Missioni Consolata - Giugno 2013

AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT GIUGNO 2013 amico 79 S e vi capita di venire a Kinshasa, al quartiere Sans Fil, potrete vedere: muratori, carpen- tieri, fabbri, portatori d’acqua, camion di sabbia e ghiaia. È il cantiere della missione. Stiamo costruendo un dispensario-maternità, una casa per infermieri, una scuola di tre aule. Davanti a tutto questo movimento si erge una piccola stele solitaria con una pietra sopra. È una pietra che ha avuto tutti gli onori quando il Ve- scovo, in visita pastorale, con l’aiuto del capo cantiere, tra la folla esultante, la posava fidu- cioso: si trattava della posa della prima pietra della erigenda chiesa del quartiere Sans Fil. Chiesa dedicata a san Giuseppe di Nazareth, lo sposo di Maria, la Madre di Dio. Giuseppe, l’uomo che ha «tirato grande» Gesù, il lavoratore giusto, umile e silenzioso ben meritava una chiesa tutta per lui. Le tre comunità di base del quartiere Sans Fil si radunano, parlano, discutono, pregano e chie- dono al parroco quando inizieranno i lavori per la chiesa. Il parroco li invita a fare delle attività per raccogliere mattoni, qualche sacco di cemento. I risultati sono scarsi, la gente è povera e tirare avanti è faticoso. Il parroco aspetta da San Giu- seppe un segno, ma, visto che non viene, comin- cia a chiedersi se non occorra cambiare santo e dedicare la chiesa a qualcun altro. Forse Giu- seppe di Nazareth ha già tante, troppe chiese sparse per il mondo e quella di Sans Fil non gli interessa, oppure ha intenzione di offrirla a un al- tro santo. SEPPELLIRE I MORTI Viviamo a Kinshasa la triste realtà di veglie fune- bri irrispettose verso i morti. A causa di miseria e povertà, attorno al cadavere si intrecciano inte- ressi, dispute, canti, preghiere, danze, ubriaca- ture, violenze. Sono soprattutto i giovani a impadronirsi della si- tuazione: arrivando persino a «sequestrare» il co- perchio della bara per farlo poi ricomparire die- tro pagamento. Durante la notte della veglia l’al- cool e la droga circolano sovrani, la musica è as- sordante e la violenza e le risse esplodono. I parenti del defunto stanno a guardare impo- tenti. Aspettano il mattino, quando tutto si cal- merà, quando finalmente la bara discenderà nella fossa e sarà ricoperta di terra. Solo allora avranno un sospiro di sollievo. Cosa fare per educare al rispetto dei morti, al ri- spetto del dolore della famiglia? Cosa fare per educare ad avere davanti alla morte un contegno umano e cristiano? Un luogo di educazione resta pur sempre la chiesa, con le immagini in cui si vede «la Pietà», e la deposizione dalla croce. Immagini davanti alle quali ci si commuove. L’esigenza di una pastorale sul «seppellire i morti» s’impone. Pensandoci bene mi sono ac- corto che chi aveva sepolto Gesù con tutti gli onori portava lo stesso nome del suo padre puta- tivo Giuseppe. Sinceramente cambiare santo cui dedicare la nuova chiesa mi dispiaceva, ma la soluzione era trovata: dedicarla sì a San Giuseppe, ma a quello d’Arimatea. È sintomatico che all’inizio e alla fine della vita terrena di Gesù ci siano stati due Giuseppe: en- trambi pieni di rispetto, d’amore e soprattutto di fede in Colui che il Dio Onnipotente aveva affi- dato alla cura degli uomini. Con questi due Giu- seppe l’umanità, così crudele e inumana da arri- vare al Calvario, si è un poco riscattata. Nonostante i molti santi che portano il nome di Giuseppe penso proprio di fermarmi, per Sans Fil, a quello d’Arimatea. Antonello Rossi I due Giuseppe © Af MC © Af MC

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