Missioni Consolata - Maggio 2013

32 MC MAGGIO 2013 DALLA SIGNORIA DI DIO ALLA SUDDITANZA DI CESARE «Gesù il Nazareno, il Re dei Giudei» (Gv 19,19) a cura di Paolo Farinella, biblista Così sta scritto DALLA BIBBIA LE PAROLE DELLA VITA (75) MC RUBRICHE U tilizzare la moneta dell’imperatore significa riconoscerne formalmente l’autorità, in cambio della possibilità di usarne i benefici per il commercio, lo scambio economico e la vita quotidiana. In questo modo chi detiene la moneta porta con sé l’immagine dell’im- peratore e ne favorisce il potere. Quando vivevo in Palestina, vedendo i miei amici pale- stinesi che spesso manifestavano contro Israele e gli Usa, facevo loro notare una con- traddizione: non era possibile contestare gli Usa, bruciandone la bandiera, vestiti con i jeans ame- ricani e calzando le scarpe nike ! Nemmeno potevano andare all’assalto d’Israele con in tasca lo « shèkel », la moneta ufficiale ebraica. La prima rivoluzione deve essere morale, rifiutando i sim- boli del nemico, specialmente se tornano utili. La rivoluzione di Gandhi contro il dominio inglese cominciò dal rifiuto di indossare i vestiti confe- zionati in Inghilterra e dal rifiuto di usare la moneta con l’effige della regina. In pochi mesi crollò l’industria tessile inglese e con essa il protettorato sull’India. CESARE: L’IDOLO DEI CAPI DEI SACERDOTI Nel rispondere che l’immagine è «di Cesare», i capi religiosi si sono condannati da soli, svelando il loro doppiogioco, fatto di compromessi e interessi: da un lato difendono la «purità» della loro re- ligione, il cui Dio non ammette «altri dèi di fronte a me» (Es 20,3); dall’altro, essi non esitano a contaminarsi nella vita di ogni giorno, corrompendosi con l’uso della moneta come strumento di scambio per l’acquisto di beni. Nel rispondere a Gesù, infatti, essi hanno dovuto prendere una mo- neta dalla loro sacca, testimoniando così che non solo accettano l’autorità di un re usurpatore, ma che usufruiscono anche dei suoi benefici, senza rendersi conto delle conseguenze: usare le mo- nete coniate da un re straniero e invasore, significa legittimare anche l’invasione della loro terra, che è terra di Dio, e dichiararsi sudditi di chi li ha privati della libertà e della loro dignità . Il procu- ratore romano, infatti, per affermare la suprema autorità dell’imperatore « divus Caesar », su tutto Israele, teneva in custodia la veste solenne del sommo sacerdote, il quale la riceveva dalle mani imperiali tutte le volte che era necessario; alla fine del servizio liturgico la veste doveva essere ri- consegnata. Un’umiliazione totale: anche il «dio straniero d’Israele» doveva inchinarsi davanti al «divino Cesare». La risposta di Gesù è duplice. «E pertanto/di conseguenza, restituite [una volta per tutte] le cose di Cesare a Cesare» (per la morfosintassi v. la 1a puntata in MC 3, 2013, 33-34): se accettate l’autorità di Cesare, pur essendo un usurpatore dei diritti di Dio e del popolo e se ne beneficiate perché trafficate con il suo denaro che utilizzate a vostro vantaggio per i vostri affari, è vostro obbligo obbedirgli, pagando anche le tasse che la sua autorità impone, perché non fate al- tro che restituire a Cesare ciò che gli appartiene. In altre parole, Gesù condanna scribi e sacerdoti che, servilmente e liberamente si sottomettono a un’autorità che hanno accettato, ben sapendo che essa non avrebbe potuto imporre tributi se non ai propri sudditi che controlla e domina perché li gestisce come estranei e non come figli: «I re della terra da chi riscuotono le tasse e i tributi? Dai propri figli o dagli estranei? Rispose [Simone]: “Dagli estranei”» (Mt 17,25-26). Se i Giudei utilizzano i benefici di Cesare, non possono lamentarsi se pagano il pedaggio sui servizi che l’uso della moneta comporta. Fare pagare le tasse, infatti, è un diritto di Cesare perché esse sono il «prezzo» dei servizi esercitati. Gesù, in questo modo, con una risposta lapidaria, mette sul banco degli accusati l’autorità religiosa del suo tempo perché si è posta fuori dell’autorità di Dio per passare alla sudditanza di Cesare di cui accetta il denaro come strumento sociale e comunita- rio. Il possesso di «quella» moneta è un’apostasia perché contravviene il comandamento del di- vieto delle immagini: «Non vi farete idoli, né vi erigerete immagini scolpite o stele, né permette- rete che nella vostra terra vi sia pietra ornata di figure, per prostrarvi davanti ad essa; poiché io sono il Signore, vostro Dio» (Lv 26,1). La conseguenza è tragica: chi accetta l’autorità di un’imma- gine scolpita nel bronzo che raffigura l’«idolo» Cesare, significa che ha trasmigrato dal Dio che

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