l’Italia può fare da scuola, infatti, grazie alla pressione di Ong e Isti- tuti missionari e all’impegno di molti parlamentari, già nel 1997 ha adottato la legge n. 185/97 che pone vincoli precisi all’export italiano, ob- bligando tra l’altro le banche a se- gnalare le transazioni che effet- tuano nel settore, inclusi gli importi finanziari e i paesi destinatari. Gli istituti di credito hanno espresso a più riprese la loro protesta, anche con qualche ragione (l’obbligo ri- guarda solo le banche italiane), ma le più attente alla propria reputa- zione hanno capito che è contropro- ducente fare affari sulla morte e sulle stragi e si sono dotate di policy per regolamentare il proprio inter- vento nel settore delle armi. Un grande aiuto è venuto dal pro- fessor Umberto Veronesi che, insof- ferente allo squilibrio tra spese per la difesa e per la ricerca scientifica, ha dato vita da due anni a questa parte a un tavolo di confronto tra banche e società civile che ha por- tato all’adozione di un codice di con- dotta condiviso. ARMI: COMMERCIO TRASPARENTE? Ad aprile l’Onu ha approvato il trattato sul commercio delle armi. Gli stati dovranno dichiarare la destinazione delle armi prodotte. Ma l’accordo en- trerà in vigore solo con la ratifica di 50 paesi. Eticamente di Sabina Siniscalchi, Fondazione Culturale Responsabilità Etica MC RUBRICHE PERSONA, ECONOMIA, FINANZA

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