Missioni Consolata - Maggio 2011

36 MC MAGGIO 2011 l’aggressore; ingerenza decisa da «un’autorità supe- riore» (non da singoli stati), in base a «regole inter- nazionali certe», «nelle situazioni che compromet- tono gravemente la sopravvivenza di popoli e interi gruppi etnici» (cfr Messaggio GMP 2000 ). Oltre ai gravi focolai di guerra in Terra Santa, Bal- cani, Africa centrale, Iraq, durante i 27 anni di ponti- ficato di Giovanni Paolo II sono scoppiati una ventina di conflitti preoccupanti nei vari continenti, che noi e altre riviste cattoliche abbiamo presentato come «guerre dimenticate»; dimenticate dall’opinione pub- blica, ma non da papa Wojtyla, che ha continuato a proporre a tutti «la civiltà dell’amore» per sconfig- gere lo «scontro di civiltà». GESÙ CRISTO AL CENTRO L’asse attorno al quale ruota tutta l’attività e magi- stero di papa Wojtyla è Gesù Cristo. Egli parla di Lui non in modo distaccato, quasi fosse una dottrina da trasmettere, ma come di una persona viva che egli ha incontrato e di cui si è profondamente innamorato. Come missionario itinerante, egli ama paragonarsi spesso a san Paolo, che diceva: «L’amore di Cristo ci spinge»; non è tanto, spiegano i biblisti, l’amore di Paolo per Cristo, quanto l’amore di Cristo in Paolo a spingerlo. Questo amore è il fuoco, il motore di papa Wojtyla: «L’amore è più forte» grida spesso come un ritornello. Le sue convinzioni non ammettono dubbi o compro- messi: «Cristo è l’unico salvatore di tutti, colui che solo è in grado di rivelare Dio e di condurre a Dio... Per tutti... la salvezza non può venire che da Gesù Cristo... Cristo è l’unico mediatore tra Dio e gli uo- mini... altre mediazioni partecipate di vario tipo e or- dine non sono escluse, esse tuttavia attingono signifi- cato e valore unicamente da quella di Cristo e non possono essere intese come parallele e complemen- tari» (RM 5). Da questa convinzione scaturiscono il grido iniziale del suo pontificato («Aprite, spalancate le porte a Cristo!») e i suoi messaggi di fede e gli ap- pelli alla conversione, come quello lanciato a Parigi nel 1980: «Uomini, pentitevi dei vostri peccati e con- vertitevi a Gesù Cristo». Tali messaggi non sono pu- ramente «spirituali», richiami all’intimismo, ma spinte a trasformare dall’interno persone, famiglie, società, nazioni, per realizzare un modello di svi- luppo più umano per tutti. Nel 1979, il presidente americano Jimmy Carter, rice- vendolo alla Casa Bianca, gli dice: «Lei ci ha costretti a riesaminare noi stessi. Ci ha ricordato il valore della vita umana e che la forza spirituale è la risorsa più vitale delle persone e delle nazioni... L’aver cura degli altri ci rende più forti e ci dà coraggio, mentre la cieca corsa dietro fini egoistici, avere di più anzi- ché essere di più, ci lascia vuoti, pessimisti, solitari, timorosi». E l’insospettabile New York Times scrive: «Quest’uomo ha un potere carismatico sconosciuto a tutti gli altri capi del mondo. È come se Cristo fosse tornato fra noi». Non c’è elogio più bello per il suc- cessore di Pietro. Tale identificazione con Cristo ca- ratterizza tutto il suo pontificato, fino all’estremo della resistenza fisica, fino all’ultimo respiro. Negli ultimi anni, la salute del papa Wojtyla registra una lunga serie di sofferenze, non solo per l’avanzare dell’età, ma per una patologia già rilevata nel 1997 come «malattia neurologica, di tipo parkinsoniano», morbo che avanza vistosamente. Spesso i media in- quadrano cinicamente insopportabili dettagli: mani tremanti all’elevazione, labbra con un filo di bava, volto contratto. A quanti gli consigliano di ritirarsi, argomentando che la Chiesa ha bisogno di un capo in buona salute, Giovanni Paolo II risponde che è dispo- sto a «servire la Chiesa quanto a lungo Cristo vorrà»; la motivazione è chiara e disarmante: «Gesù è forse sceso dalla croce?». Benedetto Bellesi Giovanni Paolo II consegna Ecclesia in Africa - documento finale del primo Sinodo Africano - al cardinal Maurizio Otunga a Nairobi nel settembre 1995.

RkJQdWJsaXNoZXIy NTc1MjU=