Missioni Consolata - Giugno 2013

di Antonio Magnante zione, che vuol comunicare. Di fronte a tale rivelazione gli ascoltatori devono esprimere apertura, ricettività e docilità, non solo alle sue parole, ma so- prattutto alla sua persona. Di conseguenza per Giovanni cre- dere significa accettare e rice- vere Lui come persona (cf. 3,11; 5,43; 12,48; 17,8). ANDARE-VENIRE DA GESÙ Quando Gesù inizia il suo mini- stero pubblico è totalmente sconosciuto. È compito del Bat- tista, quale suo testimone, (1,6- 8.15) indicarlo alle folle (1,31). A due discepoli del Battista, che gli chiedono dove egli abita, Gesù risponde: «Venite e vedrete» (1,39). Essi vanno con lui, e subito altri tre discepoli si uniscono (1,40-51). Questi di- scepoli in seguito vanno con Gesù alle nozze di Cana in Gali- lea. L’andare da Gesù trova il suo vero motivo al termine de- fede in opposizione «alle opere della legge», Giovanni la svi- luppa come risposta all’incon- tro con Gesù di Nazaret. Giovanni presenta la fede come un lungo e faticoso itine- rario che, in ultima analisi, guida il credente a una perso- nale unione col Signore. Oltre alle espressioni ricorrenti come «credere in», «nel nome di», «credere a» o «credere che», Giovanni usa altre metafore per descrivere l’itinerario di fede. Vediamone alcune. RICEVERE IL CRISTO Nel Prologo si può notare un perfetto parallelismo tra «cre- dere» e «ricevere»: «A quanti lo hanno accolto, ha dato il po- tere di diventare figli di Dio: a quelli che credono nel suo nome» (Gv. 1,12). L’irrompere del Verbo incarnato nella storia è una tremenda sfida. Egli è «pieno di grazia e verità», cioè ha in sé la pienezza della rivela- G iovanni afferma chiara- mente il motivo per cui scrive il suo vangelo: «Questi [segni] sono stati scritti, perché crediate che Gesù è il Cristo, il Figlio di Dio, e perché, credendo, abbiate la vita nel suo nome» (Gv 20,31). L’autore scrive perché i cristiani possano avere la certezza della verità che riguarda Gesù e perché, credendo, possano sperimen- tare la vera vita. Giovanni sviluppa una sua teo- logia della fede: è interessante notare come il verbo «credere» ricorra in Giovanni 98 volte, mentre in Matteo 11, in Marco 14, e 9 in Luca. Nella lettera- tura Paolina lo stesso verbo ri- corre 54 volte e il sostantivo «fede» 142 volte. Da queste statistiche risulta che sia Gio- vanni che Paolo danno una grande importanza all’atto di fede anche se con sfumature teologiche differenti. Mentre Paolo sviluppa la teologia della 74 amico GIUGNO 2013 © Af MC/C Giovetti Chi crede inme non avrà più sete Bibbia on the road In occasione dell’anno della fede, indetto dal papa Benedetto XVI, proponiamo il secondo articolo di una serie di tre, per riflettere sulla prima delle tre virtù teologali.

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