Missioni Consolata - Maggio 2011

40 MC MAGGIO 2011 ricordo bene ciò che avvenne quando tornò da un viaggio africano: insieme al piccolo gruppo che lo ac- compagnava, il Papa si recò nella basilica di San Pie- tro per pregare sulla tomba del primo apostolo. Tutti gli altri sembravano stanchi ed esausti, lui invece era pieno di energia, il volto abbronzato dal sole africano, ringiovanito come se fosse ritornato da un periodo di riposo. La realtà è che egli si trovò a suo agio in Africa e con gli africani. Lo si poteva sentire e capire ogni volta che il Papa parlava agli africani o parlava dell’Africa; in essa trovava alcuni dei grandi valori che gli sta- vano più a cuore: egli seppe capire i valori della cul- tura e delle tradizioni africane e vedervi la loro aper- tura al vangelo e riconoscervi l’amore per la vita. «Queste tradizioni - disse nella sua omelia per l’inau- gurazione del Sinodo per l’Africa - sono ancora l’ere- I libri di storia parlano di personaggi impor- tanti definiti con titoli corrispondenti alle loro imprese o al modo con cui le hanno realizzate. Ai tempi di Roma uno fu chiamato il «Tempo- reggiatore» perché era calmo e prudente nel prendere le decisioni; un altro il «Censore» perché criticava la condotta altrui; il generale che conquistò l’Emilia fu detto «l’Emiliano» e un altro ge- nerale che vinse un’importante battaglia in Nord Africa, nell’attuale Tunisia, fu soprannominato «l’A- fricano». Quest’ultimo titolo mi è venuto in mente riflettendo sulla morte di papa Giovanni Paolo II; egli ha visitato tante volte l’Africa e ha impresso la sua impronta nella chiesa di questo continente: ha aumentato il nu- mero di vescovi e diocesi, così pure quello di cardi- nali africani; ha incoraggiato l’intera Chiesa africana a ricercare una specifica identità africana. Naturalmente ogni tipo di definizione è limitata e li- mitante. Chiamando Giovanni Paolo II «l’Africano» non si intende negare l’importanza del ruolo da lui giocato per la Chiesa nell’America latina o in qual- siasi altro continente o subcontinente. Ma fermia- moci su questo appellativo e guardiamo a papa Wojtyla da una prospettiva africana senza togliere niente alle altre. Lo chiamiamo «Santo Padre» e l’a- more di un padre non è limitato dal numero dei figli che condividono tale amore. Anzi, in questo modo esso è aumentato e fatto anche più forte. Una considerazione mi viene da fare quando studio le statistiche: in 27 anni di pontificato Giovanni Paolo II ha visitato tutti i continenti e moltissime nazioni; ma il primato spetta all’Africa, con 42 stati visitati, cinque dei quali due volte e, altri due, tre volte. Voglio ricordare che Nairobi lo ha accolto tre volte. In una delle mie prime udienze in Vaticano, dissi al Papa che avevamo fatto alcune riparazioni nella sua casa, la residenza della nunziatura, perché fosse più adatta per riceverlo; e che quindi sarebbe potuto tor- nare per riposarvi qualche giorno se avesse voluto. Egli sorrise e sollevò lo sguardo come per dire: «Mi piacerebbe, ma solo Dio sa se sarà possibile». Durante i primi anni del suo pontificato ero a Roma e Papa Wojtyla ha dedicato all’Africa una grandissima e appassionata attenzione, tanto che il cardinale senegalese Hyacinthe Thiandoum (1921-2004) lo ha definito: «Giovanni Paolo l’Africano». L’appellativo è ripreso da mons. Giovanni Tonucci in questo articolo, scritto per la nostra rivista The Seed , quando era nunzio apostolico per il Kenya e firmato con lo pseudonimo di Mzee Mwenda (l’amato, in kemeru ). Giovanni Paolo l’Africano PAPA WOJTYLA E IL CONTINENTE NERO Basilica di San Pietro, processione offertoriale durante la messa di chiusura del Sinodo per l’Africa (1994).

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