Missioni Consolata - Ottobre 2012

44 MC OTTOBRE 2012 Poteva essere, ma non è avvenuto. L’antica storia del samaritano è stata il paradigma della spiritualità del Concilio. Una simpatia immensa lo ha tutto pervaso […] La religione cattolica e la vita umana riaffermano così la loro alleanza, la loro convergenza in una sola umana realtà: la religione cattolica è per l’umanità» (Paolo VI, Discorso di chiusura del Concilio Ecume- nico Vaticano II ). Riparto da qui per la mia riflessione. L’EREDITÀ DEL VATICANO II Riguardo al Concilio, c’è da chiedersi che cosa con- cretamente del suo insegnamento sia stato metaboliz- zato, come bisogna guardare al futuro e come occorra pensare la chiesa del terzo millennio. Credo che nella ricezione del Concilio abbia giocato un ruolo infausto proprio quella qualifica che invece ne costituiva la no- vità e il pregio, il fatto, cioè, che si trattasse di un Con- cilio «pastorale». In effetti, il nodo era quello di pas- sare da una comprensione ingessata della Chiesa a una dinamica , fondata sul mistero trinitario nella mis- sione storico-salvifica che è propria alle divine per- sone. Ma la Chiesa è tale perché i suoi elementi teolo- gici si intrecciano con l’evento umano nella compiu- tezza della differenza di genere e nella molteplice trama di relazioni che lo connota, nel suo habitat spa- zio-temporale e culturale. Perciò la Chiesa è innanzi- tutto Chiesa «nel luogo», con le ipoteche concrete che vengono dalla femminilità-mascolinità o dalle diffe- renti persone che la costituiscono, tutte segnate in profondità dalla cultura che caratterizza quel luogo in quel tempo. Se guardiamo alla storia recente delle Chiese locali, constateremo come il Vaticano II le abbia condotte a una rinnovata coscienza di sé e ne abbia attivato, as- sai più che in passato, le molteplici soggettività cari- smatiche e ministeriali. Ma tutto ciò ha avuto una ferita insanabile proprio nella mancata ricezione della Chiesa locale a livello istituzionale. Ferita so- prattutto evidente nella tipologia dei candidati all’e- piscopato e nelle modalità sempre più centralizzate di scelta e di gestione dei medesimi. Mai come nel post-concilio l’episcopato è apparso un anello debole nella catena ecclesiale. Parallelamente, la scelta prioritaria dei movimenti ecclesiali sulla parrocchia ha orientato altrimenti energie, attese, domande, di- segnando una stagnazione o una irrilevanza proprio del contesto nativo e tradizionale del nascere alla fede e del viverla. I movimenti si sono certo fatti ca- rico di non poche istanze conciliari. Ma la visione parziale che talvolta li ha animati, pur in una cor- nice universalistica ha, a mio parere, di molto reso inefficace la loro carica profetica. A fronte del loro fiorire, assai spesso quasi come chiese parallele, sta il disagio delle parrocchie e quindi delle diocesi, tanto più evidente se rapportato a quella che chia- merei la crisi dell’ episkopé . Di contro il «secolo am- biguo», come pure è stato chiamato il ’900, ha con- sumato quel processo di disgiunzione tra fede e cul- tura, già lungamente in atto nella storia dell’Occi- dente e giunto negli anni ’90 del secolo XX al suo termine. LA MISSIONE SACERDOTALE, PROFETICA E REGALE DEI LAICI Uno degli aspetti più importanti da recuperare del Va- ticano II è la riflessione sulla missione propria dei laici che non è partecipazione al potere clericale, ma al po- tere e alla missione di Cristo, in modo da impregnare del suo spirito la loro vita secolare e il mondo intorno a essi. Seguendo il pensiero del Concilio, possiamo di- stinguere le diverse modalità con cui i laici parteci- pano alla missione di Cristo, specificamente nella sua triplice funzione (cfr LG 31 ss.). La partecipazione dei laici alla funzione sacerdotale di Cristo implica naturalmente una vita incentrata sul- l’Eucaristia; ma tale partecipazione non si esprime solo nella presenza attiva alla Messa, né alle funzioni liturgi- che particolari svolte in chiesa. «Anche i laici, ope- rando santamente dappertutto come adoratori, consa- crano a Dio il mondo stesso» (LG 34). «Tutte infatti le loro opere, le preghiere e le iniziative apostoliche, la vita coniugale e familiare, il lavoro giornaliero, il sol- lievo spirituale e corporale, se sono compiute nello Spi- rito, e persino le molestie della vita se sono sopportate con pazienza, diventano spirituali sacrifici graditi a Dio per Gesù Cristo» (ivi). Pertanto, la loro partecipazione alla funzione sacerdotale di Cristo si esprime soprat- tutto ed essenzialmente nello sforzo di santificare il loro lavoro quotidiano e le loro attività secolari. Consideriamo ora la partecipazione dei laici alla fun- zione profetica o docente di Cristo. Il Concilio insiste nel dire che Cristo «adempie il suo ufficio profetico [...] non solo per mezzo della gerarchia, la quale insegna in nome e con la potestà di lui, ma anche per mezzo dei laici, che perciò costituisce suoi testimoni e li provvede del senso della fede e della grazia della Parola, perché la forza del Vangelo risplenda nella vita quotidiana, fa- miliare e sociale» (LG 35). Per un laico, annunciare la Parola di Dio in chiesa significa senza dubbio eserci- tare la sua funzione profetica. Che questo venga ora fatto mentre prima non avveniva, può ben essere consi- derato un progresso. Ma se ci muoviamo unicamente in questa direzione, finiamo in un vicolo cieco. La voca- zione specifica di un laico richiede che egli annunci la Parola di Dio non nella chiesa, ma nel mondo: nella fab- brica, nell’ufficio, nel club, nella famiglia. È tenuto a far ciò non solo con l’esempio, ma anche mediante la co- municazione diretta della buona dottrina, assicuran- dosi che in questa funzione profetica sia veramente la Parola di Dio a essere comunicata. Non è «facendo ser- moni» che adempirà a questo compito (mal si adatta il ruolo del predicatore a un laico), ma tramite i normali scambi di opinioni tra colleghi e amici dove l’impatto della verità cristiana che l’ispira lascerà il suo segno. Il ruolo profetico comporta altresì che il laico non abbia timore a dare testimonianza della Parola anche quando è impopolare, che non si scoraggi o sia tentato di pre- sentarne una versione annacquata se sussiste pericolo di rifiuto o, addirittura, di persecuzione (cfr Mt 13,21). Il Concilio insiste a che i laici non nascondano la loro fede e la loro speranza, ma piuttosto «con una continua con- versione e con la lotta “contro i dominatori di questo mondo tenebroso e contro gli spiriti maligni” (Ef 6,12), la esprimano anche attraverso le strutture della vita secolare» (LG 35). Quanto alla missione regale, è sulla base della grazia e della verità di Cristo che i laici devono adempiere nel

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