Missioni Consolata - Giugno 2013

degli aiuti sono ora potenze eco- nomiche in ascesa. Non solo. Non si era ancora spenta l’eco delle polemiche su- scitate dal libro della sociologa camerunese Axelle Kabou, E se l’Africa rifiutasse lo sviluppo? - uscito in Italia nel 1995 e forte- mente critico nei confronti delle élite e delle popolazioni africane a suo parere responsabili del sottosviluppo quanto, se non di più, dei paesi ex colonizzatori e delle istituzioni finanziarie inter- nazionali - che l’economista zambiana Dambisa Moyo ha rin- carato la dose con il suo La ca- rità che uccide . Il testo di Moyo, anch’esso criti- catissimo, parte dalla constata- zione che dopo cinquant’anni di interventi e mille miliardi di dol- lari in aiuti allo sviluppo riversati sul continente nero dalle istitu- La carità che uccide Ma non è solo quello che non funziona che merita di essere di- battuto e il rischio connesso alle discussioni provocate da L’indu- stria della carità è quello di spo- stare l’attenzione da temi che stanno un passo indietro (o un gradino sopra) rispetto alla mala gestione, e cioè la riflessione sul perché, più che sul come, della cooperazione. Un merito del libro della Furla- netto è quello di riprodurre in modo abbastanza fedele il punto di vista del grande pubblico at- traverso semplici scelte lessicali: termini come «beneficenza», «carità», «generosità» e «aiuto» ci dicono forse molto di più di quello che era nelle intenzioni dell’autrice e cioè che nel nostro paese (e probabilmente anche all’estero) la solidarietà continua a essere percepita più come un gesto di buoni sentimenti a senso unico che una effettiva partecipazione a bisogni e as- sunzione di responsabilità che sempre di più travalicano i con- fini nazionali e riguardano la co- munità umana nel suo com- plesso. Nei forum sulla coopera- zione continuano a emergere in maniera sempre più chiara una serie di dati di fatto che mettono in discussione il senso stesso della cooperazione, se è vero che il più grande contributo al benes- sere dei paesi del Sud del mondo viene dalle rimesse dei loro stessi cittadini emigrati all’estero e che paesi un tempo beneficiari zioni internazionali (Moyo non si occupa di Ong) l’Africa sta peggio di prima e si chiede, quindi, se non sia il momento di interro- garsi seriamente sul senso stesso di questo aiuto che ha creato nazioni di mendicanti con- dannate a una perenne adole- scenza economica. Secondo l’e- conomista zambiana, la via che l’Africa dovrebbe seguire per uscire dalla dipendenza sarebbe quella di prendere esempio dalle economie emergenti asiatiche, incoraggiare le politiche cinesi di investimento su larga scala in Africa, battersi per una reale apertura al libero commercio in ambito agricolo, promuovere la microfinanza, rendere meno co- stoso per gli emigrati l’invio delle rimesse e riconoscere agli abi- tanti delle baraccopoli il titolo di proprietà legale sulla casa in modo che questa possa essere usata come garanzia. Kabou e Moyo concentrano la loro atten- zione sull’Africa; ovviamente Asia e America Latina meriterebbero una trattazione a parte dei loro problemi specifici. Tuttavia, molte delle riflessioni sulla di- pendenza creata dagli aiuti e sulla differenza fra carità e giu- stizia valgono anche per conti- nenti diversi dall’Africa. Ben vengano i dibattiti provocati da libri che raccontano storie di mala cooperazione. Quella di una comunità umana con legami sempre più inestricabili che vive drammi globali tangibili per tutti, però, è un’altra storia e non si racconta né si fa con un sms . Chiara Giovetti Cooperando… 64 MC GIUGNO 2013 # Dambisa Moyo ( a sinistra ) e Axelle Kabou ( qui sopra ). © Dambisa Moyo @ Canada 2020 (Ottawa, 8/9/2009) © http //www continentpremier com

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