ITALIA © Simona Carnino Il sistema italiano di accoglienza per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) nasce nel 2002 con la Bossi-Fini dopo una sperimentazione in alcuni comuni attraverso il Programma nazionale asilo. Quando nel 2005 l’Italia si trovò a scegliere quale sistema intendeva darsi, optò per il «modello binario»: parallelamente all’accoglienza ordinaria, vennero create le strutture di prima accoglienza come i Cpsa (Centri di primo soccorso e accoglienza) e i Cara (Centri per richiedenti asilo), da cui, trascorso lo stretto tempo necessario alle procedure di identificazione e richiesta asilo, la persona migrante sarebbe dovuta passare al secondo livello, quello dello Sprar appunto. Negli anni queste strutture si sono moltiplicate: nel 2011 sono stati introdotti i Cas - Centri accoglienza straordinaria - e, nel 2015, gli hotspot. I migranti provenienti dai cosiddetti «paesi terzi sicuri» vengono invece inviati ai Centri per il rimpatrio (Cpr, ex Cie e prima Cpt). Arriviamo al 2018 quando il Decreto sicurezza ha trasformato lo Sprar in Siproimi (Sistema protezione per titolari di protezione internazionale e minori stranieri non accompagnati). Infine, nel 2020 il Decreto Lamorgese rinomina il Siproimi in Sai (Sistema di accoglienza e integrazione), riammettendo i richiedenti asilo. Per quanto riguarda i minori ad oggi sono solo 6.574 quelli in seconda accoglienza, pari a circa il 31% del totale, mentre il 40% si trova nei Centri di accoglienza straordinaria. Si.Za. © Opengraph Il sistema di accoglienza italiano DI DECRETO IN DECRETO, DI SIGLA IN SIGLA In alto: nello schema, il sistema d’accoglienza italiano con i passaggi da decreto a decreto, da sigla a sigla. | Qui in basso: migranti al centro di accoglienza «Rifugio Fraternità Massi», a Oulx. | A destra: alla frontiera, le autorità francesi controllano anche nei portabagagli delle auto in transito; all’entrata di Mentone, nota cittadina a ridosso dell’italiana Ventimiglia, un cartello stradale parla di «accoglienza» (non per tutti, però).
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