Missioni Consolata - Marzo 2013

antropologica. Ciò che sapevo di loro riguardava, dunque, lo straordinario contributo alla conoscenza delle lingue locali, il patrimonio d’informazioni e co- noscenze sulle più varie popolazioni e culture esoti- che, accumulato nel corso dei secoli, la redazione delle prime monografie etnografiche, quindi il contri- buto implicito alla nascita dell’antropologia: la disci- plina che ho insegnato per alcuni decenni nell’univer- sità e che pratico nel lavoro di ricerca. Sapevo anche del loro rapporto complesso con l’e- spansione coloniale: dapprima strenui oppositori del sistema schiavistico e appassionati difensori dei di- ritti delle popolazioni indigene, poi - in epoca con- temporanea, quando si generalizzarono i movimenti per l’indipendenza dei popoli colonizzati compro- messi talvolta con il colonialismo. E tuttavia la loro vocazione universalista, mutuata dal cristianesimo, il più delle volte li mise al riparo dai miti nazionalisti e dalle loro conseguenze nefaste». Nel 2006, ad Annamaria capita di trovarsi a tenere una conferenza durante un convegno organizzato da un mensile missionario, sia pure sui generis : «Dei missionari avevo dunque un’esperienza per lo più in- diretta e libresca nonché scarsamente aggiornata al tempo presente. Finché fui invitata come relatrice in uno dei convegni del Cem Mondialità , a Viterbo. Fu un’esperienza inaspettata ed entusiasmante poiché vi trovai molto di ciò che credevo irrevocabilmente perduto con la fine degli anni ’70 e del quale conser- vavo acuto rimpianto: la capacità di rendersi comu- nità - almeno per alcuni giorni - condividendo convi- vialità e calore umano, ma anche competenza, spirito critico, non conformismo, insieme con il senso della ricerca e dell’impegno, dell’ironia e del gioco. Vi tro- vai soprattutto un’attitudine che sembra ormai per- duta nella nostra società (intendo dire nei più vari ambienti professionali, sociali e politici dell’Italia dei nostri giorni): l’interesse verso l’altro/a e la tendenza a valorizzarlo/a e a valorizzarsi reciprocamente. Fu in quella occasione che conobbi un saveriano, pa- dre Domenico Milani. Ne fui colpita: il gran vecchio, sagace e dolce, con un gran senso dell’umorismo, sa- peva raccontare in un modo che non poteva essere più accattivante. Narrava dei suoi incontri con donne e uomini africani, soprattutto congolesi, con una leg- gerezza pari alla drammaticità della loro condizione. Più tardi, prendendo a pretesto una visita alla pre- ziosa collezione etnografica conservata nel rifugio si- lenzioso e solenne dei saveriani di Parma, riuscii a in- contrarlo e a salutarlo per l’ultima volta». GLI HIPPIE DELLA MISSIONE Non fu, quello, peraltro, l’unico suo rapporto con il mondo missionario: «In seguito ho avuto altre occa- sioni per partecipare alle iniziative ispirate dai save- riani: un articolo per Missione oggi e ancora altri ap- puntamenti di Cem Mondialità . Fino al più recente, il 17 marzo 2012, dedicato ai Nuovi spazi dell’intercul- tura , quando fui invitata a parlare delle nuove forme di razzismo in Italia e dei possibili modi per contra- starlo e superarlo, fra i quali le pratiche intercultu- rali. Come sempre, il convegno fu arricchito da mo- menti conviviali e da una performance teatrale inte- rattiva. Anche quest’ultima all’insegna dell’impreve- dibile, del non convenzionale, perfino dello spiaz- zante. Fu mia figlia, che avevo coinvolto nella performance, a offrirmi una chiave possibile per definire quello stile - al tempo stesso laico e spirituale, impegnato e lieve, internazionalista e comunitario - di leggere e vivere la realtà. Con una battuta ironica e folgorante: “Sono dei veri hippie e non hanno bisogno di dro- ghe!”». Fino a concludere: «A pensarci bene, in fondo quella di mia figlia non era solo una boutade . A carat- terizzare il movimento hippie , infatti, furono il pacifi- smo integrale, il senso comunitario, l’esaltazione del- l’amore e della fratellanza, l’ideologia mite e non dot- trinaria, la matrice spirituale attinta al pensiero di Gesù Cristo, Buddha, Francesco d’Assisi, Gandhi…; nonché la controcultura che privilegiava la perfor- mance, il teatro di strada, la musica popolare». Ecco. Senza pretese di esaustività, ovviamente, qual- che idea in più ce la siamo fatta. Anche se il mosaico è lungi dall’esser esaurito, e le sfaccettature della fi- gura del missionario di oggi, sospeso tra una società di fatto postcristiana e un Dio che sta cambiando in- dirizzo, posizionandosi sempre più spesso a Sud del- l’Equatore, sono - ammettiamolo - ben difficili da af- ferrare pienamente. Brunetto Salvarani MARZO 2013 MC 43 MC MISSIONE DI CARTA Lo stand dell’Emi è presente in diverse iniziative, fiere, saloni culturali.

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