Missioni Consolata - Maggio 2013

una funzione di servizio alle persone, in cui le attività e il contesto rurale sono rivolti ad alleviare il disagio delle categorie più svantaggiate: minori a rischio, im- migrati, portatori di handicap fisici o intellettivi, ma- lati psichici, tossicodipendenti, detenuti, ecc. L’Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) riconosce questo tipo di agricoltura come una pratica «multifunzionale» che contribuisce a più obiettivi sociali: terapeutici - si pensi a esperienze quali pet therapy , ippoterapia, onoterapia … - forma- tivi, di inserimento professionale o di «semplice» be- OSSIER AGRICOLTURA SOCIALE, ISTRUZIONI PER L’USO NELLA VECCHIA FATTORIA DI S TEFANIA G ARINI Produrre cibo pulito e sano, favorendo al tempo stesso la riabilitazione e l’inseri- mento lavorativo di persone svantaggiate: disabili, immigrati, minori a rischio… Sono questi gli obiettivi dell’«agricoltura sociale», una pratica che si sta diffondendo in tutta Europa e che in Italia ha già messo a segno un migliaio di progetti. Tra le regioni in pole position nel settore, il Piemonte, che nella provincia di Torino ha avviato importanti esperienze di questo tipo. Siamo andati a conoscerle. S econdo la definizione del professor Saverio Senni, docente di Economia e politica dello sviluppo rurale all’Università della Tuscia (Viterbo) e tra i massimi esperti sul tema, l’agricoltura sociale consiste in «un in- sieme di attività a carattere agricolo in senso lato - coltivazione, allevamento, selvicoltura, trasformazione dei prodotti alimentari, agriturismo, ecc. - con l’esplicito proposito di generare benefici per fasce particolari della popolazione». Oltre a produrre beni agroalimentari, questa pratica svolge dunque © Archivio Frassati

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