Missioni Consolata - Maggio 2011

l’ospedale. Il mio sguardo foto- grafa articoli di giornali che ar- redano la stanza. Enormi racco- glitori traboccano di carte, docu- mentazione e casi di aggres- sione ad albini. Shymaa è seduta al tavolo di fronte a me, scrive il suo numero di telefono piegata e incollata su un foglio di carta. È molto miope, come la maggioranza degli al- bini. Vede pochissimo e, nono- stante le grosse lenti montate sugli occhiali, ha bisogno di avvi- cinarsi al foglio quasi fino a toc- carlo con il naso. Una delle tante conseguenze dell’albinismo, in- sieme ai tumori alla pelle, è pro- prio la miopia, che si sviluppa fin da bambini, causando loro enormi difficoltà a scuola: non tutti possono permettersi il lusso di un paio di occhiali. A CASA DI VICTOR Arrivo nella scuola del villaggio mentre il muezzin chiama alla preghiera. Victor è sulla porta della scuola, accecato dalla luce per la cura del cancro in tutto il Paese. Per chi vive al Nord- Ovest questo significa affrontare un viaggio di due, tre giorni. «Noi siamo terrorizzati. Il go- verno ha predisposto schiere di poliziotti che scortano gli albini durante questi lunghi viaggi. Ab- biamo paura di girare da soli, di essere aggrediti. Quando non ve- diamo tornare a casa i nostri bambini la preoccupazione au- menta. Io vivo con mio marito e i miei quattro figli. Di notte, se qualcuno bussa alla porta, io ini- zio già ad agitarmi; e i miei figli mi dicono: mamma, andiamo noi, tu non andare». La presidente con il resto del consiglio direttivo e alcuni mem- bri dell’associazione mi ricevono nel loro ufficio: una stanza che l’ Ocean Road ha messo a loro di- sposizione, anche per la massic- cia presenza di albini in cura al- abbagliante di mezzogiorno. Ha gli occhi socchiusi, arriccia il naso e cerca di farsi ombra con la mano come per voler mettere a fuoco. Non mi conosce, ma sa di dover aspettare una mzungu (bianca) che vuole conoscere lui e la sua famiglia. Mi avvicino e mi sorride solo quando sono a pochi centimetri da lui. Non sapendo cosa dire mi prende per mano. La sua mano è porosa, sembra di carta vetrata, mi graffia. È talmente ustionata dal sole da essere coperta da bolle indurite e fastidiose. È un bel bambino. I lineamenti sono delicati; la pelle del viso e del collo è bianchissima, mor- bida, sembra curata o ancora troppo giovane. Prendiamo una strada sterrata; si toglie le scarpe, ne lega i lacci tra loro e le appende al collo. I quaderni e i libri li mette sulla testa e cammina spedito, ma si sente osservato. Timidamente inizia a farmi qualche domanda in inglese. Gli piace studiare. E mi dice che l’inglese è la sua materia preferita. Passiamo in mezzo a bambini che giocano a pallone, accanto a donne che attizzano il fuoco per cucinare l’ ugali (polenta). Tutti ci guardano e lui sorride e saluta, contento di essere importante agli occhi del villaggio perché ha con sé la mzungu . MAGGIO 2011 MC 45 MC ARTICOLI # Dar es Salaam, un giocatore della squadra di calcio degli albini in Tanzania ( Tanzania’s Albino United ). # L’amicizia vince la discriminazione e la paura in cui vivono gli albini in Tanzania.

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