Missioni Consolata - Ottobre 2023

Poste Italiane S.p.A. - Spediz. in abb. postale "Regime R.O.C." - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NO/TORINO

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3 EDITORIALE ai lettori M C OTTOBRE 2023 | MC | Il Sinodo: da evento a processo Una riflessione delle riviste missionarie italiane (Fesmi) in occasione della XVI Assemblea generale ordinaria del Sinodo dei vescovi che si svolge a Roma dal 4 al 29 ottobre e che ha per tema: «Per una Chiesa sinodale: comunione, partecipazione, missione». Papa Francesco, nel suo discorso per il 50° anniversario dell’istituzione del Sinodo (17 ottobre 2015), ha rilanciato l’immagine della Chiesa come «sinodale e missionaria». In America Latina lui stesso ha vissuto il sinodo non solo e non tanto come evento speciale, ma come processo che interessa la Chiesa tutta, come popolo di Dio in ascolto del sensus fidei di tutti i battezzati nei loro diversi ministeri. Una vera sinodalità, intesa come «cammino che Dio si aspetta dalla Chiesa del terzo millennio», spalanca la Chiesa sul mondo, accresce la sua credibilità, rinvigorisce il suo entusiasmo missionario e si fa portavoce dei poveri e voce critica di fronte a quelle strutture di peccato che tuttora impediscono che persone e popoli vedano riconosciuti, rispettati e promossi i propri diritti a vivere con dignità. Riprendendo in ciò le parole con cui Francesco ha concluso il suo discorso: «Una Chiesa sinodale è come un vessillo innalzato tra le nazioni (cfr. Is 11,12) in un mondo che - pur invocando partecipazione, solidarietà e trasparenza nell’amministrazione della cosa pubblica - consegna spesso il destino di intere popolazioni nelle mani avide di ristretti gruppi di potere». Come Chiesa che «cammina insieme» ai popoli, partecipe dei travagli della storia, coltiviamo tuttora il sogno che le società si edifichino nella giustizia e nella fraternità, generando un mondo più degno di viverci per le generazioni che verranno. Papa Francesco considera la sinodalità come costitutiva della vita e dell’agire della Chiesa. In tale visione il Sinodo sulla sinodalità diventa un’occasione privilegiata per riscoprire il discepolato di ogni credente, creando dialogo con tutti e scoprendo che tutte le Chiese devono dare e ricevere, superando l’esperienza storica di chi manda missionari e aiuti e chi riceve soltanto. Una delle esperienze più vere della vita missionaria da noi vissuta è la formazione di collaboratori per far crescere le comunità locali. Camminando insieme nella vita, nella preghiera, nella catechesi, i catechisti e gli animatori locali formano e trasformano i missionari, insegnando ad amare la gente nel concreto, a usare un linguaggio più essenziale per arrivare al cuore delle persone. Guardando al mondo missionario, il Sinodo diventa inoltre una sfida a declericalizzare la Chiesa, soprattutto nelle comunità cristiane di antica origine, permettendo a ciascun battezzato di riscoprire i doni che lo Spirito elargisce per la comune condivisione, superando la tendenza tuttora presente dei «preti tuttofare». Quanto alle giovani Chiese, pure tentate dal clericalismo insito nel processo formativo in troppi seminari, il Sinodo può ovviare al rischio che si consolidi un modello tradizionale di sacerdozio che ignora la bellezza, la novità, la creatività di una evangelizzazione povera e partecipativa, dove laici e ministri non ordinati svolgano servizi che arricchiscono l’intera comunità. Un’autentica sinodalità aiuterà inoltre le Chiese del Sud del mondo, specie le più ricche di fedeli, laddove abbondano vocazioni sacerdotali e religiose, a resistere alla tentazione della grandeur, del benessere, del dare priorità alle opere e ai soldi. Sinodalità, dunque, come tempo opportuno per convertirsi a un metodo nuovo ma antico di vivere la Chiesa e di evangelizzare. In uno stile meno preoccupato di redigere documenti e orientato invece a promuovere una vita cristiana autentica e pienamente vissuta. In quest’ottica, la sinodalità non si esaurisce nella celebrazione di saltuarie assemblee, per quanto speciali, ma da «fatto saltuario» diventa un percorso vissuto: da evento a processo. di FESMI Federazione stampa missionaria italiana

Il numero è stato chiuso in redazione il 12 settembre 2023 e consegnato alle poste di Torino entro il 30 settembre. * 08 CHIESA NEL MONDO a cura di Sergio Frassetto 29 E LA CHIAMANO ECONOMIA L’avidità si paga di Francesco Gesualdi 32 CAMMINATORI DI SPERANZA /8 Osea, profetizzare con la vita di Angelo Fracchia 62 COOPERANDO Argentina, contro le diseguaglianze di Chiara Giovetti 66 I PERDENTI Rosario Livatino: sub tutela Dei di Chiara Michelis 81 LIBRARSI Con la resistenza civile di Paolo Candelari In copertina: vendemmia 2023 nelle Langhe (foto di Fabrizio Travaglio). https://www.rivistamissioniconsolata.it Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. - I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003). 10 | Ottobre 2023 | anno 125 03 AI LETTORI Il Sinodo: da evento a processo di Fesmi 05 NOI E VOI Lettori e Missionari in dialogo I CAPITOLI GENERALI DELLA FAMIGLIA CONSOLATA IN UN CAMBIAMENTO D’EPOCA di Stefania Raspo, Piero Demaria e Marco Bello 10 RUSSIA - AL Le mosse dello zar di Diego Battistessa 17 ITALIA Le vigne del riscatto di Maurizio Pagliassotti 24 ITALIA Piccoli soldati crescono di Rosa Siciliano 51 SOMALIA Sognando la normalità di Enrico Casale 55 ITALIA Oggi vi accompagniamo noi di Rosina I. Chiurazzi Morales e Francesco Vietti 71 AMICO Perderci e ritrovarci inserto a cura di Luca Lorusso SOMMARIO * * * 17 35 ossier | MC | OTTOBRE 2023 4 *

PIÙ VITA DI MISSIONE Gent.mo direttore, sono un vostro abbonato da lungo tempo, e sempre ricevo copia della rivista con piacere. Avendo fatto parte in passato di Africa Oggi, un gruppo che organizza campi di lavoro in «terra di missione», ho conosciuto tanti eccezionali missionari della Consolata, la cui dedizione, spirituale e pratica per migliorare il mondo in cui venivano catapultati, è stato esempio per me e per tanti altri che vi hanno conosciuto. Posso ricordare padre Oscar Goapper (anche medico nell’ospedale di Neisu), padre Salutaris Massawe (anche giornalista in Tanzania), padre Igino Lumetti (quante opere in Tanzania), padre Felice Prinelli (quante opere in Colombia ed Ecuador), tra i tanti purtroppo già tornati alla casa del Padre, ma tanti altri ancora in attività che stanno operando in Africa, Asia, Sud America ed Europa. Ho conosciuto anche altri padri di altri ordini (Monfortani, Pime, Salesiani, etc) e anche Comboniani, come padre Kizito Sesana. Una grande testimonianza missionaria, ma quante ce ne sono così in Imc che potrebbero essere rese note nella rivista, sia di cari padri non più tra noi che di tanti attualmente in attività? Trovo sempre meno testimonianze di vita vissuta nella rivista MC (spesso solo in qualche trafi5 a cura di Gigi Anataloni LETTORI E MISSIONARI IN DIALOGO NOI E VOI letto nelle ultime pagine), e molto più, certo apprezzabile, giornalismo che racconta i vari paesi del mondo. Ecco, perdonatemi la richiesta, ma secondo me sarebbe bello vi fosse molto più spazio dei racconti della vita di missione, come forse era alle origini quando era l’allegato a raccogliere i racconti dei missionari. Sempre ringraziando per le vostre opere e con affetto. Buona continuazione della vostra missione, in particolare al nuovo superiore padre Lengarin e al giovane e bravo cardinale Marengo in Asia. Carlo 20/08/2023 Grazie dello stimolo che ci dai, caro amico di tanti missionari. Il tuo è davvero anche il nostro desiderio, e infatti è quello che stiamo facendo. In ogni numero diamo spazio a qualche missionario, ma non è scontato che riusciamo a convincere i missionari a raccontarsi per la rivista. Ci sono alcuni che comunicano molto, ma spesso si limitano a scrivere al loro ristretto gruppo di amici, favoriti in questo dai social, ma si sentono imbarazzati a condividere anche con un pubblico più vasto. Rilancio quindi la tua provocazione ai nostri missionari, invitandoli a sentirsi di casa anche con i lettori di MC raccontando la loro vita missionaria. ONORIFICENZA PONTIFICIA A PADRE SANDRO FAEDI Papa Francesco ha voluto riconoscere e distinguere padre Sandro Faedi, missionario della Consolata nativo di Gambettola (Cesena), con la decorazione «Pro Ecclesia et Pontifice». La cerimonia di consegna della medaglia d’onore al missionario (nella foto, al centro padre Sandro Faedi e a sinistra il vescovo di Tete monsignor Diamantino Antunes) si è svolta domenica 13 agosto a Zóbuè, nella diocesi di Tete, Mozambico, in occasione del pellegrinaggio diocesano al santuario dell’Immacolata Concezione. L’atto di consegna della pergamena e della medaglia è stato presieduto da monsignor Suman Paul Anthony, incaricato d’affari della Nunziatura apostolica in Mozambico. Si tratta della più importante onorificenza che la Chiesa cattolica conferisce a sacerdoti e laici che si distinguono per la loro fedeltà e il loro servizio alla Chiesa. Monsignor Diamantino Antunes, vescovo di Tete, ha presentato la vita e l’opera dell’insignito, che ha dato la sua vita alla missione in Venezuela prima, e in Mozambico poi, in particolare nella diocesi di Inhambane e nella diocesi di Tete. Padre Sandro Faedi è stato ordinato sacerdote a Gambettola nel 1972. Dopo il primo ministero missionario durato 24 anni in Venezuela, dal 1998 svolge la sua missione in Mozambico: prima nella diocesi di Inhambane e, dal 2013, nella diocesi di Tete, dove è stato parroco della parrocchia di San Giuseppe, amministratore apostolico tra il 2017 e il 2019, e attualmente parroco della parrocchia di San Daniele Comboni, economo diocesano e responsabile della Caritas diocesana. La dedizione alla missione, il suo instancabile impegno nell’evangelizzazione, nella promozione umana, nella liturgia e nella promozione delle vocazioni locali sono stati i motivi che hanno © AfMC/Genesis Machado OTTOBRE 2023 | MC |

spinto il Santo Padre a concedergli l’onorificenza «Pro Ecclesia et Pontifice». Da «Corriere Cesenate» 18/08/2023 PERCHÉ PARTIRE, PERCHÉ RESTARE Stimatissimo Marco Bello, ho letto il suo editoriale su Missioni Consolata di Agosto 2023, «perché partire, perché restare». È proprio il nocciolo della questione. Si cita la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948: «Ogni individuo ha il diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare al proprio paese». Questi principi universali sono entrati abbastanza nelle leggi e nei costumi delle nazioni occidentali, ma su otto miliardi di abitanti della Terra, noi rappresentiamo sì e no un miliardo, mentre nella maggior parte del mondo restano bei principi, neppure troppo convincenti. Temo che neppure i paesi occidentali riusciranno a mettere in pratica le buone intenzioni messe negli statuti dell’Onu dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale. Un po’ ci sono riusciti i paesi scandinavi, ma con poca popolazione e tante risorse ed ora qualche scricchiolio pure lì. Grandi paesi come Francia e Inghilterra, hanno evidenti problemi di integrazione. L’Europa per sopravvivere al calo della popolazione e all’invecchiamento, ha certo bisogno di milioni di immigrati nei prossimi decenni, ma è una transizione difficile e forse non riuscirà a mantenere i suoi buoni propositi sui diritti umani. Si dovranno dire dei sì con generosità, ma pure dei no dolorosi. Noi italiani abbiamo portato intelligenza e lavoro in America, ma pure la mafia e i sistemi mafiosi. Lo stesso vale qui, possiamo importare pure leggi e costumi tribali, come il delitto d’onore che da poco abbiamo abolito. I nostri cari principi dell’Illuminismo e della Rivoluzione francese hanno ancora senso nel mondo che c’è e che verrà? Oppure il miglior governo possibile è quello cinese dove uno dice a tutti cosa fare, cosa pensare, guenze per i popoli indigeni e l’ambiente, lo sfruttamento schiavista della manodopera, il sostegno a regimi dittatoriali e tante altre cose simili. Il tutto aggravato dalla crisi climatica. Da ultimo non va dimenticato il bombardamento mediatico che da anni sta facendo un lavaggio di cervello anche nei paesi più poveri dove i social e la televisione (dominate dai nostri network) alimentano un’immagine idealizzata e falsa del nostro mondo come il paese del bengodi. Fermare l’emigrazione è storicamente impossibile. Per alcuni questa è una minaccia che mette a rischio cultura, identità e valori della nostra società, in realtà può diventare anche l’occasione per un mondo più unito e fraterno, dove la diversità non faccia paura ma diventi stimolo per crescere insieme. In fondo, non è questo il sogno della missione che Gesù ha affidato ai suoi discepoli quando li ha mandati a essere annunciatori e costruttori di pace, andando in tutti gli angoli del mondo per invitare tutti al grande banchetto preparato dal Padre? Gigi Anataloni PERPLESSITÀ Caro Marco, forse ricorderà lo scambio di battute quando cercammo - vanamente - di aiutare Haiti: anche se a volte le nostre ideologie non coincidono, le cose da fare ci trovavano in pieno accordo. La rivista di cui lei è redattore, è diventata ricca di interesse, con inediti ed oggettivi rapporti su importanti paesi e popoli per lo più ignorati. In tal modo, colma una grave lacuna di informazione, è un vero, prezioso servizio alla verità. Tuttavia, nel numero di luglio (dossier Riflessioni sulla guerra) mi dispiace trovare un rapporto su di un tema drammatico come quello degli sfollati a causa di guerre, rapporto che liquida le cause di alcuni - gravissimi - conflitti, con semplici battute a danno dei cattivi americani, Nato ecc., come se tutto fosse stato così semplice. 6 noi e voi | MC | OTTOBRE 2023 dove andare? È una provocazione, ma il nostro modo di vivere, la nostra libertà, lo stato di diritto di cui abbiamo beneficiato qui negli ultimi 75 anni, sarà ancora possibile per le prossime generazioni? Don Silvano Cuffolo, Santuario di Oropa, 20/08/2023 Caro don Silvano, ho riletto i suoi commenti e le sue «provocazioni». In molte cose concordo. La questione sulla quale non possiamo però fare passi indietro sono i diritti umani. Sono stati codificati nella Dichiarazione universale, che non considero un mero «statuto» o «codice» dell'Onu. Penso sia stato un passaggio fondamentale fatto dall'umanità, il riconoscere i diritti universali appunto. Una volta riconosciuti, occorre fare di tutto affinché vengano rispettati. Ma questo non è un fatto automatico e per nulla semplice. E per questo motivo in tutto il mondo ci sono persone, e associazioni, che lottano e rischiano la vita affinché questi diritti, codificati e riconosciuti, siano rispettati. Io ho vissuto in Africa e ad Haiti, e sono ben consapevole che in gran parte del pianeta sia molto difficile farli rispettare o, comunque, siamo indietro. Ma non per questo dobbiamo abdicare. Dobbiamo tendere a un mondo migliore. Per noi, ma soprattutto, per le prossimi generazioni (come lei domanda). Un saluto fraterno, Marco Bello Quanto alle migrazioni, da una parte noi qui siamo tentati da una politica migratoria che sia funzionale ai nostri bisogni, visto che abbiamo necessità di badanti, contadini, operai e quanto altro permetta al nostro sistema produttivo e al nostro welfare di continuare a funzionare. Logico sarebbe quindi avere una immigrazione selettiva che permetta l’entrata solo di quelle persone che rispondono a tali bisogni. Dall’altra, noi continuiamo ad alimentare un sistema di rapina delle risorse dei paesi del Sud del mondo al quale è funzionale l’instabilità politica, la deforestazione con tutte le sue conse-

I lettori cui la rivista è destinata meritano qualcosa di più, anche alla luce dei drammi cui stiamo assistendo oggi. Con viva cordialità (e incoraggiamento), Lorenzo Rossi di Montelera 07/08/2023 Caro dottor Rossi di Montelera, la ringrazio molto per essere nostro lettore e ancora di più per averci mandato il suo commento. Ricordo i nostri incontri su Haiti, nella speranza di fare qualcosa di utile. Paese amato, che adesso versa in una situazione sempre peggiore. Sta diventando ancora più difficile intervenire per il bene della popolazione. Per quanto riguarda il suo commento, capisco benissimo. Le confido che anche nell’ambito della nostra redazione c’è stato dibattito su alcune posizioni espresse dall’autrice di quel dossier. La scelta è stata poi quella di lasciare la libertà all’articolista, giornalista rinomata e nota attivista contro tutte le guerre. Quanto scritto resta un punto di vista, che può essere condivisibile o no, ma è supportato da anni di militanza e di interventi in prima persona (come si deduce anche dagli articoli). Come MC cerchiamo di essere plurali e anche per questo abbiamo deciso pubblicare la sua lettera ed eventuali altre posizioni differenti. Marco Bello I MARTIRI DI CHAPOTERA Concluso il processo di beatificazione Il 12 agosto, presso il Santuario diocesano di Zobuè, diocesi di Tete, si è svolta la cerimonia di conclusione della fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione dei Servi di Dio padri João de Deus Kamtedza e Sílvio Alves Moreira, martiri di Chapotera. La documentazione di 1.500 pagine raccolta dal gennaio 2022 al giugno 2023, è stata consegnata in scatole sigillate al responsabile della Nunziatura apostolica in Mozambico, mons. Paul Anthony, che lo invierà al Dicastero per le cause dei santi a Roma. I due Servi di Dio sono stati buoni pastori, hanno sofferto con il loro popolo, hanno sempre cercato la pace e la riconciliazione. Hanno messo le loro qualità umane e spirituali al servizio di Dio e degli uomini, vivendo il loro ideale missionario. Sono stati assassinati il 30 ottobre 1985 nei pressi della residenza missionaria di Chapotera, missione di Lifidzi, in Angonia, nel contesto della guerra civile che ha devastato il Mozambico divenuto teatro di atrocità e violenze commesse sia dai guerriglieri della Renamo che da quelli che sostenevano il regime marxista-leninista della Frelimo. I loro corpi sono stati ritrovati il 4 novembre e sono stati sepolti nel cimitero di Vila Ulongwe lo stesso giorno. Padre João de Deus Gonçalves Kamtedza, mozambicano, è nato ad Angonia, nella provincia di Tete (Mozambico), l’8 marzo 1930. Entrato nel seminario dei Gesuiti nel 1948, ha professato i voti religiosi nel 1953 a Braga (Portogallo). È stato ordinato sacerdote il 15 agosto 1964. Si è dedicato con tutto il cuore alla missionarietà del suo popolo, prima e per molti anni nella missione di Msaladzi, poi nella missione di Fonte Boa e a Satémwa. Era un uomo dinamico, intelligente, saggio, accogliente, impavido, gioioso, comunicativo e un grande apostolo. Amava il suo popolo, la sua cultura e la sua lingua. Alla fine del 1983 è stato trasferito a Chapotera per evangelizzare e assistere pastoralmente le missioni di Lifidzi e Chabwalo. Padre Sílvio Alves Moreira è nato a Rio Meão-Vila da Feira (Portogallo) il 16 aprile 1941. Entrato nel seminario dei Gesuiti nel 1952, ha professato i voti religiosi nel 1959. Ha studiato teologia all’Università cattolica di Lisbona tra il 1968 e il 1972. È stato ordinato sacerdote a Covilhã (Portogallo) il 30 luglio 1972. Ha iniziato il suo lavoro missionario nella diocesi di Tete, presso il Seminario di Zobuè e successivamente nella parrocchia di Matundo. Nel 1981 è stato trasferito a Maputo, e ha lavorato principalmente nella parrocchia di Amparo, a Matola. Nel settembre 1984 è tornato nella diocesi di Tete, assegnato a Satemwa, missione di Fonte Boa, e poi a Chapotera, missione di Lifidzi. Don Sílvio era un uomo libero, intelligente, coraggioso e intraprendente, che viveva con entusiasmo e gioia le fatiche e i rischi che la vita missionaria comporta. Alla cerimonia che ha concluso la fase diocesana del processo di beatificazione e canonizzazione hanno partecipato molte centinaia di cattolici provenienti da tutte le parrocchie della diocesi di Tete che hanno preso parte al pellegrinaggio diocesano a Zobuè. † Diamantino Guapo Antunes Imc, vescovo di Tete 7 Le nostre email: redazione@rivistamissioniconsolata.it / mcredazioneweb@gmail.com OTTOBRE 2023 | MC | © Maria Sarah © Maria Sarah

AMAZZONIA 75 ANNI Il 14 giugno 1948 - 75 anni fa - giunse a Boa Vista, allora capitale del Territorio federale di Rio Branco e attuale stato di Roraima, il primo gruppo di missionari della Consolata per sostituire i monaci benedettini. Come sottolinea la storia dei 300 anni della Chiesa di Roraima, essi «iniziarono un nuovo stile di evangelizzazione», dedicandosi all’annuncio del Vangelo e alla promozione umana, formando leader cristiani, costruendo chiese, case di missione, scuole, ospedali e altre strutture. È importante ricordare che tra le azioni prioritarie in tutta questa storia ci sono state l’avvicinamento e l’accompagnamento delle popolazioni indigene presenti nella regione. In questo modo si rispondeva alle esigenze e alle nuove sensibilità pastorali. I missionari hanno avuto un ruolo importante nell’organizzazione del movimento indigeno e il loro accompagnamento è stato decisivo per la demarcazione e l’omologazione delle loro terre come il Territorio indigeno di São Marcos (1991), il Territorio indigeno Yanomami (1992) e il Territorio indigeno Raposa Serra do Sol (2005). La storia dei 75 anni di presenza dei missionari della Consolata in Roraima è stimolante e mostra il senso della missione incarnata nella realtà, come testimonianza profetica impegnata nella difesa dei popoli indigeni contro l’invasione di garimpeiros (minatori, cercatori d’oro), allevatori e agricoltori. In questo giubileo, i Missionari della Consolata ricordano con gratitudine la strada percorsa, celebrano con gioia questo momento e progettano con speranza il futuro della loro missione in Amazzonia. (Imc) CAMBOGIA CHIESA DI MARTIRI Almeno una volta l’anno la piccola comunità cattolica cambogiana si ferma per onorare e ricordare quanti hanno dato la vita per la loro fede in Cristo e sono «i semi e i padri» dei fedeli cambogiani di oggi. Con questo spirito oltre tremila cattolici provenienti da tutto il paese, il 20 giugno scorso hanno partecipato alla celebrazione in onore delle vittime della guerra civile che hanno dato testimonianza a Cristo con la vita. Fra queste il vescovo Joseph Chhmar Salas e trentaquattro suoi compagni per i quali la Chiesa cambogiana ha ufficialmente aperto nel 2015 la fase diocesana del processo di beatificazione. Persone uccise o lasciate morire tra il 1970 e il 1977 durante la persecuzione subita dalla Chiesa sotto il regime di Pol Pot e dei Khmer rossi. Nativi di Cambogia, Vietnam e Francia, erano preti, laici, catechisti e missionari. La Chiesa locale si augura possano presto essere riconosciuti ufficialmente come «I martiri cambogiani». Mons. Olivier Schmitthaeusler, vicario apostolico di Phnom Penh ricorda che, all’inizio della sua esperienza missionaria, nel Vicariato c’era un solo cattolico, mentre tutti i preti, le suore e i missionari erano stati uccisi o erano dovuti fuggire. «Oggi la situazione è ben diversa, la Chiesa è rinata, vi sono circa 23mila fedeli e varie comunità sono molto giovani, formate per lo più da persone che hanno abbracciato la fede cristiana da poco. Il Signore ci accompagna e guardiamo avanti sempre con speranza». (Fides) KENYA BROTHER BEN Fra Benedict Ayodi è un francescano cappuccino che da 20 anni vive la sua vocazione ispirando giovani e adulti, religiosi e laici a prendersi cura della natura e delle persone più vulnerabili che abitano la nostra Casa comune e che sono sempre di più vittime dei cambiamenti climatici. «In Kenya ci sono cresciuto - racconta brother Ben, così lo chiamano i suoi amici -, e ho toccato con mano l’importanza che in questa terra ha la foresta, con la sua fauna selvaggia, con i corsi d’acqua, con le risorse che possono sfamare tutti senza sfruttamento, solo con modalità intelligenti». Fra Benedict ha fatto parte del comitato che ha fondato e dato vita al movimento «Laudato si’». «Attraverso il nostro movimento - dice - certamente abbiamo riacceso la fede di molti giovani cattolici che si erano allontanati dalla Chiesa e che sono tornati a credere e a sperare di poter essere artefici di cambiamento. a cura di SERGIO FRASSETTO LA CHIESA NEL MONDO | MC | OTTOBRE 2023 8 Amazzonia: novembre 1965, i padri Riccardo Silvestri, Bindo Meldolesi e Giovanni Calleri risalgono in piroga il fiume Catrimani per iniziare la fondazione della missione tra gli Yanomami. Mozambico: a destra i giovani di «Rinascere» il giorno della loro consacrazione presso la «Chiesa delle rocce» di Massangulo. © Archivio Imc

Fra Ben macina chilometri ogni giorno, incontra centinaia di persone e il suo compito è quello di formare comunità laiche e religiose, soprattutto mediante il programma «Animatori Laudato si’» con cui è già riuscito a mettere a segno diversi obiettivi come convincere istituzioni cattoliche a disinvestire dai combustibili fossili e a bloccare la costruzione di un oleodotto che doveva attraversare l’Uganda e la Tanzania, danneggiando la natura e la vita degli abitanti. (Vatican news) PAKISTAN MISSIONE NEL PUNJAB Mons. Sebastian Francis Shaw, arcivescovo di Lahore, offre una istantanea della vita della sua Chiesa. «La vita nella diocesi procede con l’idea di essere presenti in modo sempre più capillare nel vasto territorio del Punjab dove le distanze tra le parrocchie raggiungono oltre i 60 km nei quali crescono anche 100 villaggi. Per questo stiamo aprendo nuove parrocchie e soprattutto creiamo nuove stazioni missionarie nei villaggi, dove abbiamo costruito diverse cappelle, senza un prete residente. In queste cappelle si reca regolarmente un catechista per visitare le famiglie della zona. Per questo, negli ultimi 10 anni, abbiamo curato la vocazione e la crescita dei catechisti, con un programma di formazione triennale. Passo dopo passo, ora ne abbiamo 258: diamo loro un piccolo salario e lavorano a tempo pieno per la diocesi. Le persone nei villaggi sentono, così, la Parola di Dio vicina». Secondo l’Arcivescovo Shaw, «frutto di questo impegno pastorale è anche il dono delle vocazioni al sacerdozio: quest’anno abbiamo quasi cento nuovi seminaristi, un dono, ma anche una responsabilità che Dio ci affida». La comunità cattolica nell’arcidiocesi di Lahore conta 580mila fedeli su una popolazione a maggioranza musulmana di 33 milioni di abitanti. (Fides) CINA CHIESA DELLA MISERICORDIA Èstata costruita mattone su mattone grazie al sostegno, al volontariato e alle offerte della comunità cattolica locale: si tratta della nuova «Chiesa della misericordia di Gesù», inaugurata sabato 24 giugno, nella diocesi di Bameng, tra le steppe della Mongolia interna. Già nel 1996, la comunità cattolica locale aveva costruito una sala di preghiera in un contesto in cui la maggioranza della popolazione è legata alle pratiche religiose del buddismo tibetano e dello sciamanesimo mongolo. Nel 2011, con l’arrivo di un sacerdote residente, la sala è stata consacrata ed è diventata una cappella dove si può celebrare la liturgia e amministrare i sacramenti. Nel 2018 è stata posta la prima pietra della nuova chiesa dedicata alla Misericordia di Gesù. Il fervore apostolico della comunità locale ha favorito negli ultimi anni la crescita dei corsi di catechismo, la programmazione di ritiri spirituali per sacerdoti e per laici, l’avvio di opere caritative, lo sviluppo della pastorale giovanile e vocazionale. La comunità di Bameng è composta da circa 40mila cattolici assistiti da 24 sacerdoti, 27 suore, tre diaconi. (Fides) Mozambico: rinascere Il gruppo giovanile della parrocchia di Nzinje in Mozambico, retta dai Missionari della Consolata, dopo l’esperienza della pandemia, ha vissuto la sua rinascita. Il 23 marzo 2020 il governo aveva chiuso tutti i luoghi pubblici e religiosi come misura per contrastare l'estendersi della pandemia di Covid-19. Sono stati cinque mesi di paura e dolore durante i quali abbiamo visto morire amici, familiari e conoscenti. Ma mentre eravamo reclusi ci siamo interrogati su come far rinascere la vita cristiana nella parrocchia decidendo di cominciare dalla formazione dei giovani. Così, appena è stato possibile, siamo partiti con un lavoro di formazione, di impronta «allamaniana-consolatina» con un gruppo di ventitrè giovani, dai 15 ai 18 anni, provenienti da un cammino fatto nell’Infanzia missionaria. Non si trattava solo di conoscere il carisma Imc, ma anche di viverlo e condividerlo con altri giovani, dando alla parrocchia un nuovo slancio dinamico e giovanile. Dopo nove mesi di formazione settimanale, il 20 giugno 2021, festa della Consolata, nella «Chiesa delle Rocce» di Massangulo, dedicata alla Consolata, e con la benedizione del vescovo di Lichinga, mons. Atanasio Amisse Canira, è nato il primo gruppo giovanile di spiritualità «allamaniana-consolatina» del Mozambico. Tale spiritualità si esprime secondo un profilo ben definito che contempla un incontro formativo settimanale, l’animazione dell’eucaristia ogni mercoledì, la collaborazione ai lavori manuali in parrocchia il sabato mattina e, mensilmente, la missione nei vari settori della parrocchia visitando gli ammalati e portando aiuti alle famiglie povere e bisognose. A questo gruppo iniziale si sono aggiunti altri giovani e oggi sono in 56 che vivono la stessa spiritualità. E poi sono sorti altri due gruppi in due comunità diverse raggiungendo in soli due anni il numero di 87 giovani che vivono e condividono lo stesso carisma. Dopo la pandemia, il fuoco della Pentecoste arde più vivace che mai! (Imc) OTTOBRE 2023 | MC | 9 Kenya: brother Ben manifesta con la gente contro la costruzione di un oleodotto. © Mt.Kenya Network Forum © Edilberto Maza

La presenza di Mosca nei paesi latinoamericani è mutata nel corso degli anni: da estemporanea (con i flussi migratori) è diventata politica ed economica. In tempi recenti, ha amplificato la sua influenza tramite i suoi canali informativi (Rt e Sputnik). Dopo l’aggressione all’Ucraina, cos’è cambiato? E come sono le relazioni con la Cina, alleata a livello politico ma concorrente in America Latina? | MC | OTTOBRE 2023 10 di DIEGO BATTISTESSA RUSSIA-AMERICA LATINA LA RUSSIA IN AMERICA LATINA Le mosse dello zar Le relazioni tra Russia e America Latina hanno radici profonde, non sono cioè limitate ai primi decenni del XXI secolo. Gli immigrati russi comparvero per la prima volta in Sud America e nei Caraibi all’inizio del XIX secolo. Si trattava di ondate migratorie costituite in gran parte da lavoratori provenienti dalla parte europea dell’Impero russo e, in misura minore, dalle file dell’opposizione politica delle province baltiche, dalla Polonia e dall’Ucraina occidentale. Posteriormente, dopo la rivoluzione d’ottobre del 1917, un piccolo numero di russi in fuga dal regime comunista scelse la regione latinoamericana come luogo di esilio volontario. Tra questi è doveroso ricordare il caso di Lev Davidovich Bronstein, meglio conosciuto come León Trotsky. Quello che fu il promotore della rivoluzione permanente terminò i suoi giorni a Città del Messico (il 21 agosto 1940), ucciso da Ramón Mercader (agente segreto spagnolo naturalizzato sovietico) su ordine di Stalin. © Yuri Cortez - AFP

OTTOBRE 2023 | MC | 11 Qui: le cupole della chiesa ortodossa della Santissima Trinità nello storico quartiere di San Telmo, a Buenos Aires, in Argentina. | A sinistra: un gruppetto di giovani passa accanto a un murale con le figure di Vladimir Putin e Hugo Chávez nel quartiere di Catia, a Caracas, in Venezuela. Trotsky visse i suoi ultimi anni in Messico da rifugiato grazie all’asilo politico che gli venne concesso dall’allora presidente messicano Lázaro Cárdenas e fu circondato dall’affetto di figure iconiche della storia della regione quali Frida Kahlo e suo marito Diego Rivera (entrambi pittori di grande fama, ndr). La seconda ondata di migrazione russa in America Latina si verificò dopo la Seconda Guerra mondiale. Era formata in gran parte da cittadini sovietici che vivevano nel territorio liberato dagli alleati occidentali, persone che non volevano tornare in Unione Sovietica. In questo modo si ampliò la presenza della diaspora nella regione, in particolare in Argentina, Brasile, Cile, Messico, Paraguay, Uruguay e Venezuela, gettando le basi per importanti scambi culturali tra la Russia e i paesi delle Americhe, connessione oggi vitale per le politiche e per l’influenza russa nella regione. Dalla guerra fredda a Vladimir Putin Durante la Guerra fredda (12 marzo 1947 - 26 dicembre 1991) anche la regione latinoamericana fu teatro dello scontro multilivello delle due superpotenze, terpopolari della Federazione russa. Successivamente, quando Boris Eltsin annunciò le sue dimissioni il 31 dicembre 1999, in conformità con la Costituzione, Putin diventò presidente ad interim iniziando una leadership che lo vede ancora oggi come l’uomo più potente e temuto della Russia. I piani dello zar L’arrivo dell’ex agente del Kgb al Cremlino ha cambiato completamente il posizionamento della Russia a livello globale e questo ha avuto effetti importanti anche sulla regione latinoamericana. Già dalla Conferenza sulla sicurezza di Monaco del 2007 (Munich security conference, spazio internazionale che si tiene annualmente dal 1963) Putin ha confutato la narrazione di un mondo «unipolare» sotto il protagonismo e l’egemonia degli Usa e della Ue, aprendo la porta a nuove interpretazioni ed equilibri di potere. L’anno prima, infatti, il 20 novembre 2006, si era tenuta la prima riunione dei Brics, acronimo di un’associaTurismo.buenosaires.gob.ar reno di lotta ideologica e indirettamente anche militare, nel quale l’Urss mantenne stretti legami con Cuba e con il Nicaragua. L’influenza sovietica ebbe un ruolo importante per creare un’alternativa all’egemonia esercitata dagli Stati Uniti d’America in una regione che, per molto tempo, fu considerata il giardino di casa («patio trasero») degli Usa. Con la dissoluzione dell’Urss (dicembre 1991) e il lungo processo di riassetto politico, economico, sociale e diplomatico che ne seguì, la Russia perse molto peso sulla scena internazionale, anche nei confronti del paesi latinoamericani, Cuba in primis. Agli inizi degli anni Novanta, il Paese, che oggi occupa più di due terzi del territorio della vecchia Urss e comprende metà della sua popolazione, aveva un volume di scambi commerciali con l’America Latina ridotto all’osso. Dalla seconda metà degli anni Novanta la situazione iniziò a migliorare con un riavvicinamento e rafforzamento delle partnership strategiche, una ripresa del commercio e il susseguirsi di visite reciproche dei capi di stato. La vera svolta avvenne però nell’anno 2000 con il cambio dello scenario politico all’interno della Russia e l’arrivo ai vertici del potere di Vladimir Putin. Già nell’agosto del 1998, come capo del governo, l’uomo aveva guidato la seconda guerra cecena diventando uno dei politici più geopolitica | commercio | alleanze internazionali “L’arrivo al potere di Vladimir Putin ha cambiato le strategie russe anche in America Latina.

| MC | OTTOBRE 2023 12 RUSSIA zione economico-commerciale tra le cinque economie nazionali emergenti che, nel decennio del 2000, erano le più promettenti del mondo. Si tratta del gruppo composto da Brasile, Russia, India, Cina e Sudafrica (quest’ultimo unitosi nel 2011) che si pone come contrappeso all’autoreferenzialità occidentale e che esplora misure alternative di commercio inter- nazionale, ad esempio la possibilità di non utilizzare il dollaro come valuta di riserva mondiale. Putin si è proposto, dunque, come un portabandiera di un mondo «multipolare» ricollocando la Russia (che è anche membro permanente del Consiglio di sicurezza dell’Onu con potere di veto) come protagonista nello scenario internazionale. Le parole di Monaco del 2007 sono diventate «reali» con la guerra in Georgia del 2008 e con l’annessione della Crimea da parte della Russia nel 2014 e le conseguentii sanzioni economiche che hanno diviso la comunità internazionale. Proprio le sanzioni economiche imposte dall’Ue dopo i fatti di Crimea hanno spinto Mosca ad accelerare la ricerca di alleati sia a livello diplomatico che livello commerciale. È in questo contesto che l’America Latina è tornata al centro degli interessi russi e dove paesi come Uruguay, Argentina e Brasile hanno iniziato a sostituire i «vecchi» partner commerciali europei per l’esportazione di frutta, verdura e carne verso la Russia. La strategia del vaccino Con l’inizio del nuovo secolo, la Russia guidata da Vladimir Putin ha ripreso a guardare con interesse all’America Latina , espandendo la sua presenza commerciale e tessendo importanti alleanze con governi sia di destra che di sinistra. Armi, gas e petrolio sono stati il principale «grimaldello» con il quale è iniziata questa nuova era delle relazioni russo-latinoamericane, una dimensione che però molto presto ha acquisito un carattere più geopolitico, in opposizione alle azioni sanzionatorie di Washington nei confronti della Russia. La politica estera russa ha così creato un’area di intervento multisettoriale nella regione latinoamericana, promuovendo relazioni commerciali ed econo- miche, insieme a una cooperazione tecnica, militare e sanitaria. Nello scenario creato dalla pandemia da Covid-19, la Russia ha infatti giocato un ruolo da protagonista aumentando la sua proiezione regionale grazie alla strategia di approvvigionamento del suo vaccino Sputnik a diversi paesi dell’area come Argentina, Bolivia, Guatemala, Guyana, Honduras, Messico, Nicaragua, Paraguay, Panama e Venezuela. I megafoni di Rt e Sputnik A questo si aggiunge la diffusione massiccia di narrazioni favorevoli a Mosca attraverso la forte presenza nella regione di mass media russi come Russia today (Rt) e l’agenzia di stampa Sputnik. Questi sono megafoni potenti che permettono al Cremlino e a Putin di mettere in discussione, nei paesi latinoamericani, il modello democratico targato Stati Uniti d’America e Unione europea. Nel corso degli anni, sono proprio quei paesi che hanno intrapreso cammini fuori dagli argini dello stato di diritto - Cuba, Nicaragua e Venezuela - ad avere instaurato legami molto stretti con Mosca. Rappresentano i primi alleati di Putin, paesi nei quali le narrazioni utilizzate dagli organi di stampa russi sono sostenute e ripetute acriticamente, compresa quella sull’invasione dell’Ucraina. Questi tre stati rappresentano oggi terreno di scontro politico e ideologico per le stesse sinistre della regione (come, ad esempio, il Venezuela, appoggiato dal brasiliano Lula ma criticato dal cileno Boric). A questi stati la Russia ha offerto aiuti politici, economici e finanziari in cambio del loro sostegno a livello internazionale per rafforzarel’opposizione all’influenza degli Usa in America Latina. In Nicaragua si assiste a continue esercitazioni militari, marittime e aeree, allo sviluppo di centri di addestramento militare o di sistemi di monitoraggio satellitare come «La Gaviota», tutto sotto il controllo operativo-amministrativo della missione diplomatica russa. Con il Venezuela esistono più di venti accordi bilaterali di cooperazione militare, scambio di personale e di addestramento, mentre con Cuba la collaborazione à ancora più estesa e comprende anche varie aree di influenza nel commercio, negli investimenti e negli aiuti umani- © Fabio Rodrigues Pozzebom - Agencia Brasil

ALLEATI DI PUTIN IN AMERICA LATINA ALLEATI CHIAVE + CUBA + NICARAGUA + VENEZUELA + BOLIVIA BASI MILITARI RUSSE + NICARAGUA + VENEZUELA OTTOBRE 2023 | MC | 13 In basso: il ministro russo Sergej Lavrov con Mauro Vieira, ministro degli esteri del Brasile, durante la tappa brasiliana del tour latinoamericano dello scorso aprile. | A sinistra: Leon Trotsky con l’artista messicana Frida Kahlo; il politico russo fu esule in Messico dal 1937 fino al suo assassinio, avvenuto nel 1940. | Qui sopra: mappa dell’America Latina con i paesi più legati a Mosca e i loghi dei media russi, Rt e Sputnik. tari. Sempre a Cuba, da marzo 2023 è possibile usare carte di credito russe negli sportelli dell’isola e a maggio tre banche russe hanno presentato le richieste necessarie per aprire succursali nel paese caraibico: in relazione a ciò si specula che presto L’Avana accetterà pagamenti anche in rubli. Rt e Sputnik sono oggi, dunque, un importante volano degli interessi russi in America Latina, trovando il plauso delle sinistre più radicali e più in generale delle forze illiberali dello spettro politico latinoamericano. Chi commercia con Mosca La generazione di consenso che ne deriva rende gli accordi economici e militari tra i paesi latinoamericani e la Russia politicamente molto più agevoli e accettabili da parte delle opinioni pubbliche nazionali. Tra questi spicca la cooperazione militare, dove l’industria bellica russa gioca un ruolo di primo piano. Oltre a Cuba, Nicaragua e Venezuela si sono rafforzati negli ultimi anni i legami con i governi di Nayib Bukele nel Salvador, Alberto Fernandez in Argentina, Jair Bolsonaro in Brasile (che, a gennaio 2023, ha lasciato il posto a Lula) e Andrés Manuel Lopez Obrador in Messico. Questi ul- © foto-composición LR / AH! “Anche il vaccino Sputnik è servito a Mosca per accreditarsi come paese amico.

| MC | OTTOBRE 2023 14 timi tre paesi rappresentano i mercati più importanti per la Russia in America Latina e nel caso particolare di Brasile (membro dei Brics) e del Messico (membro del G20) parliamo di esportazioni vitali per l’economia di Mosca, come zucchero di canna, semi di soia, caffè, carne, birra, apparecchi meccanici, autovetture, e telefoni. Un commercio bilaterale che ha visto un notevole aumento nel XXI secolo e con l’era Putin, dove tra tutti spicca il Brasile, paese che mantiene con la Russa il più grande flusso di importazioni e di esportazioni di merci di tutta l’America Latina. In totale, nel 2020 il Brasile ha importato beni per un valore di 2,9 miliardi di dollari dalla sua controparte russa e ha esportato un valore di 1,5 miliardi di dollari, essendo i fertilizzanti i prodotti con il più alto valore di importazione. Il fiorente commercio con l’economia più grande dell’America Latina (il Brasile ha fatto registrare nel 2022 un Pil di 1.900 miliardi di dollari ed è l’undicesima economia mondiale, proprio dietro all’Italia) è dunque uno dei pilastri della proiezione russa nel continente. Considerando inoltre che, proprio ad aprile 2023, l’ex presidentessa brasiliana Dilma Rousseff ha assunto la guida della Nuova banca di sviluppo (New development bank, Ndb) dei Brics. La crescita esponenziale della Cina L’America Latina però è una regione estremamente eterogenea nella quale l’appeal russo non si “ Brasile, Argentina e Messico sono i principali partner commerciali della Russia. © Thawt Hawthje © Multilateral Cooperation Center for Development Finance A lato: un palazzo di Gasprom, il colosso russo dell’energia (operante in America Latina, ma non più in Venezuela), comincia a subire gli effetti della lunga guerra in Ucraina. | Sotto: la brasiliana Dilma Rousseff, presidente della «Nuova banca di sviluppo», istituto di riferimento dei Brics, durante un incontro nella sede centrale di Shanghai. | A destra: i presidenti Lula da Silva, Xi Jinping, Cyril Ramaphosa, Narendra Modi e il ministro russo Sergej Lavrov nella foto di gruppo al Summit Brics di Johannesburg; il logo del summit dei Brics, tenuto a Johannesburg, in Sudafrica, dal 22 al 24 agosto 2023. RUSSIA

OTTOBRE 2023 | MC | 15 La Russia e i Brics IL MULTILATERALISMO DELLE DITTATURE Con sulla testa un mandato di cattura da parte della Corte penale internazionale (Icc), Vladimir Putin ha preferito non recarsi alla tre giorni del XV Brics Summit, tenutosi a Johannesburg, in Sudafrica dal 22 al 24 agosto scorso. Si è, pertanto, limitato a inviare un discorso preregistrato di 17 minuti. In esso il leader del Cremlino si è concentrato soprattutto sull’«operazione speciale» in Ucraina e sulle cattiverie dell’Occidente verso l’incolpevole Russia, non cambiando di una virgola il suo ormai consueto canovaggio di bugie e ossessioni. Al vertice sudafricano erano presenti gli altri quattro leader dei Brics (acronimo dei cinque paesi aderenti all’alleanza): il cinese Xi Jinping, l’indiano Narendra Modi, il brasiliano Luiz Inacio Lula e Cyril Ramaphosa, presidente del paese ospitante. Attualmente, i paesi Brics rappresentano oltre il 42% della popolazione globale, il 30% del territorio mondiale, il 23% del Pil e il 18% del commercio internazionale. Numeri già importanti che aumenteranno con il prossimo allargamento del gruppo. Al Summit sudafricano è stata, infatti, annunciata la lista dei nuovi membri: dal primo gennaio 2024, dovrebbero entrare Iran, Egitto, Etiopia, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Argentina. Insomma, come si può capire, tanti paesi con un pedigree dittatoriale, Iran e Arabia Saudita in testa. Perché - allora - tanti aspirano a entrare in questa alleanza? La risposta principale è talmente ovvia da apparire semplicistica: per le opportunità di sviluppo economico che, aderendo, si potrebbero aprire. Si pensi, ad esempio, ai vantaggi per il Brasile di Lula o per un’Argentina sull’orlo del suo ennesimo fallimento economico. Con la Russia impegnata nella guerra, oggi i Brics sono una creatura dominata dalla Cina, seconda potenza economica mondiale in competizione con gli Usa. Anche a Johannesburg il vero vincitore è stato Xi Jinping, che ha blandito molti paesi, soprattutto africani (dove Pechino ha da tempo piantato le proprie bandiere). Il leader cinese ha anche incontrato Ebrahim Raisi, presidente della Repubblica islamica dell’Iran, paese che, pur non avendo mai smesso la persecuzione nei confronti dei dissidenti, è stato accolto nei Brics. Come per l’aggressione russa all’Ucraina, anche davanti alla repressione di Tehran, Pechino chiude gli occhi. D’altra parte, i cinesi sono i primi a non voler parlare di democrazia e diritti umani avendo i loro problemi in Tibet, Xinjiang, Hong Kong e Taiwan. Che il capitalismo occidentale abbia prodotto e produca troppe ingiustizie (economiche, sociali e ora anche ambientali) è fatto indubitabile e non più tollerabile. Che l’alternativa sia un modello multilaterale guidato da una o più dittature è però una toppa peggiore del buco. Paolo Moiola © Li Xueren / Xinhua / AFP

| MC | OTTOBRE 2023 16 Qui: Kirill, patriarca della Chiesa ortodossa russa e grande sostenitore di Putin, in una cerimonia al Cristo Redentore di Rio de Janeiro, in Brasile, nel febbraio 2016. RUSSIA “ In America Latina, Russia e Cina tentano di sostituirsi a Stati Uniti e Unione europea. espande in modo uniforme in ogni contesto nazionale. I forti legami commerciali con Brasile e Messico e i legami politico finanziari con Cuba, Nicaragua e Venezuela (che hanno potuto godere di ingenti prestiti, donazioni e lucrosi affari con le aziende russe) hanno creato un gruppo di paesi «di appoggio» che hanno sostenuto Putin durante l’ultimo anno, astenendosi dal votare all’Onu contro la Russia per la guerra in Ucraina. Basti ricordare, infatti, la posizione ambigua, quando non dichiaratamente opportunista, assunta nella votazione sull’espulsione del paese dal Consiglio dei diritti umani delle Nazioni Unite, durante la quale Messico, Brasile ed El Salvador si sono astenuti, mentre Nicaragua, Cuba e Bolivia hanno votato contro (7 aprile 2022). Il fatto che la Russia non sia riuscita a generare una completa area di influenza diplomatica ed economica in America Latina è però dovuto anche alla Cina, le cui relazioni commerciali con la regione sono cresciute in modo esponenziale. Basti pensare che Pechino ha assegnato ad Argentina, Brasile, Cile, Ecuador, Messico, Perù e Venezuela il massimo livello di cooperazione strategica e che la Banca cinese di sviluppo è uno dei principali investitori in progetti di costruzione di infrastrutture nella regione. La Russia mantiene, però, un potere geopolitico importante in America Latina, dove la sua industria bellica fornisce armi a diversi governi (Venezuela su tutti) e dove continua a mantenere un grado di impegno mediatico e diplomatico ad alta intensità. A livello geostrategico però il suo peso economico è molto inferiore a quello della Cina, suo partner politico ma, appunto, rivale in America Latina. Visioni del mondo Russia e Cina condividono una visione «multipolare» del mondo, una visione cioè che vuole contrastare la leadership e l’egemonia statunitense. Tralasciando la spinosa questione della guerra russa contro l’Ucraina, questa visione è anche quella di buona parte dei governi progressisti della sinistra latinoamericana: in questo senso l’America Latina risulta una regione strategica per il conseguimento di questo obiettivo. La convivenza nella regione degli interessi di due giganti come Russia e Cina rappresenta una grande sfida, considerando anche e soprattutto la necessità dei nuovi governi e delle nuove leadership dei paesi latinoamericani, più o meno allineati con la narrazione di Washington e della Ue, di trovare un proprio spazio di manovra politica ed economica. Diego Battistessa Prossimamente su MC: la Cina in America Latina. © Tasso Marcelo - AFP

di MAURIZIO PAGLIASSOTTI ITALIA ACCADE NELLE LANGHE Le vigne del riscatto Colline, vigneti, borghi, panorami, cantine. Dal 2014, le Langhe sono patrimonio dell’Unesco. Sono bellezza, lavoro, denaro, fama. Nel caso (unico) dell’«Accademia della vigna», nata esattamente un anno fa, possono significare anche buone pratiche e sostenibilità sociale, riscatto e integrazione. Qui sotto: Accademia della vigna, formazione sul campo, posizionamento e rinforzo dei pali delle vigne (marzo 2023). © Piero Battisti Il giovane Ousmane viene dalla Guinea Conakry. Ha trovato finalmente un lavoro stabile, e ogni mattina inforca la sua bicicletta e raggiunge l’azienda agricola Mirafiore, dove è stato assunto in qualità di operaio di vigna. Non ha una storia semplice l’operaio Ousmane, arrivato in Italia su un barcone nel 2017 e ancora richiedente asilo, finito in Francia, passato attraverso varie forme di lavoro sfruttato e poi giunto nelle Langhe dove sta costruendo il suo futuro. «Senza lavoro, non c’è libertà», dice. Il progetto «Accademia della vigna» si pone dentro questo angolo di mondo, come proposta in grado di valorizzare la dimensione sociale del vino. L’iniziativa, coordinata dall’impresa sociale We.Co. e promossa con il «Consorzio di tutela Barolo Barbaresco», è attiva da ormai un anno grazie alla collaborazione con diversi enti del territorio (imprese, istituzioni, terzo settore, scuole, sindacati, cittadini). Rappresenta la prima academy a impatto sociale sulla viticoltura: un sistema che facilita il reperimento di nuovi operai formati sulla conduzione del vigneto, tramite un percorso che alterna la formazione con il lavoro in vigna. Emersione e dignità Dieci assunzioni regolari, dieci contratti, dieci emersioni dal lavoro irregolare, spesso sfruttato. OTTOBRE 2023 | MC | 17

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