Missioni Consolata - Febbraio 2011

nuzialità sabatica è antica ed è testimoniata dal Tal- mud di Babilonia (cf Shabàt 119a) 2 . Il matrimonio è talmente importante per Israele che il sommo sacer- dote non sposato non poteva presiedere la liturgia del giorno di «Yom Kippùr» (ddj, Marriage, 701). Non è un caso che la tradizione giudaica chiama il matri- monio «qiddushìn - santificazione» perché in esso si santifica il Nome di Dio, creatore e tre volte Santo (cf Is 6,3). Non è solo un contratto tra un uomo e una donna, ma l’attuazione del comandamento di Dio che dona, «conduce» Eva ad Adam, il quale la riconosce «carne e osso» di se stesso (cf Gen 2,22-23). Nulla può essere anteposto al matrimonio che ha la precedenza anche sulla sicurezza di Israele, perché la Toràh stabilisce che il giovane appena sposato è esentato anche dal dovere militare: «Quando un uomo si sarà sposato da poco, non andrà in guerra e non gli sarà imposto alcun incarico. Sarà libero per un anno di badare alla sua casa e farà lieta la moglie che ha sposato» (Dt 24,5; cf 20,7). IL MATRIMONIO EVENTO SOCIALE Di norma, il matrimonio si celebra al compimento della maggiore età, che al tempo di Gesù avveniva a 12 anni compiuti (quindi all’inizio del 13°) sia per la donna che per l’uomo, comunque mai prima della pubertà (Talmud, Sanhedrìn 76b), anche se i genitori potevano promettere i figli in sposa o sposo subito dopo la nascita. Il matrimonio non era una scelta personale, ma un evento del gruppo e pertanto era sempre combinato dai rispettivi padri (cf Gen 24,35- 53; 38,6). I figli minori non potevano rifiutarsi di spo- sare i contraenti scelti dalle rispettive famiglie, mentre la donna maggiorenne aveva voce in capitolo e poteva anche rifiutarsi. Al tempo del secondo Tempio, quindi anche al tempo di Gesù, in due sole occasioni i giovani pote- vano scegliersi la moglie tra le ragazze: nella festa popolare del 15° giorno del mese di Av (agosto-set- tembre) e nella festa di Yom Kippùr (Mishnàh, Taanit - Digiuno 4,8): le ragazze, tutte vestite di bianco (per evitare che le povere fossero discriminate), anda- vano a danzare nei vigneti sotto lo sguardo attento dei ragazzi che potevano così scegliersi la moglie. Una volta accettata la proposta di matrimonio da parte del padre della donna o, in sua assenza del fratello più anziano, si contrattava il prezzo (la dote), il mohàr, cioè la somma che lo sposo promesso do- veva pagare alla famiglia della sua futura sposa. In questo modo ella «era acquistata» e diveniva pro- prietà esclusiva del marito, passando dalla sotto- missione del padre a quella dello sposo. La legge giudaica mette in rilievo che nel matrimonio è l’uomo che sposa la donna, non viceversa. IL MATRIMONIO FESTA POPOLARE Il matrimonio si celebrava, di solito, dopo un anno di fidanzamento (cf 1Sam 18,17-19; Mishnàh, Ketubòt 5,2) senza alcuna cerimonia religiosa, trattandosi di un evento civile che solo i libri tardivi chiamano «al- leanza» (cf Ml 2,4; Pr 2,17). Lo sposalizio era, ieri come oggi, l’occasione di una grande festa durante la quale si cantavano canti d’amore in onore degli sposi (cf Ct 4,1-7) a cui seguiva un banchetto (cf Gen 29,27; Gdc 14,10) che di norma durava sette giorni (v. sotto). Al tempo di Gesù, il matrimonio era considerato an- cora uno strumento di alleanze tra famiglie, per cui gli inviti erano fatti con molta attenzione. Alla festa potevano partecipare anche ospiti di riguardo e di passaggio perché il matrimonio era una occasione di prestigio sociale per l’intero parentado. Poiché nulla doveva essere fuori posto, un ruolo importante avevano «gli amici dello sposo» (shoshbinìm) i quali, mano a mano che arrivavano gli ospiti, presentavano allo sposo i regali portati (shoshbinùt). I regali erano importanti: venivano in un certo senso catalogati perché in occasione del matrimonio della famiglia che portava il regalo, lo sposo che lo aveva ricevuto doveva restituirlo nella stessa entità; in caso di inadempienza si poteva esigerlo per via le- gale. In questo senso non si tratta veramente di un regalo di nozze gratuito e libero, ma di una vera «partita di giro» che finiva per costituire una leva potente della economia dell’epoca. Le provviste di cibo e bevande, tra cui troneggia naturalmente il vino, non rientrano tra i regali, ma appartengono alla regola della cortesia parentale o del vicinato. Il Talmùd (Babà Bathrà 144b) però, tra i doni nuziali descrive giare piene di vino o di olio. La durata della festa nuziale è di una settimana come avviene per Giacobbe e Lia (cf Gen 29,22. 30 MC FEBBRAIO 2011 LE SETTE BENEDIZIONI DEL RITUALE EBRAICO Benedetto sei tu, Signore, Re dell’universo, Creatore del frutto della vite. Benedetto sei tu, Signore, Re dell’universo, che tutto hai creato per la tua gloria. Benedetto sei tu, Signore, Re dell’universo, che hai creato l’uomo. Benedetto sei tu, Signore, Re dell’universo, che hai creato l’uomo a tua immagine, a immagine e somiglianza della tua essenza, e gli hai destinato un altro essere umano per perpetuare il genere umano. Sii lodato, Signore, che hai creato l’uomo. Gioisci ed esulta, o donna sterile che vedi riuniti nel tuo seno i figli nella gioia. Sii lodato, Signore, tu che rallegri Sion con i suoi figli. Rallegra, sì, rallegra questa coppia che si ama, come tu hai rallegrato la tua creatura nel giardino di Eden all’origine del mondo. Sii lodato, Signore, tu che rallegri il giovane sposo e la giovane sposa. Sii lodato, Signore, che hai creato l’allegria e la gioia, il giovane sposo e la giovane sposa, esultanza, canto, piacere e allegrezza, fraternità, pace e affettività: che si possa ascoltare presto tra le città di Giuda e le vie di Gerusalemme la voce dell’allegria e voce della gioia, la voce del giovane sposo e la voce della giovane sposa, la voce risonante sotto il baldacchino nuziale, e quelle dei giovani esultanti nel loro banchetto; sii lodato, Signore, che rallegri il giovane sposo insieme alla giovane sposa. Così sta scritto

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