Missioni Consolata - Febbraio 2011

Una caratteristica sorprendente dei warao è che sono capaci di spostarsi con tutta la famiglia, arrangiarsi con qualche lavo- retto, tirarsi su una baracca alla bene e meglio, pur di accompa- gnare due figli che vanno a fare le scuole superiori in città. Terzo, ci sono quelli che vanno e vengono. Si spostano soprattutto per motivi di salute, visto che nel delta non ci sono centri di atten- zione medica, oppure per incas- sare soldi che lo stato deve loro, come il personale infermieristico o gli insegnanti che vanno a riti- rare lo stipendio. Il paradosso, cosa che trovo sommamente in- giusta, è che la gente spende per andare in città gran parte dei soldi che va a incassare. È mai possibile che non si possa tro- vare il sistema di fare arrivare i pagamenti direttamente a Naba- sanuka e negli altri centri all’in- terno del delta? Infine ci sono quelli che vanno temporaneamente a chiedere l’elemosina. Per il warao andare a chiedere l’elemosina non è propriamente mendicare, ma piuttosto un vero e proprio la- voro. Del resto, per loro tutto viene dalla natura e se qualcuno ha di più deve condividerlo con chi non ha. Una volta in città le donne e i bambini vanno a chie- dere l’elemosina, mentre gli uo- mini rimangono a casa a guar- dare la baracca che si sono co- struiti oppure vanno in giro a cercare di guadagnare qualche bolivar. Le famiglie si fermano in città un mese o due, il tempo di raccogliere un po’ di soldi, qual- che vestito che la gente dà loro, e poi ritornano alla loro comu- nità. A volte si spingono fino a Caracas. Non c’è il rischio che l’indio emi- grante perda i suoi valori cultu- rali e religiosi? In effetti ci siamo resi conto che i warao che andavano in città non frequentavano più la chiesa, mentre nelle loro comunità sono fedelissimi a tutte le funzioni. Appena arrivano in città iniziano invece a vedere la chiesa come un qualcosa che appartiene al criollo, al bianco, qualcosa che non sentono più loro. La migrazione crea molte barac- copoli, cresciute ai margini della città; e lì, oltre al lavoro pasto- rale, c’è molto da fare nell’orga- nizzare le nuove comunità. Oc- corre infatti accettare il fatto che sono nuove realtà, cresciute in un contesto urbano e che come tali vanno trattate. È nata da questa presa di coscienza la no- stra decisione di andare in città. Oggi, un missionario della Con- solata, padre Zachariah Kariuki, keniano, vive a Tucupita e lavora in questo settore. La sua pre- senza è importante affinché i warao possano sentirsi accom- pagnati, fare chiesa. Nel nostro piano pastorale cerchiamo an- che di includere elementi della loro spiritualità tradizionale, come la cura della natura, l’eco- logia, perché tutta la loro vita di popolo è nata totalmente im- mersa nella natura. È impor- tante aiutarli a pensare come possono vivere oggi in una città, senza i loro fiumi e con la pre- senza dell’inquinamento: una bella sfida. Come la spiritualità warao in- fluenza lo stile missionario? Il warao è molto rispettoso del divino. Alcuni antropologi affer- VENEZUELA 26 MC FEBBRAIO 2011 mano che i warao non hanno Dio, ma nei miei pochi anni di esperienza ho scoperto di avere a che fare con un popolo profon- damente spirituale, che vive il rapporto con l’essere supremo sullo stile dell’Antico Testa- mento, con grande paura del ca- stigo che può essere comminato, ma anche con grande rispetto. In secondo luogo, secondo la loro cosmovisione, tutto merita di essere rispettato e trattato con dignità perché ogni cosa ha il suo spirito: l’acqua ha il suo spirito, la foresta ha il suo spi- rito… Ne consegue che uno non può entrare in una selva e ini- ziare a tagliare alberi così come gli pare, perché, se lo fa, può ve- nire castigato dallo spirito della foresta. Per i warao la vita è una sola realtà. Noi, che siamo intrisi di cultura occidentale, tendiamo a frammentare la vita, distin- guendo per esempio ciò che è politico da ciò che è invece reli- gioso, economico. Essi, al con- trario, hanno una visione olistica della vita. La chiesa non è vista soltanto come un luogo dove la gente va a pregare, ma come

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