Missioni Consolata - Gennaio/Febbraio 2013

GENNAIO-FEBBRAIO 2013 amico 79 Puoi dire due parole sulla Costa d’Avorio? Quali sono le sue sfide missionarie principali? La Costa d’Avorio è un bel paese! Io vi sono arri- vato in un momento difficile: una settimana dopo il primo colpo di stato del Natale 1999. Nel 2000 è cominciata la ribellione, e il paese è stato di- viso in due. Anche noi missionari ci siamo trovati divisi: un gruppo a Marandallah e a Diarà nel Nord, un gruppo nel Sud. A quei tempi facevo viaggi pericolosi per portare cibo, soldi, medi- cine ai confratelli del Nord. Quando mi sono tra- sferito a Marandallah mi sono trovato nella zona della ribellione. Mancavano tutti i servizi: niente elettricità, acqua, telefono… Nel Nord c’è la sfida del dialogo interreligioso che portiamo avanti con la semplice convivenza sincera: condividendo quello che abbiamo di bello. Non solo le cose materiali: Marandallah si è sviluppata nella salute, nell’istruzione, grazie alla parrocchia. Ma innanzitutto la vita. Sono gli atteggiamenti di apertura, di semplicità, di condi- visione, che evangelizzano: sono il sorridere, il porre attenzione, l’aiutare, che parlano di Dio. Puoi dire due parole sull’Italia? Quando mi hanno detto di tornare in Italia ho pensato: «Io sono infermiere, l’Africa ha bisogno di me, mentre in Italia avete già tutto. Quanti in- fermieri, macchinari, dottori? Qui per un farmaco bastano due passi. A Marandallah devo fare 140 km»… Ma alla fine ho visto che anche qui è mis- sione: sono venuto per un servizio missionario nella mia famiglia. Anche in Italia mi pare che si debba innanzitutto essere umili, e ascoltare. Ad esempio oggi ci sono molti stranieri. Quando giro per la strada, vedo che le persone hanno paura di me. E io ho paura di loro. Mi sembra che anche qui la sfida missionaria sia quella della fraternità. Quali sono la difficoltà e la soddisfazione più grandi della tua vita missionaria? Gran parte della mia vita missionaria l’ho vissuta in Costa d’Avorio. Nel Nord la grande difficoltà era l’assenza di ogni cosa, degli strumenti per la- vorare, per curare le persone, oltre alla cultura della gente, per me molto difficile. Bisognava «perdersi». Ho sofferto molto la solitudine. E sof- frivo quando vedevo morire qualcuno per man- canza di medicinali che a 100 km di distanza si sa- rebbero trovati. Ho sofferto anche nel vedere che le persone a volte non capivano i nostri pro- getti, o che volevano qualcosa per sé, ma non per la comunità. Una soddisfazione è quella di aver visto crescere le persone. Anche ragazzi che ora sono all’università per studiare medicina, o qualche bambina che è diventata suora, o qual- che bambino che studia per diventare prete, dei giovani che si sono sposati… Quali sono, secondo te, le grandi sfide della missione del futuro? Seguire le indicazioni dello Spirito. Essere una Chiesa non tradizionale, nonviolenta, aperta al cambiamento. Cosa possiamo offrire al mondo come Missio- nari della Consolata? Quali sono le ricchezze che possiamo condividere con gli altri? Per me la prima cosa è la consolazione. Questa può esprimersi su diversi fronti: con i malati, nello sviluppo… prima di tutto della persona. La nostra composizione internazionale. La nostra disponibilità a rischiare, ad andare dove gli altri non vogliono. Queste cose le ho vissute io stesso nel Nord della Costa d’Avorio. Cosa possiamo fare, secondo te, per avere più impatto nel mondo giovanile? Io penso che dovremmo essere carismatici. Dob- biamo stimolare i giovani fin dal primo incontro. Se tu non hai quel fuoco che diceva il fondatore, non puoi bruciare. Durante queste interviste chiediamo sempre di suggerirci uno slogan da proporre a tutti i gio- vani che si avvicinano ai nostri centri missionari. Cosa proporresti? Brucia il mondo con la tua pace. Luca Lorusso AMICO.RIVISTAMISSIONICONSOLATA.IT © Af.MC/R. Ngaba 2008 © Af.MC/R. Ngaba 2008

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=