Poste Italiane S.p.A. - Spediz. in abb. postale "Regime R.O.C." - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NO/TORINO
3 EDITORIALE ai lettori M C NOVEMBRE 2023 | MC | L’Africa dei militari L’Africa, e in particolare il Sahel, ha vissuto una serie di colpi di stato dal 2020 a oggi. Due in Mali (18 agosto 2020 e 25 maggio 2021), uno in Guinea (5 settembre 2021), due in Burkina Faso (24 gennaio e 30 settembre 2022) e infine in Niger e in Gabon (26 luglio e 30 agosto 2023). Del golpe in Niger si è parlato molto, a sorpresa, anche in Italia. Forse perché è un paese strategico come crocevia delle migrazioni e di molti altri traffici. Forse perché vi sono presenti diversi eserciti stranieri, tra i quali un contingente italiano (sul quale si è spesso taciuto). Sovente le popolazioni, soprattutto i giovani, hanno salutato con favore questi colpi di stato. In alcuni casi, le manifestazioni pro putsch sono state organizzate o promosse dalle giunte militari, mentre quelle contrarie prontamente represse (ad esempio in Niger). La presa del potere con le armi è il sintomo di profondi problemi che sfociano in una deriva autoritaria e militarista. La grave situazione di insicurezza dei paesi del Sahel, causata del proliferare e rafforzarsi di una galassia di gruppi armati legati ai diversi cartelli jihadisti (aggravatasi con la caduta di Gheddafi in Libia nel 2011, ma già iniziata in precedenza), ha portato a profonde crisi economiche e sociali. Il sociologo ed ex ministro del Burkina Faso Antoine Raogo Sawadogo ci diceva (MC maggio 2022): «Il colpo di stato è solo l’atto finale di una crisi istituzionale profonda, di società toccate da problematiche alle quali i regimi democratici non sono stati in grado di dare soluzioni». E ancora: «L’appoggio, almeno iniziale, delle popolazioni è dovuto al fatto che queste sperano che un governo forte, seppur non democratico, possa risolvere i loro problemi», e quindi «la democrazia all’occidentale è diventata una questione di secondo ordine, adesso si tratta di sopravvivenza». Ma i militari non saranno la soluzione, neppure dei problemi di sicurezza, come già stanno dimostrando in Mali e in Burkina Faso. D’altronde sono gli stessi eserciti che non hanno saputo vincere i gruppi jihadisti prima dei colpi di stato. Anzi, i golpe portano alla luce anche una crisi dello stesso esercito repubblicano. Un’istituzione che dovrebbe difendere la popolazione anziché prendere il potere con la forza. Il risultato è una regressione dei diritti civili che, faticosamente, avevano fatto qualche passo avanti. Peggio, in molti casi, è la repressione violenta della popolazione. Come è avvenuto in diversi eccidi perpetrati dalle Forze armate maliane (Fama), affiancate dai nuovi alleati russi del gruppo Wagner. Un esempio tra i tanti è quello del villaggio di Moura, dove il 27 marzo 2022 sono state trucidate tra le 200 e le 400 persone dai militari loro compatrioti. Tra i massacri di civili compiuti dall’esercito in Burkina Faso, ricordiamo quello a Karma, a 15 km dalla città di Ouahigouya, nel Nord del paese, il 20 aprile scorso. Qui i militari hanno ucciso almeno 147 civili inermi, tra cui 45 bambini. Fa riflettere, poi, ascoltare le parole del presidente golpista del Burkina Faso, il capitano Ibrahim Traoré che, all’incontro Africa-Russia a San Pietroburgo, nel luglio scorso, ha fatto un discorso populista atteggiandosi a novello Thomas Sankara (il presidente rivoluzionario del Burkina Faso, assassinato il 15 ottobre 1987), consegnando però il paese nella mani della Russia di Putin. «Qui di Sankara non ce ne sono», ci dicono dal Sahel. E si vede: Sankara non avrebbe mai fatto massacrare il suo popolo. Il sentimento antifrancese e antimperialista presente in tutta l’area è legittimo (noi in MC abbiamo sempre denunciato lo sfruttamento dell’Africa da parte delle potenze occidentali), ma chi applaude ai diversi golpe solo perché si contrappongono alla presenza francese ha una visione superficiale, se non miope. Intanto i golpisti si rivolgono a nuovi attori imperialisti, come il citato gruppo Wagner, dalla nota attitudine predatoria nei confronti dei paesi loro alleati. Inoltre in Niger è stato deposto un presidente che tentava di contrastare la corruzione della classe politica, e indirettamente anche il potere neocoloniale francese. Non saranno i militari a portare lo sviluppo e l’autonomia all’Africa. Il potere autoritario delle armi e di una classe - nella quale è presente a grandi dosi la corruzione - incapace di progetti politici non salverà il continente. Insomma: Africa indietro tutta. di MARCO BELLO direttore editoriale
Il numero è stato chiuso in redazione il 11 ottobre 2023 e consegnato alle poste di Torino prima del 31 ottobre. * * 08 CHIESA NEL MONDO a cura di Sergio Frassetto 29 E LA CHIAMANO ECONOMIA L’economia dei respingimenti di Francesco Gesualdi 32 CAMMINATORI DI SPERANZA /9 Geremia, il più tormentato dei profeti di Angelo Fracchia 56 LIBERTÀ RELIGIOSA La chimera della libertà di Manuela Tulli 71 COOPERANDO 5 per mille 2022 più firme e più esclusioni di Chiara Giovetti 81 LIBRARSI Il tempo delle non cose di Rita Vittori In copertina: manifestazione indigena in attesa del responso del Supremo tribunale federale sul «marco temporal», Brasilia, 30/08/23 (foto Hellen Loures / Cimi). https://www.rivistamissioniconsolata.it Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. - I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003). 11 | Novembre 2023 | anno 125 03 AI LETTORI L’Africa dei militari di Marco Bello 05 NOI E VOI Lettori e Missionari in dialogo ELEZIONI DI GENNAIO: CONTESTO E POSTA IN GIOCO TAIWAN, L’ISOLA RIBELLE testi e foto di Lorenzo Lamperti 10 BRASILE Loro sono foresta di Paolo Moiola 17 NORD AMERICA Una storia americana di Jean Paré 22 MESSICO Di tutti, ma non dei Maya di Stefania Garini 51 ITALIA A riflettori spenti di Valentina Tamborra 61 KENYA Due donne e la Rieti farm di Associazione volontariato insieme (Avi) 66 CINA-AMERICA LATINA La Cina è latina di Alessandra Colarizi 75 ALLAMANO Sintonia spirituale e missionaria inserto a cura di Sergio Frassetto SOMMARIO * * * * 61 35 ossier | MC | NOVEMBRE 2023 4 * * * 22
CHI È AL TOP «Eat the rich» è la scritta posta su una scatoletta di cibo con il disegno di un ricco che viene «cotto» sopra un fuoco. È questa l’immagine provocatoria che fa da copertina alla 13ª edizione di «Top200», il report annuale (basato sui dati relativi al 2022) sulle principali multinazionali curato dal «Centro nuovo modello di sviluppo» (www.cnms.it), curato da Francesco Gesualdi. Il motto provocatorio richiama una celebre frase di JeanJacques Rousseau: «Quando il popolo non avrà più da mangiare, allora mangerà i ricchi». Così si capisce chiaramente da che parte stia chi ha predisposto il dossier. Nel merito si tratta - come nelle precedenti edizioni - di uno studio puntuale, sia perché i dati riportati forniscono un quadro preciso della ricchezza delle imprese multinazionali, sia per l’attualità della problematica in un mondo che presenta enormi disuguaglianze. Il sottotitolo - «la crescita del potere delle multinazionali» - sintetizza il risultato che emerge dal report. Anzitutto i profitti delle prime 200 imprese internazionali sono raddoppiati in dieci anni, 5 a cura di Gigi Anataloni LETTORI E MISSIONARI IN DIALOGO NOI E VOI passando da 1.089 a 2.054 miliardi di dollari. Nella classifica delle «top 200» società troviamo 62 multinazionali con sede principale negli Usa e 61 in Cina, che insieme rappresentano il 64,1% del fatturato: 17.770 miliardi su un totale di 27.722 miliardi di dollari. Al terzo posto si colloca il Giappone con 18 imprese e al dodicesimo l’Italia con tre società (Assicurazioni Generali, Eni e Enel). Assai significativo per comprendere il potere delle imprese è il confronto tra le entrate degli stati e i fatturati delle multinazionali. Al primo posto ci sono gli Usa con 8.010 miliardi di dollari di introiti, al decimo troviamo l’India con 682 miliardi, seguita dalla prima delle multinazionali - la Walmart - con un fatturato di 611 miliardi. In questa classifica ibrida (stati e multinazionali insieme), ai primi 100 posti ci sono 72 multinazionali. Il dossier, oltre a numerose classifiche sulle top 200 imprese mondiali, contiene quattro approfon- dimenti relativi ai finanziamenti pubblici alle imprese private, agli affari delle società che producono programmi di intrattenimento, alla crescita dei privati nel settore della sanità e alla presenza di mercenari nei teatri di guerra nel mondo. Proprio questi quattro focus rappresentano la parte più attuale e originale del report. Da non perdere. Rocco Artifoni 17/09/2023 MENO CPR PIÙ UMANITÀ Complimenti per la rivista. A mio modesto parere per quanto riguarda gli immigrati che vengono in Italia via mare occorre trovare una soluzione in Africa, visto che il numero di affamati è enorme. Si può creare punti mensa nelle zone con maggiori problemi utilizzando i canali delle missioni e ong. Meno Cpr in Europa e più aiuti diretti in Africa. Cordiali saluti, Giorgio Tagliavini 23/09/2023 Grazie signor Giorgio per le brevi parole che hai scritto alla vigilia della giornata mondiale dei migranti e rifugiati, a cui abbiamo dedicato il nostro editoriale del mese di agosto-settembre. Su questo tema le parole di papa Francesco sono sempre di una profondità e chiarezza unica, che spesso però trovano resitenze incredibili e cuori duri come pietre. Più grave ancora è la strumentalizzazione dei drammi dei migranti a uso elettorale e la chiusura totale nel nome della propria identià culturale da difendere. È decisamente penosa l’impocrisia di chi grida contro certe parole denigranti, come «tribù», perché ritenute umilianti, ingiuste e discriminatorie, da sostituire quindi con altri lemmi più rispettosi della dignità di tutti, e poi di fatto ha idee, atteggiamenti e comportamenti decisamente tribalisti nella pseudo difesa della propria superiorità e soprattutto dei propri interessi. Come già scritto e riscitto, non è con la chiusura delle frontiere e l’incolpare i trafficanti e scafisti che si risolvono i problemi, ma con una vera rivoluzione sociale ed economica nelle relazioni tra stati e popoli, soprattutto da parte dei paesi più ricchi. OPINIONI POST LISBONA Egregia Redazione, leggo da tempo il vostro interessante giornale e sentendomi quasi in famiglia ho pensato di condividere con voi queste riflessioni, benché modeste. La giornata della gioventù a Lisbona ha radunato molti giovani. Bello vederli attenti e in silenzio ad ascoltare le parole del Papa. Il messaggio di verità del Vangelo attira sempre ed è indispensabile per l’umanità. I media hanno sintetizzato il discorso del Papa con le parole «tutti inclusi nella Chiesa». Va benissimo tutti inclusi, ma ciò non vuol dire che si debbano accettare e avallare gli errori e i grandi pecNOVEMBRE 2023 | MC |
cati che si fanno. Bisogna distinguere la persona dall’errore. Va bene tutti inclusi nella Chiesa ma i pedofili per esempio sono stati fin troppo inclusi. Il Vangelo richiede verità; bisogna dire chiaramente ciò che è giusto e ciò che è sbagliato. I giovani devono sapere ciò che è sbagliato e chi compie tali errori deve essere invitato a correggersi. La pedofila è stata per molti la madre dell’omosessualità. A 14/15 anni i giovani sono ancora ragazzini e avrebbero bisogno di essere lasciati crescere serenamente in pace senza caricare sulle loro giovani spalle pesi così grandi come quelli dei dubbi sulla propria identità sessuale, come invece è di moda in questi tempi. Personalmente ho visto il nascere di un atteggiamento gay in un ragazzo che aveva avuto esperienza di pedofilia. Nella scuola dove lavoravo c’era un quindicenne che si vantava con i compagni di sapere cose particolari sulla sessualità, gli altri rispondevano alle sue vanterie deridendolo. Alcuni invece lo ascoltavano perplessi e incuriositi. Lui voleva farsi vedere più emancipato e sperava così di attirarsi tanti amici, di essere più stimato ma a volte finiva col prendersi spintoni e insulti. Convocati i genitori, ignari di tutto, era emerso che, quando dovevano uscire di casa per il lavoro o per spese, mandavano il figlio da un loro vicino che sembrava affidabile ma che invece intratteneva questo ragazzino facendogli vedere video sulla omosessualità e rischiando così di creare nel giovane la «forte distorsione cerebrale e psichica che comporta l’omosessualità» (parole di un importante psicologo membro dell’Associazione internazionale di psicologia applicata). In seguito a queste esperienze subite questo ragazzo a 15/16 anni risultava quindi volersi indirizzare verso l’omosessualità. Un comportamento gay derivato da una pedofilia. Purtroppo, la pedofilia risulta essere veramente all’origine di tanti casi di comportamenti gay. La chiesa ha il dovere di proteggere e salvaguardare ogni persona specie i giovani e per farlo deve dire ciò che è errore e danno e quindi peccato. La pedofilia e l’omosessualità che in genere ne è una derivazione Onestamente non credo che il messaggio centrale della Gmg di Lisbona fosse «Tutti inclusi», soprattutto nella sua interpretazione, come se papa Francesco avesse avvallato pedofilia e omosessualità. Lo slogan «Maria si alzò e andò in fretta» (Lc 1,39), ha una portata molto più vasta e missionaria ed è un forte invito a non chiudersi, a non fare una vita da «seduti sul divano» e diventare concreti testimoni di amore in questo nostro mondo dilaniato da guerre, ingiustizie sociali, cambiamento climatico, povertà, disciriminazioni e intolleranza di molti tipi. La sua lettera rivela comunque una sofferenza vissuta sulla sua pelle di fronte a fatti nei quali sono coinvolti anche dei sacerdoti dagli atteggiamenti certamente non evangelici. E questo mi richiama il dialogo che ho avuto pochi giorni fa con una catechista che mi raccontava della perplessità di una famiglia a mandare i suoi bambini al catechismo dopo aver sentito e letto di episodi di pedofilia da parte di sacerdoti. Vorrei solo confermare che su omosessualità e pedofilia di persone religiose, la presa di posizione di papa Francesco e della Chiesa intera è senza equivoci. Occorre però tanta vigilanza e intelligenza per non cadere nella trappola della generalizazzione che conduce dalla colpa di un singolo sacerdote, o vescovo, o religioso o religiosa a mettere sotto accusa tutto e tutti. Probabilmente nel futuro vedremo anche i preti sposati nella nostra Chiesa, ma non certo come soluzione alla pedofilia. Le statistiche dicono che gran parte degli abusi sessuali sui minori avviene tra le mura di casa. Credo che per affrontare seriamente la situazione occorra smettere di cercare il capro espiatorio e di puntare il dito, ma impegnarsi a vivere con maggior coerenza, tutti e in fretta, l’insegnamento del Vangelo, consci che tutti siamo fragili e peccatori. Per quanto riguarda il legame causa effetto tra pedofilia e omossesualità, non mi trova 6 noi e voi | MC | NOVEMBRE 2023 sono un errore, un peccato, un danno più o meno cosciente per sé e per la società. Il normale bisogno di amicizia e affetto viene confuso con comportamenti sbagliati e contro natura. Nella parabola sulla indissolubilità del matrimonio, a Pietro che di fronte all’impossibilità del divorzio dice che allora è meglio non sposarsi, Gesù risponde che non a tutti è dato di capire e che a volte occorre farsi eunuchi per il regno dei cieli. È però un linguaggio figurato. Non intende dire che occorre veramente farsi eunuchi ma che in certe situazioni bisogna comportarsi come se non sentissimo attrazione sessuale per l’altro sesso. Per rimanere fedeli a volte occorre veramente farsi eunuchi, cioè non ascoltare l’attrazione verso la donna che non è la propria moglie o viceversa verso l’uomo che non è il proprio marito. Nella Chiesa invece sembra che alcuni abbiano preso alla lettera il farsi eunuchi traducendolo anzi in farsi omosessuali, per cui ci sono preti gay che continuano a svolgere il loro ministero pur comportandosi da omosessuali. Altri prelati sono sommessamente favorevoli ai rapporti gay causando così grande scandalo. Va bene accogliere tutti nella Chiesa ma non accogliere l’errore. Accogliere l’errante, ma dirgli chiaramente che deve impegnarsi a cambiare vita, non comportarsi più da gay ma vivere l’astinenza e non praticare rapporti sbagliati e contro natura. [...] La chiesa anziché avallare i comportamenti omosessuali dovrebbe piuttosto rivedere l’ordine di celibato per i preti. Accettare anche preti sposati ma con una fede sincera, forte e disinteressata economicamente. Certo, essere liberi da impegni familiari per poter andare ovunque ad annunciare il Vangelo è più generoso ed eroico ma si potrebbe accogliere anche chi desidera sposarsi. Meglio questo anziché accettare i comportamenti omosessuali. Non è assecondando le persone nei loro grandi errori che si guadagnano i fedeli. Cordiali saluti Enrica B. 18/09/2023
d’accordo. Non penso sia un caso particolare (da lei conosciuto), a dare la regola generale. Preferisco quindi separare le due situazioni. Se la pedofilia è senza dubbio sempre un «errore, un peccato», come lei la definisce, più complesso è il discorso per l’omossessualtà, che può essere un «sentire» differente, un voler vivere i propri sentimenti sulla base di quello che si prova davvero, senza ipocrisia. In questo caso non è un «errore, un peccato». Papa Francesco ha detto infatti: «Essere omossessuali non è un crimine» e, inoltre, «Se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, ma chi sono io per giudicarla?». RICORDANDO DON DELFINO Gent. Direttore, vorrei ringraziarvi per quanto realizzate, in particolare sono stato molto sorpreso dall’articolo del 12 giugno 2023 «La grande avventura». Sono pronipote di don Delfino Bianciotto, da lui battezzato nel suo 49° anno di sacerdozio. Era lo zio e il padrino di battesimo di mio padre che portava il suo nome. Io fin da piccolo venivo premiato con dei favolosi soggiorni presso don Delfino. Il missionario Delfino era un mito di saggezza e di fede. Lo ammiravo passeggiare per ore nel giardino in preghiera leggendo il Vangelo. Quando si accorgeva di me, mi avvicinava facendomi ammirare Dio nel creato, in un fiore, un’ape, nel volo di un uccello. Mi diceva che la preghiera si svolge in ogni luogo e in ogni istante. Avevo 11 anni quando don Delfino, il 2 aprile 1961, festeggiò i 60 anni di sacerdozio. Fu felice che in quell’occasione molti si ricordassero di Lui: (tra questi) padre Carlo Masera, suo coadiutore in Abissinia (così era chiamata allora l’Etiopia, ndr) nel Kaffa, il vice superiore generale dell’Istituto, padre Giuseppe Caffaratto, il provicario della diocesi (di Pinerolo) don Giovanni Barra. Gli arrivò anche il telegramma d’auguri di papa san Giovanni XXIII (io gli recitai una breve poesia). La mia curiosità ed ammirazione di bambino per don Delfino era immensa. Chiedevo che mi raccontasse le sue straordinarie avventure e venivo accontentato. Mi raccontava dei suoi viaggi favolosi e pericolosi, dei bambini felici come me, ma dal destino tragico che aveva conosciuto e soccorso, chi aveva perso i genitori per incidenti con animali della foresta, chi era stato rapito dai predoni ed era venduto schiavo dagli stessi. Si rammaricava di non aver potuto riscattare tutti quegli innocenti che aveva consolato avvicinandoli a Gesù. Salì al cielo il 27 luglio 1962. Il 16 agosto 2023 don Delfino sarà stato molto felice, per l’elezione a superiore generale dei Missionari della Consolata di padre James Bhola Lengarin del Kenya (un «pronipote» dei bambini che lui aveva incontrato e soccorso in Kenya). Cordiali saluti Franco Bianciotto 02/09/2023 Padre Delfino Bianciotto nacque a Frossasco (To) il 27 marzo 1874. Ordinato sacerdote il 23 7 Le nostre email: redazione@rivistamissioniconsolata.it / mcredazioneweb@gmail.com NOVEMBRE 2023 | MC | © AfMC lastra7660 © AfMC lastra 90409 marzo 1901, dopo aver esercitato per alcuni anni il ministero nella diocesi di Pinerolo, il 4 agosto 1906 entrò nell’Istituto. Partì per il Kenya il 10 dicembre dello stesso anno e là lo troviamo quando il canonico Giacomo Camisassa compì la sua visita nel 1910/1911. Il 15 ottobre 1917 entrò avventurosamente in Etiopia come commerciante e si unì a monsignor Gaudenzio Barlassina aprendo una prima casa a Ghimbi, nel Kaffa. Nel 1922 tornò in Italia come rappresentante dei missionari d’Etiopia per il primo capitolo generale dell’Istituto. Nel 1932, scaduto il periodo per il quale si era legato all’Istituto, ritornò nella sua diocesi di Pinerolo. Qui due rare foto con padre Bianciotto. Nel 1911 sui monti dell’Aberdare in Kenya seduto accanto al canonico Giacomo Camisassa e altri. E nel 1922 a Umbi, nel Kaffa, Etiopia (al centro con cravatta, fila in piedi) con tutti i missionari in tenuta da commercianti.
MONGOLIA UN FORNO PER IL PANE Nel cuore della Mongolia, precisamente a Shuwuu, c’è una piccolissima comunità cattolica legata da una lunga amicizia alla parrocchia san Nicola di Bari di Mendicino (diocesi di Cosenza-Bisignano). A raccontare questa storia di solidarietà è il parroco, don Enzo Gabrieli: «Eravamo venuti a conoscenza delle difficoltà di procurarsi il pane soprattutto nei lunghi periodi di mancanza di energia elettrica e di una alimentazione precaria, povera di carboidrati. Abbiamo così pensato di aiutare la comunità nella costruzione di un forno a legna per il pane che aiutasse anche il riscaldamento degli ambienti e nel proporre a un gruppo di donne un corso per la panificazione e la realizzazione di biscotti e pure della pizza. Abbiamo poi fornito alla comunità mongola anche l’attrezzatura per realizzare le ostie». Dopo alcuni mesi di preparazione, un gruppo di nove giovani e lo stesso parroco sono partiti per la Mongolia dove si sono fermati per 15 giorni di intenso lavoro, di fraternità e di incontro con le antiche tradizioni del buddismo mongolo. «Le difficoltà non sono mancate, ma la passione, la giovinezza e la fede ci hanno sostenuti». Tanto lavoro e tanta preghiera hanno scandito le giornate «mongole» del gruppo mendicinese fino all’esplosione di gioia nel villaggio quando è stata sfornata la prima pagnotta e prodotte le prime ostie. «È stata una festa per tutto il villaggio: profumo di amicizia, di solidarietà, impastata con quel pizzico di fiducia in Dio che, soprattutto in età giovanile, ti porta a fare certe buone pazzie», dice don Gabrieli. (Sir) PAKISTAN UN SEGNO DI SPERANZA «Abbiamo ringraziato Dio perché, anche nella sofferenza, si fa presente accanto a noi. Nella chiesa già rinnovata e agibile, abbiamo pregato per la pace con tanti fedeli, insieme con i capi musulmani seduti l’uno accanto all’altro, e con tanti uomini di buona volontà, che vogliono costruire la pacifica coesistenza di religioni diverse nella società»: con queste parole l’arcivescovo di Lahore, Sebastian Shaw, racconta l’incontro di preghiera tenutosi nella chiesa cattolica del quartiere cristiano di Essa Nagri a Jaranwala, già ripulita, ritinteggiata, arredata e resa agibile al culto, grazie alla tempestiva opera di ricostruzione disposta e finanziata dal governo del Punjab nell’area colpita dalla violenza del 16 agosto scorso (vedi pag. 56, ndr). «È per noi un segno di rinascita. Siamo convinti che da un male Dio può far fiorire il bene. Abbiamo ascoltato e consolato le vittime. È stato avviato il processo di ripresa, è importante procedere su questo cammino», afferma l’arcivescovo. Su circa 30 tra chiese e cappelle di varie denominazioni (tre cattoliche) danneggiate, bruciate o vandalizzate sono quattro quelle già restaurate o in fase di ristrutturazione. Quelle chiese sono circondate dalle case bruciate dei cristiani che, con fatica e pazienza cercano di ripulire la zona dalle macerie e restaurare le proprie abitazioni. Accanto a loro vi sono numerosi volontari e religiosi impegnati in un’opera di sostegno quotidiano. (Giacomo Galeazzi - In terris) BRASILE CATECHISTI Dal primo al quattro settembre si è svolto presso il santuario di Aparecida l’incontro nazionale dei catechisti, organizzato dalla Conferenza nazionale dei vescovi del Brasile (Cnbb), per commemorare il 40° anniversario del documento «Catechesi rinnovata: orientamenti e contenuti» approvato nel 1983. All’evento, illuminato dal motto: «Toccare i cuori e promuovere la missione», hanno partecipato più di mille catechisti provenienti da tutto il Paese. L’arcivescovo Leomar Brustolin, presidente della Commissione biblica catechetica della Cnbb, ha spiegato che «questo è il più importante documento brasiliano che ha praticamente cambiato la catechesi nel nostro paese. Per la prima volta, sempre più fede e vita sono state integrate in modo da poterci prendere cura della verità di Dio nel contesto di ogni essere umano. Si è trattato, pertanto di un vero e proprio punto di svolta che ha offerto un nuovo approccio, metodologie e contenuti rafforzati a coloro che hanno fatto catechesi negli ultimi 40 anni». In occasione dell’incontro, il vescovo ha sottolineato la necesa cura di SERGIO FRASSETTO LA CHIESA NEL MONDO | MC | NOVEMBRE 2023 8 Mongolia: il forno di Shuwuu costruito dai giovani di Mendicino (Cs). © Parola di Vita
sità di un «rinnovato impegno per una catechesi che non solo prepari ai sacramenti, ma a vivere ciò che Gesù ha insegnato». (Cnbb) INDONESIA LA CURA DEL CREATO L’agricoltura collega le persone a Dio e le rende consapevoli della preziosità della madre terra. È questo il principio fondamentale che guida il Centro agricolo Kursus Pertanian Taman Tani (Kptt) gestito dai gesuiti nel territorio della città di Salatiga, a Giava centrale. Il centro agricolo opera da 59 anni come convitto e scuola diurna che insegna l’agricoltura biologica. Come spiega il gesuita indonesiano Dieng Karnedi: «L’agricoltura non è solo un atto di coltivazione, ma una attività di profonda connessione con Dio che opera in ciascuno di noi, evocando gioia e meraviglia e servendo da motivazione per la nostra vita quotidiana. Ci piace dire che impariamo a trovare Dio nell’agricoltura». Inoltre - nota il gesuita - questa attività diventa anche occasione di missione: «L’agricoltura può essere un modo per condividere la Buona Novella, soprattutto tra i giovani. I giovani di oggi sono profondamente consapevoli che il nostro mondo affronta una crisi alimentare, energetica e climatica. Questa è per noi un’opportunità per promuovere la consapevolezza ecologica, ispirata alla Laudato si’, coinvolgendoli concretamente nella piantagione di colture agricole e nella loro coltivazione e approfondendo il significato spirituale di ogni gesto». Nel 2022 oltre 1.600 giovani sono venuti al Kptt per corsi, stage e visite e alcuni di loro hanno deciso di studiare e lavorare in questo settore per costruire il proprio futuro. (Fides) INDIA IL G20 DELLE RELIGIONI Accanto al G20 dei capi di stato e di governo, sempre in India a Pune, dal 5 al 7 settembre si è tenuto il vertice dei rappresentanti delle comunità religiose, del mondo accademico e della società civile per una riflessione comune sulle grandi sfide globali. Vi hanno preso parte oltre cento relatori e duemila delegati che si sono confrontati sul tema «Dare forma alla pace nel mondo e allo sviluppo sostenibile attraverso l’armonia interreligiosa». Il confronto ha toccato un ampio spettro di temi: dall’eredità pesante lasciata dalla pandemia ai conflitti, dal cambiamento climatico alla condizione dei bambini. La Conferenza episcopale indiana, invitando i fedeli a pregare per il successo del vertice, ha sottolineato che «nonostante la nostra diversità, siamo legati da un’unica famiglia umana, che condivide sfide e responsabilità comuni». (Asia News) Mongolia: un fiume di grazia «Per quattro giorni ci siamo sentiti un po' il centro del mondo. Avere il Papa qui con noi in Mongolia, per la prima volta nella storia, è stato un momento letteralmente straordinario. Ha generato in tutti noi tanta gioia, commozione, gratitudine. Abbiamo vissuto questi giorni davvero come una festa in compagnia di Cristo Gesù, in compagnia del suo Vicario in terra»: sono i sentimenti che esprime padre Ernesto Viscardi, missionario della Consolata e proprefetto apostolico di Ulaanbaatar, a conclusione della visita di Papa Francesco in Mongolia (1-4 settembre). Ripercorrendo quei giorni intensi e vibranti di fede, di preghiera, di felicità, padre Ernesto continua: «Papa Francesco ci ha lasciato tanti spunti da sviluppare e vivere nella nostra vita pastorale: l’essere una comunità unita; il camminare insieme nella semplicità e nell’essenzialità; l’essere vicini alla gente, da accompagnare personalmente; coltivare sempre il dialogo con le altre religioni; non avere paura di essere pochi, una piccola comunità, ma confidare nel Signore che opera grandi cose. Ora si tratterà di recepire e praticare sempre meglio questi spunti nella nostra vita quotidiana, e lo faremo con l’entusiasmo e la generosità che caratterizzano questa Chiesa». L’ultimo gesto compiuto dal Papa è stato l’apertura e la benedizione della «Casa della misericordia», casa di accoglienza per persone senzatetto in stato di indigenza e disagio. «Sarà un luogo dove praticare le opere di misericordia, che rendono noi cristiani riconoscibili in Mongolia», spiega il proprefetto. I fedeli mongoli, conclude padre Viscardi, «sono al settimo cielo, hanno vissuto qualcosa di inatteso e proprio non immaginabile, si sono sentiti travolti da un fiume di grazia. Davvero il motto del viaggio apostolico “Sperare insieme” resta la strada che continueremo a calcare, con il cuore traboccante di gioia, la gioia di vivere il Vangelo». (Fides) NOVEMBRE 2023 | MC | 9 Mongolia: la benedizione della targa ricordo nella «Casa della misericordia», da parte di papa Francesco. © Vatican Media
La terra è cromosoma essenziale del Dna indigeno. Senza terra i popoli indigeni non sopravvivono in quanto tali. Nelle loro mani, l’ambiente - lo dicono gli studi scientifici - è più rispettato. Per questo non è esagerazione definirli «guardiani della foresta». Né affermare che essi «sono foresta». 10 di PAOLO MOIOLA BRASILE LA SITUAZIONE INDIGENA NEL BRASILE DI LULA Loro sono foresta La scena è ripresa nella terra indigena Yanomami (regione di Sururucu), in un accampamento di garimpeiros, i minatori illegali tristemente noti. Si vedono le loro tende piantate in uno spiazzo deforestato. Si sente una voce concitata: «Andiamo, andiamo, portateli qui». Non si tratta di animali della foresta, ma di alcuni giovanissimi yanomami, scalzi e in pantaloncini, entrati nell’accampamento degli invasori. I bambini vengono legati (sì, legati) al palo di una baracca venendo accusati dai garimpeiros di essere dei ladri. Il video si chiude così. L’episodio è raccontato da Hutukara, la principale organizzazione degli Yanomami, che lo ha scoperto tramite Wãnori, un sistema di allarme via cellulare attivato per la prima volta lo scorso luglio. «Dico sempre che il futuro è già oggi - ha commentato Davi Kopenawa, noto leader yanomami - . Penso che sia importante per noi poter sognare e pensare con altri amici che ci appoggiano, lavorano e combattono insieme. Quelli in città ascoltano, ma non capiscono di cosa hanno bisogno gli Yanomami. Quindi, è fantastico avere questo sistema di allarme per il nostro monitoraggio». Insomma, anche in piena foresta amazzonica i cellulari sono divenuti strumenti imprescindibili, nel bene e nel male, per vittime e oppressori. A questi ultimi si devono le foto autocelebrative e spaccone postate sulle reti sociali. Alcune di esse sono state pubblicate anche da globo.com. Si vedono i garimpeiros orgoglio- © Hellen Loures - CIMI
NOVEMBRE 2023 | MC | 11 In basso: un gruppo di indigeni attende le votazioni del Supremo tribunale federale (Stf), Brasilia, 30/08/2023. | Qui: due giovani Yanomami con un cellulare. samente in posa con armi da fuoco salde nelle loro mani, davanti a una tavola imbandita con pizze e fusti di birra. Poco importa se si tratta di voglia di apparire o di una più banale umana stupidità: dimostrano che, nonostante le azioni di sgombero messe in atto dal governo Lula nei primi mesi del 2023 (con la distruzione - stando ai dati ufficiali - di 327 accampamenti, 18 aerei, 2 elicotteri, motori, barche e la riduzione dell’80 per cento dell’area dei garimpo), un numero imprecisato di garimpeiros continua a operare in terra Yanomami. Secondo «Yamakɨ nɨ ohotaɨ xoa!» (Noi stiamo ancora soffrendo), il rapporto di Hutukara con Seduume e Urihi, uscito a luglio, dopo gli sgomberi delle autorità, si sta assistendo al ritorno di gruppi di garimpeiros sui fiumi Apiaú e Couto Magalhaes e nelle regioni di Papiu, Parafuri, Xitei e Homoxi. L’insistenza degli Yanomami sull’invasione dei garimpeiros potrebbe apparire esagerata se non si spiegassero gli effetti sconvolgenti che essa produce sulla loro esistenza. Effetti che sono a un tempo ambientali, sanitari, sociali. «La foresta non è contro di noi... chi è contro di noi è l’uomo capitalista», ha spiegato a gennaio a New York Davi Kopenawa. Secondo il Sistema di monitoraggio delle miniere illegali, da ottodella diffusione della contaminazione da mercurio (utilizzato dai garimpeiros) - ripercussioni pesanti sulla salute riproduttiva delle donne e sullo sviluppo psicofisico dei bambini. E poi c’è l’esplosione dei casi di malaria, soprattutto nelle zone più vicine ai garimpos. «Questa malattia, a sua volta, come le infezioni respiratorie, compromette non solo la salute individuale del paziente, ma anche l’economia delle comunità che dipendono dal lavoro familiare per produrre la propria sussistenza. Un uomo che non riesce a curare un campo durante la stagione secca perché indebolito dalla malaria, in futuro avrà maggiori difficoltà a sostenere se stesso e i suoi coresidenti, creando così un circolo vizioso di malaria, crisi economica e fragile socializzazione». Non è - pertanto - un caso se nelle zone a maggior incidenza malarica risultano più alti anche i livelli di denutrizione infantile. Le foto di piccoli yanomami pelle e ossa hanno fatto il giro del mondo. L’esercito brasiliano è intervenuto lanciando da aerei ed elicotteri tonnellate di cibo. Com’è stato possibile arrivare a una simile emergenza? Secondo varie indagini, il problema della denutrizione è direttamente collegato all’avanzata dei garimpos. Gli Yanomami si sono sempre mantenuti con la raccolta di cibo dalla foresta, con © Evilene Paixão Yanomami -- Hutukara bre 2018 a dicembre 2022, l’area interessata dall’attività mineraria è cresciuta di un altro 300%, raggiungendo un totale di 5.053,82 ettari di area devastata, colpendo direttamente quasi il 60% della popolazione Yanomami. Conseguenze sulla salute e sulla vita quotidiana Scrive il citato rapporto di Hutukara: «Oltre alla distruzione delle foreste, del suolo e dei fiumi, che ha un impatto diretto sull’economia delle famiglie indigene, che dipendono dalla pesca, dalla caccia e dalla terra per coltivare, l’attività mineraria influisce direttamente anche sulla salute e sul benessere delle persone e delle comunità». La situazione sanitaria degli Yanomami vede la grande diffusione di infezioni respiratorie (polmoniti, in primo luogo), parassitosi intestinali, tungiasi (parassitosi epidermica) e - a causa popoli indigeni | amazzonia | distruzione ambientale “Per difendere territorio e comunità, gli Yanomami stanno sperimentando un sistema di allerta via cellulare.
| MC | NOVEMBRE 2023 12 BRASILE Qui: indigeni sfilano a Brasilia nella manifestazione che attende la decisione del Stf sul marco temporal 30/08/2023. | A fianco: un accampamento di garimpeiros sul rio Uraricoera, nella Terra indigena Yanomami. | Sotto: un aereo e due elicotteri in un garimpo a Jeremias, Homoxi, nella Terra indigena Yanomami. la pesca e la caccia e - in maniera assai minore - coltivando piccoli appezzamenti di terra. Oggi le loro modalità di sussistenza sono state sconvolte dall’invasione dei minatori illegali. L’attività mineraria provoca la deforestazione e distrugge i corsi d’acqua inquinandoli con il mercurio. La selvaggina diventa più scarsa perché gli animali fuggono. Gli indigeni hanno bisogno di trascorrere molto più tempo nella foresta a cacciare e la quantità di cibo portata a casa non arriva più ai livelli di prima. «La situazione di insicurezza alimentare - spiegano nel loro rapporto le organizzazioni degli Yanomami - non è diffusa nel territorio yanomami, ma è aumentata enormemente negli ultimi anni a causa di una combinazione di fattori, che vanno dalla distruzione delle risorse naturali attraverso lo sfruttamento illegale dei minerali alla disorganizzazione della produzione derivante dalla crisi sanitaria e agli impatti sociali dell’attività mineraria. Nel 2021 e nel 2022, a ciò si sono aggiunti gli effetti del prolungamento della stagione delle piogge, dovuto al fenomeno climatico La Niña, che ha impedito a molte comunità di curare i propri appezzamenti agricoli». Se questo non bastasse, è possibile trovare notizie che complicano ancora di più il quadro complessivo. Come racconta Re- © Tiago Miotto - CIMI © Bruno Kelly - ISA © Bruno Kelly - ISA © Tiago Miotto - CIMI
NOVEMBRE 2023 | MC | 13 pórter Brasil parlando della diffusione dei narcogarimpos. Secondo i dati raccolti dal sito investigativo brasiliano, in sei anni (dal 2017 al 2022) c’è stato un raddoppio delle esportazioni di oro (da 11 a 32 tonnellate) e - dato ancora più inquietante - una triplicazione dei sequestri di cocaina (da 10 a 32 tonnellate). Semplificazioni veritiere Secondo i dati Inpe (Instituto nacional de pesquisas espaciais), a luglio 2023 la deforestazione dell’Amazzonia brasiliana è scesa del 66% rispetto allo stesso mese del 2022. Merito, ha sottolineato la ministra dell’Ambiente Marina Silva, delle nuove politiche del governo Lula. Tuttavia, il dato non può indurre a uno sciocco ottimismo. Riduzione non significa salvaguardia. Secondo una ricerca della Agenzia spaziale europea (Esa, marzo 2023), tra il 2017 e il 2021 la perdita forestale è stata di 5,2 milioni di ettari, una superficie più o meno equivalente alle dimensioni del Costa Rica. Identicamente a «polmone del mondo» per l’Amazzonia, anche «guardiani della foresta» per i popoli indigeni può apparire come una di quelle affermazioni semplificatorie utilizzate per descrivere situazioni complesse. Tuttavia, almeno in questo caso, non si è lontani dalla verità. Esiste una relazione tra presenza indigena e preservazione ambientale? L’osservazione ma anche la scienza rispondono che la relazione esiste ed è positiva. Uno degli ultimi studi in proposito - pubblicato da Nature sustainability (3 gennaio 2023) - certifica che, nelle aree indigene, la perdita di foreste è molto più contenuta, a patto che esse venVOCE Totale popolazione indigena (2022) Stati brasiliani con maggiore presenza indigena Indigeni residenti in territori ufficialmente riconosciuti Numero di popoli indigeni e gruppi più numerosi Principali terre indigene riconosciute Città con più popolazione indigena Quadro giuridico attuale DATO 1.693.535 (0,83% della popolazione brasiliana) Amazonas, Bahia, Mato Grosso do Sul, Roraima 36,73% del totale 266 popoli indigeni (secondo Isa) - Terra indigena Yanomami (Amazonas e Roraima) con 27.000 indigeni; - Terra indigena Raposa Serra do Sol (Roraima) con 26.176 indigeni Manaus (Amazonas) con 71.700 indigeni Costituzione federale del 1988 OSSERVAZIONI L’incremento (+88,8%) rispetto al 2010 (896.917) viene spiegato con un cambio di metodologia del censimento. Il 61,43% degli indigeni vive in questi 5 stati. Per consistenza numerica: Guarani (85.000), Kaingang, Ticuna, Macuxi e Yanomami. Sono 1.391 le aree indigene pari a circa 1.178.962 km2, cioè il 13,9% del territorio complessivo; di queste - secondo il Cimi - soltanto 429 (30,8%) sono registrate, cioè hanno completato l'iter giuridico; nel 2022, sempre secondo il Cimi, sono stati 158 i conflitti territoriali. Centri con la maggiore percentuale di indigeni: Uiramutã (Roraima) con il 96,6%, Santa Isabel do Rio Negro (Amazonas) con il 96,2%, e São Gabriel da Cachoeira (Amazonas) con il 93,17%. Capitolo VIII, Degli indigeni, articoli 231 (7 commi) e 232. A cura di: Paolo Moiola. | Fonti: Censo 2022 - Ibge (Instituto brasileiro de geografia e estatística), Instituto socioambiental (Isa), Conselho indigenista missionário (Cimi).
| MC | NOVEMBRE 2023 14 gano rispettate. «Le popolazioni indigene - conclude lo studio - potrebbero impedire il superamento del punto di svolta (tipping point) per la trasformazione degli ecosistemi della foresta amazzonica in ecosistemi di savana». Intanto, i Guarani Anche per merito del carisma e della notorietà internazionale di Davi Kopenawa, negli ultimi due anni si è parlato soprattutto dell’emergenza riguardante gli Yanomami. In realtà, la situazione è molto difficile per tutti i popoli indigeni e la soluzione pare lontana, nonostante la buona volontà del governo Lula, visto che il parlamento brasiliano è dominato da una maggioranza di politici bolsonaristi (per i quali i popoli indigeni sono semplicemente una palla al piede per lo sviluppo del Brasile). «La sconfitta di Bolsonaro - scrivono Lucia Helena Rangel e Roberto Antonio Liebgott nell’ultimo rapporto del Cimi - alle elezioni presidenziali è stata fondamentale per rompere con il progetto di morte e distruzione in corso. Tuttavia, non basta affrontare le sfide della causa indigena. La negazione dei diritti, il pregiudizio e il razzismo costituiscono lo scenario di un brutale aggravamento della violenza, che viene alimentata o incoraggiata negli uffici e nei corridoi degli organi statali». Si consideri che il più consistente gruppo indigeno del paese, quello dei Kaiowá Guarani (che occupa gli stati del Sud, ai confini con Paraguay e Argentina), vive in condizioni estreme. Da anni essi sono costretti ai margini delle loro terre tradizionali dalle quali sono stati espulsi con la forza dai fazendeiros e dalle multinazionali agroalimentari che le hanno occupate per farne piantagioni di soia o di canna da zucchero e pascoli per il bestiame. L’arma dell’intolleranza religiosa Proprio negli stessi giorni del giudizio del Supremo tribunale federale (Stf), il Consiglio indige- © archivio FUNAI © Bruno Kelly - ISA BRASILE Qui: membri di una comunità indigena osservano gli aiuti alimentari governativi recapitati dall’aviazione militare. | Qui sopra: un garimpo sul rio Couto Magalhães, Kayanau, Terra indigena Yanomami (in alto, a sinistra, una pista aerea clandestina). | A destra: Brasilia, una seduta del Supremo tribunale federale (Stf) per decidere sul «marco temporal»; un indigeno mostra un cartello in cui si ricorda che la storia indigena non è iniziata nel 1988.
NOVEMBRE 2023 | MC | 15 © Antônio Cruz - Agência Brasil Il Congresso contro il Supremo tribunale federale «MARCO TEMPORAL»: BOCCIATO MA PROMOSSO La vittoria giuridica presso il massimo organo giudiziario del Brasile non pare dare certezze ai popoli indigeni. In parlamento e nel paese, l’offensiva anti indigena della «bancada ruralista» non si ferma. Che farà il presidente Lula? Il 21 di settembre il Supremo tribunale federale (Stf) vota contro il marco temporal (in sostanza, è incostituzionale considerare terre indigene soltanto quelle occupate al 5 ottobre 1988, data di entrata in vigore della nuova Costituzione). L’entusiasmo per la decisione - sicuramente prematuro, spesso esagerato - dura però lo spazio di qualche giorno. Forse meno. Non è un «indietro tutta», ma quasi. Dopo l’approvazione alla Camera (30 maggio), la proposta sul marco temporal passa - infatti - anche al Senato (27 settembre). A questo punto, la domanda diventa: chi vince in caso di contrasto tra Stf e Congresso? CARLO ZACQUINI, missionario della Consolata e grande esperto di Yanomami e popoli indigeni, è caustico: «Le leggi sono una cosa, i legislatori un’altra. Può anche darsi che sia impossibile approvare una legge, ma i politici non smetteranno mai di tentare nuovi o vecchi metodi per fare quello che “è conveniente per loro”. Sono ormai più di cinque secoli che si ammazzano indigeni, non sarà per una decisione del Stf che smetteranno di farlo o di tentare nuove forme per farlo. In fin dei conti la maggioranza dei brasiliani non è Indigena. Nella minestra ci puoi mettere molti prodotti, ma c'è ne sta sempre ancora uno. Se una legge stenta a trovare consenso o trova qualche ostacolo per essere approvata, si fa un’altra proposta, assieme ad altri richiami per le allodole. Tante volte quante necessario perché, alla fine passi, magari per la disattenzione di qualcuno. Se si vuole che i popoli indigeni abbiano una chance di sopravvivere, in Brasile non ci si può permettere alcuna distrazione. La spinta dell'industria agricola e mineraria è fortissima». Il clima di contrapposizione tra poteri dello stato è palese. Per esempio, un deputato bolsonarista ha presentato una proposta di emendamento alla Costituzione (Pec 50/2023) che conferirebbe al Congresso il potere di sospendere le decisioni del Supremo tribunale federale che «superano i limiti costituzionali». In base alle proprie prerogative, il presidente Lula potrebbe (e dovrebbe) mettere il veto sulla legge del marco temporal emanata dal Congresso. Tuttavia, come appare evidente, il clima per i diritti dei popoli indigeni rimane pessimo*. Paolo Moiola * Per gli aggiornamenti sul tema, seguiteci sul sito: www.rivistamissioniconsolata.it. © archivio CIMI
| MC | NOVEMBRE 2023 16 Qui: il presidente Lula con la ministra Marina Silva, la ministra Sônia Guajajara e Joenia Wapichana (Funai). | In basso: una maloca, la casa comune degli Yanomami, nell’Alto Catrimani, nella Terra indigena Yanomami (Tiy). Secondo il governo Lula, l’80 per cento dei garimpeiros sono stati cacciati nelle operazioni iniziate a gennaio 2023. BRASILE nista missionario (Cimi) pubblicava, sul proprio sito, un durissimo atto d’accusa per l’en- nesima violenza contro esponenti Kaiowá Guarani del Mato Grosso do Sul, stato in cui l’intolleranza e la violenza verso gli indigeni sono consolidate. Il fatto risale al 18 settembre scorso quando Sebastiana Galton (di 92 anni) e il suo compagno Rufino Velasquez sono morti in un incendio doloso che ha bruciato la loro casa e i loro corpi. Sebastiana era una nota leader religiosa tradizionale che lottava a fianco della propria popolazione. Questa - spiega il Cimi - vive una tragica situazione di disgregazione sociale «la cui causa continua a essere il risultato dello sfollamento forzato, del processo di confinamento e della mancanza di accesso effettivo di questa popolazione ai propri territori tradizionali». Alla lotta per la terra in questo caso si aggiunge - continua la nota - «una complessa situazione di intolleranza religiosa che ha deriso, diffamato e ucciso - spiritualmente e fisicamente - i Ñanderu e i Ñandesy (rappresentanti religiosi tradizionali, ndr) in tutto il territorio Kaiowá Guarani». «In tutte le società umane il fenomeno religioso consiste nella mobilitazione delle forze spirituali, siano esse considerate buone o meno (benedizione e maledizione), secondo i bisogni, i desideri e le speranze di un popolo, come strategia per vincere sfide, pericoli e crisi. [...] Così, nel caso delle pratiche religiose tradizionali dei Kaiowá Guarani, si può osservare un atto di resistenza di fronte ai molteplici processi di sterminio perpetrati contro le loro comunità». Senza usare mezzi termini, il Consiglio indigenista missionario accusa le Chiese neopentecostali e i loro metodi. «Da decenni il Cimi denuncia la presenza e gli effetti distruttivi che queste sette fondamentaliste rappresentano e promuovono tra i Kaiowá Guarani, soppiantando un intero sistema di credenze, screditando leader religiosamente costituiti e, favorendo, penalmente, la distruzione di ambienti e oggetti considerati sacri da questi popoli». È cosa nota che, da sempre, le potenti Chiese neoevangeliche brasiliane hanno un approccio alla questione indigena completamente diverso da quello della Chiesa cattolica. Per loro i popoli indigeni debbono adeguarsi alla «visione bianca» dell’esistenza. Riparare il male Dom Roque Paloschi, arcivescovo di Porto Velho e, fino a poche settimane fa, presidente del Cimi, conclude la sua introduzione all’ultimo rapporto Violência contra os povos indígenas do Brasil con parole che sanno di preghiera e speranza: «Possano i nuovi governanti cercare di riparare il male, garantendo ai popoli indigeni il loro diritto fondamentale alla terra e ai loro modi di essere e vivere nelle differenze». Paolo Moiola © Bruno Kelly - ISA “ La foresta non è contro di noi. È l’uomo. (Davi Kopenawa) © Joédson Alves - Agencia Brasil
di JEAN PARÉ NORD AMERICA L’ISTITUTO MISSIONI CONSOLATA NEL NORD AMERICA Una storia americana I Missionari della Consolata arrivarono negli Stati Uniti nel 1946, in Canada l’anno seguente. La loro attività ha conosciuto anni d’oro, ma anche una fase di declino. Oggi i gruppi missionari dei due paesi del Nord America si sono uniti al Messico per affrontare assieme una nuova sfida, difficile ma entusiasmante. Qui sotto: Montréal, la Hall Notre Dame sorge a pochi metri dalla residenza dei Missionari della Consolata e ospita il Centro di animazione missionaria. © IMC Montreal Il Vangelo di Matteo - «Andate dunque e ammaestrate tutte le nazioni» (28,9) - e il Vangelo di Marco - «Andate in tutto il mondo e annunciate il Vangelo ad ogni creatura» (16,16) - testimoniano che i primi discepoli di Gesù di Nazareth erano consapevoli di aver ricevuto dal Risorto il mandato di andare ad annunciare la sua parola in tutto il mondo. Se questa evangelizzazione rimase confinata negli ambienti ebraici fin dai primi anni, san Paolo sentì il dovere di portare la buona notizia ai pagani: in Rm 1,1 si presenta come un «apostolo messo a parte per annunciare il Vangelo di Dio». Gli Atti degli Apostoli raccontano i viaggi missionari di Paolo in Turchia, Grecia, Roma, e forse in Spagna. Nella sua lettera ai Galati, capitolo 2, Paolo spiega che Pietro fu mandato ai Giudei, mentre lui stesso fu mandato ai Gentili. Questa epopea missionaria ebbe un tale successo che, all’inizio del IV secolo, l’intero impero romano sarebbe diventato cristiano e per secoli le comunità cristiane avrebbero creduto che il loro mandato missionario fosse completo e il Vangelo fosse stato annunciato a tutte le nazioni. Il mondo è più grande Fu nel XV e XVI secolo che ci si rese conto di quanto, oltre i limiti dell’Occidente, ci fosse ancora una moltitudine di esseri umani da raggiungere. In questa consapevolezza, ebbe un ruolo importante l’uomo che sarebbe diventato patrono delle missioni, San Francesco Saverio, il primo missionario gesuita e il primo missionario in Giappone. I missionari iniziarono, quindi, a unirsi ai conquistadores portoghesi e spagnoli nella loro ricerca di nuove rotte verso l’Asia. Quando poi si comprese che la terra è rotonda e che la strada può prendere anche la direzione verso Ovest, i missionari accompagnarono i colonizzatori - soprattutto portoghesi, spagnoli, inglesi e francesi - che si stabilirono nelle Americhe. Ciò provocò una querelle che oggi è difficile da comprendere: la cosiddetta «disputa di Valladolid» tra Juan de Sepulveda NOVEMBRE 2023 | MC | 17 USA USA CANADA
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