Missioni Consolata - Maggio 2011

rando, sia socialmente, sia a li- vello lavorativo e scolastico. Il ri- spetto dei nostri diritti, qui, è molto scarso. Siamo il punto più debole delle leggi libanesi, che ci escludono da tutto, anche dalla possibilità di ottenere la cittadi- nanza». Usciamo dall’ufficio del Fplp e giriamo per i vicoli del campo: un labirinto di case, cortili, ma- gazzini, uno addossato sull’altro, e sviluppato in verticale, a causa del divieto di edificare nuove abi- tazioni. La mancanza delle più basilari condizioni di igiene e si- curezza sono evidenti. Ci dirigiamo verso la casa di Mohammad, uno dei 5.000 pale- stinesi senza documenti, cioè, persone che per il governo liba- nese «non esistono». Si tratta di una sorta di «clandestini», an- che se risiedono nel paese da decenni. Non hanno carta d’i- dentità e quindi appena lasciano il campo sono arrestati. Sono la categoria più bassa della già tra- gica scala umana del profugo. «Io sono di Yafa (la Giaffa dell’oc- cupazione israeliana, ndr ) - ci racconta Mohammad - e, dopo la Nakba 1 , con la famiglia mi sono rifugiato in Giordania, dove sono stato registrato come profugo. Sono andato in Libano, a stu- diare, a metà degli anni ’70. Nel 1982, durante l’invasione sioni- sta, ho abbracciato la resistenza. È questa la mia colpa, che pago con la mancanza di un qualsiasi documento che attesti la mia re- sidenza e identità. Avevo un pas- saporto giordano, che non mi è stato più rinnovato. Nel 1983 mi sono sposato e ho avuto cinque figli che avevano bi- sogno di certificati anagrafici per poter frequentare le scuole, viaggiare, lavorare. Nel 2008 mi era stato detto che c’era la possibilità di regolariz- zare me e tutti i miei familiari, così mi sono presentato per ri- chiedere finalmente i documenti, ma mi hanno arrestato in quanto “clandestino”. i segni dei bombardamenti israeliani e dei passati e recenti conflitti interlibanesi. Il nostro viaggio in Libano ha come obiettivo la visita ai campi profughi dove vivono circa 400 mila rifugiati palestinesi, gene- razione dopo generazione, da sessant’anni. Sono sparsi in 12 campi ufficiali e 25 clandestini. Non hanno di- ritti, né cittadinanza, non pos- sono esercitare una lunga lista di professioni, hanno scarsi mezzi per curarsi e per studiare, sono spesso il capro espiatorio delle tensioni e dei conflitti in- terni libanesi, ma anche uno de- gli obiettivi privilegiati dei piani di destabilizzazione dei governi israeliani e statunitensi. Un recente studio congiunto tra l’Unrwa ( United Nations Relief and Works Agency, agenzia delle Nazioni Unite specifica per que- sti campi) e l’Università ameri- cana di Beirut ha rivelato che il 67% dei profughi vive al di sotto della soglia di povertà. Tutte le persone che abbiamo in- contrato - gente comune e diri- genti politici - hanno affermato che l’Anp (Autorità nazionale pa- lestinese guidata dal presidente Mahmud Abbas) - ha cessato completamente di interessarsi alla loro situazione. Essi, tra l’altro, sono avversati da tutte le componenti politiche li- banesi, che gestiscono il potere in base a fattori etnico-religiosi, mantenendo un difficile e spesso instabile equilibrio. Per evitare di ritrovarsi nuova- mente coinvolti in conflitti inter- palestinesi e in guerre civili, come è successo fino a un pas- sato piuttosto recente, le varie fazioni palestinesi si sono impe- gnate a mantenere una totale neutralità nei confronti delle lotte interne libanesi. CAMPO DI MAR ELYAS, BEIRUT È il «centro» della vita politica palestinese in Libano, in quanto è sede delle rappresentanze di tutti i partiti. Veniamo ricevuti dal leader lo- cale del Fronte popolare per la liberazione della Palestina (Fplp), Marwan Abdel ‘Aal, che ci parla della difficile condizione di vita dei suoi connazionali in Li- bano: «La situazione sta peggio- MAGGIO 2011 MC 61 MC ARTICOLI Ai miei figli hanno dato permessi provvisori, di un anno, con cui non possono fare nulla. Uno di loro, che si trovava negli Emirati Arabi con visto scaduto, è stato fermato in aeroporto prima di partire per il Libano, e trattenuto lì dentro per otto mesi. È stato rilasciato a seguito di pressioni internazionali, e poi, appena ha potuto, se n’è andato in Norve- gia, dove ha chiesto asilo poli- tico». Le autorità libanesi rifiutano in- tenzionalmente di trovare solu- zioni al caso dei 5.000 palesti- nesi senza documenti. Sanno bene che se vengono respinti alla frontiera, nessuno stato arabo li accoglierà, e che non possono tornare in patria, in Pa- lestina. Mohammad ci spiega che esi- stono tre categorie di profughi: quelli registrati dall’Onu, nel ’49, quelli non registrati e i senza do- cumenti. I primi sono in pos- sesso di documenti libanesi che hanno validità di tre o cinque # Pagina precedente : anziano prega sul monumento in ricordo dei massacri di Sabra e Shatila. A fianco : donne nel campo di Mar Elyas, Beirut.

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