Missioni Consolata - Febbraio 2002

ad un turista frettoloso, tuttavia, queste case possono sembrare vuo- te: chi ci è vissuto ricorda ancora ci- calecci di donne sulla soglia di casa, grida di bimbi, discorrere di uomi- ni accomunati da un uguale destino. Ma le case non sono così mute co- me sembrano: percorrendo lenta- mente i tortuosi viottoli, si scopro- no luminose piazzette tra piccole ca- se dai fantastici decori dipinti dalle donne, la Usaiet el Tutà o mercato degli schiavi, i terrazzi decorati che circondano orti e giardini, il mina- reto e la moschea, i tetti e le merla- ture. Le palme da datteri sopravvi- vono ancora dando frutti e ombra. La vecchia Ghadamès, patrimonio dell’umanità, sopravvive malgrado l’apparente abbandono urbano. Nonostante le nuove e conforte- voli costruzioni, la gente continua a vivere, anche di giorno, nella vec- chia città. Un proverbio arabo reci- ta così: «Se la palma muore, muore anche la città». Per questo e per al- tri motivi forse più pratici, le vie strette e buie ma fresche e acco- glienti sono ancora frequentate e i giardini e i palmeti coltivati come un tempo, quasi che da un giorno al- l’altro qualcuno venisse a control- larne la vitalità. I lunghi corridoi coperti, più si- mili a tunnel scavati nel tufo, con il loro andamento tortuoso servono a bloccare la sabbia trasportata dal vento. La luce penetra da alcuni lu- cernari, e i sedili di pietra sporgenti dai muri offrono ad ogni ora un fre- sco isolamento (rifugio, riparo) dal- la calura esterna. Entrando nelle case si resta affa- scinati dai colori: muri bianchi de- corati prevalentemente in rosso, porte dipinte di blu, nicchie gialle, verdi, rosse e ocra. Si salgono scale di pietra per raggiungere la «stanza di soggiorno». Curiosamente na- scosta in una nicchia, superabile so- lo strisciando sul pavimento, appa- re l’alcova, dove per tradizione gli sposi trascorrono solo la prima not- te di nozze. Le stanze superiori e le terrazze completano l’appartamen- to. Ovunque trionfa il bianco dei muri, l’ocra, il giallo, il rosso, il blu. Sono colori caldi, ma non aggressi- vi, e così ben armonizzati da lascia- re una sensazione rilassante. V isitare Ghadamès è inoltrar- si in un passato che è ancora vivo, un mondo magico do- ve gli uomini delle sabbie sono stati felici con poco. Lo sono altrettanto ancora oggi? Litanie delle dune Dune, grandi dune ondulate come l’acqua del mare, Dune dalla fronte calva, Dune, che il vento lavora e tormenta senza tregua, Dune, che una goccia d’acqua rinfresca una volta ogni cent’anni, Dune, che vedete passare le carovane, Dune melodiose, che cantate al levare del sole, Dune dal burnus d’oro e dal burnus di neve, Dune, dai fianchi sollevati come quelli di una donna prossima a partorire, Dune, nostro sudario quando il simun soffia e ci travolge, Dune, grandi dune del deserto, rendeteci dolce la strada E fate che arriviamo alla meta... Così salmodiando, essi camminano lungo la strada nella sabbia, l’uno dietro all’altro, al passo lungo e leggero dei nomadi. P AOLO Z APPA Personaggio delle dune con il tipico abbigliamento. Seduti a Usaiet el Tutà (mercato degli schiavi).

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