ossier andati in Svizzera per fare una sorta di concilio. Lì abbiamo deciso molte cose, dal regolare la vita dei bambini nelle strutture fino all’accoglienza». «L’apertura al cambiamento è il tema portante di tutti questi anni assieme», riprende Alberto mentre ci accompagna tra gli edifici delle comunità. Giovani in comunità Nel cortile si sente il suono di un pianoforte. È Andrea che diffonde le note all’imbrunire. Arriviamo alla villa signorile poco distante, la dimora ottocentesca che Restelli ha ristrutturato e assegnato, anche in questo caso in affitto, alla comunità Efraim, nata nel 2011 da alcuni dei figli di Sichem alla ricerca di un luogo in cui vivere anch’essi in condivisione ma fuori dalle case dei genitori. Qui abita, tra gli altri, Roberto, classe 1997: «In Efraim vivono sei giovani alla volta. Tre ragazze e tre ragazzi che gestiscono la struttura fondata sulle porte aperte ai bisognosi e sulle attività culturali per il territorio». Mentre parliamo arriva la coetanea Silvia. I due decidono cosa preparare per cena e per quante persone, poi si raccontano la giornata e gli appuntamenti in programma. Di passaggio ci sono un prete di Pisa e due suore congolesi che vivono in Toscana. «Nei giorni scorsi - riprende Roberto, vedendo il nostro sguardo curioso su palloni e manifesti posti in un angolo dell’ingresso - abbiamo organizzato un torneo di pallacanestro in memoria di un ragazzo del paese che ha perso la vita non molto tempo fa»: il dinamismo della Villa si nota al primo sguardo. Tra i ragazzi che ci vivono oggi, dai 23 ai 26 anni, c’è chi studia, chi fa servizio civile, chi lavora: la dimensione comunitaria è una forte motivazione in più a riempire di senso le loro vite. La terza nata Nel 2018, i primi giovani di Efraim, tra cui alcuni figli di famiglie di Sichem, hanno fatto un passo ulteriore, aprendo la propria comunità: Pachamama, indipendente seppure legata alle altre, è posta a poche decine di metri dalla Villa. Incontriamo Giovanni ed Enrica, figli di due delle famiglie fondatrici di Sichem. Sono sposati e hanno due figli maschi piccoli - che ci gironzolano attorno con bici senza pedali nel giardino - e un terzogenito in arrivo: «La prima femmina da generazioni», sottolinea Giovanni. Pachamama, che oggi conta sei famiglie, fa parte della rete delle «comunità Laudato si’», nate dall’invito di papa Francesco a mettersi in gioco in favore della Terra come bene comune. «Ci dedichiamo soprattutto all’alta formazione ambientale, in particolare ogni anno a giugno promuoviamo il Web-weekend di bellezza», un’iniziativa che richiama anche decine di persone in presenza. Un altro appuntamento oramai consolidato, organizzato da tutte e tre le comunità assieme, è la Tavola dei popoli. Un evento che riunisce centinaia di persone residenti nei dintorni ma che hanno origini da diverse parti del mondo. Si può fare «Ci siamo resi conto - ragiona Alberto mentre concludiamo il giro - che il messaggio di questo luogo è generativo: da Sichem è nata Efraim e poi Pachamama, la vita comunitaria si rinnova grazie alla passione di chi subentra». In effetti, questa sorta di rigenerazione continua della comunità originaria è qualcosa di tanto inedito quanto affascinante. Replicabile? «Direi proprio di sì - risponde Alberto -. Bisogna provarci, ognuno come può. Il mondo può essere brutto ma con coraggio si può dare il proprio contributo per migliorarlo». Anche Bruna e Franco lanciano un messaggio: «In fondo la nostra è una scelta in parte egoista, quella di vivere in comunità, perché per primi fa stare bene noi: a casa sei sicuro di trovare un contesto di amici e relazioni che ti aiutano anche nei momenti difficili. Detto questo, la vita è nettamente più facile se la si “fa” insieme». Daniele Biella 44 © Daniele Biella
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