Missioni Consolata - Agosto/Settembre 2023

Poste Italiane S.p.A. - Spediz. in abb. postale "Regime R.O.C." - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NO/TORINO

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3 EDITORIALE ai lettori M C AGOSTO-SETTEMBRE 2023 | MC | Perché partire? Perché restare? All’alba del 3 ottobre del 2013 un’imbarcazione carica di migranti somali ed eritrei, già in vista dell’isola di Lampedusa, prende fuoco. Sul ponte ci sono centinaia di persone. Alcune si buttano in acqua, altre resistono. Saranno 155 i sopravvissuti, e 368 i morti. Si parla subito della «più grande tragedia dell’immigrazione», ma sarà presto superata da altre. Nella notte tra il 25 e il 26 febbraio 2023, un altro barcone proveniente dalla Turchia, si incaglia non lontano da Steccato di Cutro (Calabria). L’impatto è violento e il mare forza 5 completa l’opera distruggendo il battello. Su di esso viaggiano 180 migranti di diversi paesi (Afghanistan, Pakistan, Siria, Tunisia, Palestina). Ottanta saranno i sopravvissuti. Tra le vittime, sono in aumento le donne e i minori. È il 13 giugno 2023. Al largo di Pylos, Grecia, un peschereccio stipato di persone si ribalta. Sono circa 700. Ne vengono salvate 104. Nella parte interna dello scafo ci sono donne e bambini. In generale, chi paga di meno occupa i posti peggiori. Tra questi eventi, dieci anni di naufragi e migliaia di morti in mare. All’indomani di quello del 2013 mi trovavo in Burkina Faso. Il fatto era sulla bocca di tutti. C’era un generale stato di shock per quel numero di morti così alto. Molti - forse con il senno di poi - mi dicevano che loro «non avrebbero mai tentato una simile avventura, perché la probabilità di fallimento, e il rischio di morire, erano troppo elevati». Facendo un balzo indietro nel tempo, mi torna in mente il molo di Port-au-Prince, ad Haiti, nel 1997. Gli haitiani partivano con delle barche di legno dalla costa nord dell’isola, nel tentativo di raggiungere le Bahamas. Pochi ci riuscivano, molti morivano naufraghi o, come si diceva, «divorati dagli squali». Molti altri, intercettati dalla guardia costiera Usa, venivano riportati sull’isola. Ricordo le file di giovani appena sbarcati dalle motovedette a stelle e strisce: tra le mani un sacchetto bianco con un «kit di rimpatrio» (un po’ di cibo, una maglietta), in faccia la delusione di chi ha fallito. Molti haitiani mi dicevano che era da pazzi tentare la traversata. Ma il flusso continuava. Quale sarà stato l’impatto del naufragio di Pylos sulla gente di Afghanistan, Pakistan, Siria? Dall’Europa, noi abbiamo sempre solo la nostra prospettiva, e facciamo fatica ad ascoltare cosa hanno da dire i popoli dei paesi di provenienza. Dovremmo metterci in ascolto, invece di classificare i migranti in categorie (economici, climatici, politici), e chiedere loro: Perché partire? Perché restare? Perché pagare cifre da capogiro e rischiare la vita? I migranti che ho incontrato in Niger negli ultimi anni, provenivano da tutta l’Africa occidentale e avevano tentato di attraversare il Sahara. Tutti con forti motivazioni. Mi ha colpito una famiglia del Ciad: genitori e quattro figli. Lui nel suo paese aveva tentato più volte di studiare giurisprudenza, ma non era riuscito a causa della situazione: «Sappiamo che è un rischio lanciarsi con una famiglia in una migrazione. Siamo stati spinti dal fatto che il nostro paese non è stabile. La gente vive sempre in conflitti armati, o intercomunitari, c’è la repressione del governo, la cattiva gestione. Inoltre, le ricchezze del paese non sono condivise in modo che tutti ne possano beneficiare per vivere in pace». L’articolo 13 della Dichiarazione universale dei diritti umani (1948) recita: «Ogni individuo ha diritto alla libertà di movimento e di residenza entro i confini di ogni Stato. Ogni individuo ha diritto di lasciare qualsiasi paese, incluso il proprio, e di ritornare nel proprio paese». Liberi di scegliere se migrare o restare è il titolo del messaggio di papa Francesco per la 109a «giornata del migrante e del rifugiato» (24 settembre): «Migrare dovrebbe essere sempre una scelta libera, ma di fatto in moltissimi casi, anche oggi, non lo è. Conflitti, disastri naturali, o più semplicemente l’impossibilità di vivere una vita degna e prospera nella propria terra di origine costringono milioni di persone a partire […]. Per fare della migrazione una scelta davvero libera, bisogna sforzarsi di garantire a tutti un’equa partecipazione al bene comune, il rispetto dei diritti fondamentali e l’accesso allo sviluppo umano integrale». di MARCO BELLO direttore editoriale

Il numero è stato chiuso in redazione l’11 luglio 2023 e consegnato alle poste di Torino entro il 31 luglio 2023. * * * 08 CHIESA NEL MONDO a cura di Sergio Frassetto 32 CAMMINATORI DI SPERANZA /6 Samuele, modello del «chiamato» di Angelo Fracchia 61 MISSIONE REU Operatori di perdono di Luca Lorusso 68 E LA CHIAMANO ECONOMIA Non tutti i debitori sono eguali di Francesco Gesualdi 71 COOPERANDO Mozambico e Angola: due paesi, uno stile di Chiara Giovetti 81 LIBRARSI La via di Capitini di Massimiliano Fortuna In copertina: un ragazzo fa volare un aquilone, tipico del giorno dei morti, Nebaj, Guatemala. (foto di Simona Carnino). https://www.rivistamissioniconsolata.it Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. - I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003). 8-9 | Agosto-Settembre 2023 | anno 125 03 AI LETTORI Perché partire? Perché restare? di Marco Bello 05 NOI E VOI Lettori e Missionari in dialogo ISLANDA, MITI E REALTÀ L’ISOLA BIVALENTE di Piergiorgio Pescali a cura di Paolo Moiola 10 GUATEMALA Democrazia in affanno di Simona Carnino 15 VIETNAM Nemici ieri, partner oggi di Lorenzo Lamperti 20 TURCHIA Nelle mani del sultano di Angelo Calianno 27 SERBIA Un rio rosso sangue di Daniela Del Bene 51 ITALIA In volo con Camilla di Cinzia Charrier 56 REP. DOMINICANA Ribaltare la prospettiva di Marco Bello 66 KENYA Marzuk, il beniamino di Gigi Anataloni 75 ALLAMANO «I laici poi non mancheranno...» inserto a cura di S. Frassetto SOMMARIO * * * * 20 35 ossier | MC | AGOSTO-SETTEMBRE 2023 4 * * *

5 a cura di Gigi Anataloni LETTORI E MISSIONARI IN DIALOGO NOI E VOI le missionarie. Tutto questo ve lo scrivo perché sappiate che tanti sconosciuti pregano per voi missionari e siate sempre fiduciosi e abbandonati alla grande Provvidenza del Signore che fa tutto e tanto con il nostro poco. Basta la nostra buona volontà. Vi saluto con tanto amore pensando ai miei cari defunti, vostri confratelli: padre Giuseppe da Frè e padre Armando Cecconi, nonché la mia parente missionaria della Consolata, suor Bassiana Lorenzi. Auguri di ogni bene Gianna Agostini Rossi Vigodarzere (Pd) 06/01/2023 Grazie di cuore delle preghiere, un energetico sicuro per ogni missionario. Ecco qui una brevissima memoria dei suoi «cari defunti». Padre Armando Cecconi, (foto sopra) nasce a Castions di Strada (Ud) il 21/03/1922 e va incontro al suo Signore il 31/03/2014, pochi giorni dopo aver compiuto i 92 anni. Ordinato sacerdote nel 1951, dopo alcuni anni come formatore in Italia, nel 1968 parte per il Kenya, dove rimane nelle terre alte del Kikuyu fino al 2012, quando deve rientrare per salute. Anche padre Giuseppe Da Fré (foto sotto) ha passato la sua vita missionaria in Kenya, ma in aree molto diverse, nel grande Nord sopra l’equatore, nelle terre dei Samburu e di altri popoli noTANTI PREGANO PER VOI Carissimi missionari, sono amica di una suora di clausura del monastero di Santo Stefano di Imola alla quale arriva la vostra rivista. L’ho abbonata io perché prima di essere claustrale è stata tanti anni missionaria in Kenya con un altro istituto di suore missionarie e sapevo che sarebbe stato tanto gradita la rivista che parlava di luoghi da lei conosciuti. Avendo letto della elezione a cardinale di padre Giorgio Marengo, mi riferì che lei ha sempre pregato per lui da quando nel 2003 è stato mandato con le due suore in missione in Mongolia. Avendo ricevuto questa notizia l’ha riempita di gioia e di ancor più fervore nella preghiera per i missionari e madi, da Loyangalani a Wamba. Nato il 03/01/1939, sacertote missionario della Consolata il 18/12/1965, dopo il corso di inglese a Londra, nel dicembre 1967 è destinato a Baragoi (nella foto sotto), la primogenita (1952) delle missioni del Nord. Loyangalani, Laisamis, Maralal, Wamba sono le altre missioni dove è chiamato a essere segno di consolazione e costruttore di pace, fino al 2015, quando la salute lo obbliga a rientrare fino a che il Signore lo chiama a sé il primo giorno del 2016. PERPLESSITÀ Carissimi, nel numero di giugno, all’interno dell’articolo «Per terra e per mare» che Paolo Moiola dedica a due libri scritti da Maurizio Pagliassotti, mi ha lasciata perplessa leggere, a proposito di Lorena Fornasir e Gian Andrea Franchi, che: «I loro nomi si protendono lungo la rotta dei Balcani fra migranti, cooperanti, giornalisti e non sempre sono amati neppure tra noi buoni: “troppo mediatici"». E più avanti: «Indubbiamente sono sotto i riflettori ma questo che problema è?». Tali considerazioni si riferiscono a Lorena Fornasir e a suo marito Gian Andrea Franchi che da anni a Trieste prestano quotidiana assistenza ai migranti, in particolare curando i loro piedi piagati dal lungo cammino. Da triestina posso testimoniare che tutto sono meno che mediatici; e che «sotto i riflettori» è il posto che meno si addice al loro profilo, saldamente agli antipodi da ogni sia pur minimo sospetto di protagonismo. Secondo me andava precisato che purtroppo è stata la cronaca a metterli brutalmente sotto i riflettori, quando nel 2021 furono accusati di essere complici dei trafficanti. Ma fortunatamente i magistrati hanno poi chiuso il caso: la solidarietà non è reato. Loro sono stati le vittime, di quell’amara e scandalosa parentesi. E dopo di essa, esattamente © AfMC AGOSTO-SETTEMBRE 2023 | MC |

come prima, hanno sempre operato nell’umiltà e nell’ombra (e «Linea d’Ombra» è il nome della loro benemerita associazione). Con l’occasione vi rinnovo il mio plauso più sentito per la vostra utilissima e irrinunciabile rivista. Susanna Cassoni 15/06/2023 Grazie di cuore per la precisazione. Condividiamo con lei il giudizio che «Loro sono stati le vittime, di quell’amara e scandalosa parentesi». Questa rivista ha loro dedicato un reportage di Daniele Biella, La dignità sotto i piedi, nel marzo 2021. Li abbiamo ricordati ancora nel dossier del dicembre dello stesso anno, Ragazzi dimenticati, sempre di Daniele Biella e Luca Lorusso. VOGLIA DI VOLONTARIATO Ciao mi chiamo Lorenzo sono di Parma ho 24 anni e ho letto un vostro articolo riguardo i pigmei, sarei interessato sempre di più ad imparare a come sopravvivere nella natura usando cose che si trovano in natura. Sto leggendo numerosi articoli di Survival International sui popoli indigeni e mi sto interressando sempre di più. Volevo chiedere se a voi serve un aiuto a lavorare con questi popoli? Buona serata. Lorenzo 14/06/2023 Caro Lorenzo, ci sono due aspetti complementari nella tua richiesta: da una parte la voglia di imparare a conoscere meglio la natura proprio da popoli da sempre immersi in essa, dall’altra il desiderio di metterti al servizio con noi tra i «popoli indigeni». Comincio dal secondo punto: diventare un nostro «aiutante». Qui occorre precisare che per periodi lunghi di permanenza in una missione, occorre sia avere una certa qualificazione professionale che tenere conto delle normative che regolano le prestazioni di volontariato nel mondo, senza le quali non è possibile restare in un paese con regolare permesso di soggiorno. Diverso è andare per un mese, della vostra missione attraverso la rivista Missioni Consolata. Oggi, più di ieri, rappresentate l’unico canale onesto per meglio conoscere il grande pericolo verso cui ci stanno incamminando. Contribuirò annualmente con la cifra di 30,00 euro; non è molto ma, ciò posso fare. Grazie se mi riaccoglierete. Una esortazione a proseguire lungo il cammino - insieme. Con voi, fratelli. Alessandro B. 14/06/2023 Grazie Alessandro per il tuo aiuto. Come dici, non è molto, ma significa tanto. Qualche tempo fa mi ha colpito una storia che qualcuno ha raccontato in occasione di una serata a sostegno degli alluvionati in Emilia Romagna. Era la storia di un incendio nella foresta. Tutti gli animali fuggivano, eccetto un colibrì che invece andava avanti e indietro a raccogliere con il becco acqua dal fiume per buttarla sulle fiamme. Un esempio che ha poi contagiato tutti. Come concludi tu: proseguiamo lungo il cammino, insieme. IMPANTANATO NEL GUADO Carissimi, vorrei condividere con voi una piccola parte delle memorie di missionari che ho incontrato ad Alpignano, nella loro casa di riposo. I padri della Consolata raccontano spesso aneddoti del loro trascorso nelle missioni, in qualsiasi parte del mondo. Qualcuno ne ha fatto anche dei libri: pagine di esperienza (30 o 50 anni in quei luoghi) utili a capire meglio le genti e scuola per noi, ma sentirli dalla loro viva voce è un’altra cosa! Trentacinque anni fa ho avuto la fortuna di conoscere molto bene un padre ed una suora missionari in Kenya e di recente un loro confratello (padre Aimone Rondina) in Italia motivi di salute. Le sorelle sono, invece, a Venaria. Hanno tutti un passato non semplice, perché vivere in missione ti segna inesorabilmente; però trascorrono questi momenti con serenità e, pur consci 6 noi e voi | MC | AGOSTO-SETTEMBRE 2023 massimo tre, con un permesso turistico. Per un’esperienza più lunga di volontariato noi, come Missionari della Consolata, non siamo attrezzati legalmente, per questo di solito ci affidiamo alle organizzazioni di volontariato già esistenti e operanti con noi. Abbiamo sì anche la figura degli «aggregati», persone che diventano parte del nostro istituto per un periodo e un servizio precisi. Ma su questo tema del volontariato, spero di tornare presto perché sembra ci siano novità interessanti. Quanto alla tua voglia di imparare dai popoli che vivono a contatto con la natura, è bella e interessante. Forse vivere con quei popoli può essere un aiuto per capire un po’ di più «il creato» e disintossicarsi da certe mitizzazioni che abbiamo nel nostro mondo. A cominciare dal nostro affetto per cani e gatti, che riempiono le nostre case e spesso le nostre solitudini, ma a condizione di essere castrati e rinunciare ai loro comportamenti naturali. Credo che il requisito fondamentale del vero contatto con la natura sia la sobrietà, accompagnata da profondo rispetto e cambiamento di attitudine: da padrone a servo, da sfruttatore a giardiniere e amministratore per il bene di tutti. Non vorrei sembrare scorbutico su questo, ma lo scrivo come uno che ricorda molto bene che da bambino camminava a piedi nudi tutta l’estate e beveva l’acqua dei fossi o dalle sorgive in campagna quando aveva sete e poi andava allegramente con gli amici a «rubare» ciliege, pere, pesche o uva nei campi dei vicini, magari sotto lo sguardo dei padroni che facevano finta di non vedere. CONTRIBUTI Dopo un lungo periodo d’assenza per difficoltà economiche, avverto il bisogno di riaiutarvi/ci. Nel ‘78 vi ero vicino per i campi di raccolta (con padre Giordano Rigamonti). In seguito l’amicizia con padre Ugo Pozzoli mi permise di ancor più comprendere il valore

che forse in missione non torneranno, il desiderio e la speranza restano vivi e forti. Probabilmente è questo il motore che dà loro l’energia per accettare la situazione, insieme alla grande fede che li accompagna. Ecco qui un racconto raccolto dalle labbra di padre Rondina Aimone, classe 1929, nato negli Usa da genitori emigrati là dalla Marche, missionario nel Meru, Kenya, dal 1958 al 2017. Il guado, insidia e benedizione In Africa, soprattutto nelle zone più remote, molte strade prima o poi sono interrotte da un guado, ne sono esenti solo le principali arterie asfaltate dotate di ponti. Il guado (wadi nelle zone desertiche sahariane) è un luogo dove è normalmente possibile attraversare un fiume senza pericolo, ma l’innocuo torrentello della stagione secca, alle prime piogge può trasformarsi in qualcosa di enormemente pericoloso. In un nonnulla il livello dell’acqua s’innalza anche di metri impedendo ogni passaggio. In certe zone il missionario ne deve attraversare parecchi nei suoi spostamenti per raggiungere le molte cappelle della sua missione. Immaginate che all’improvviso la pista davanti a voi finisca in un fiume di acqua impetuosa per ricomparire dall’altra parte cinquanta o anche cento metri (a volte più, a volte meno) più in là. Tu devi andare, hai un appuntamento con una comunità o devi tornare a casa. La macchina è una 4x4 con motore diesel, il livello dell’acqua non è poi così altro, il fondo è buono e non fangoso, la notte si avvicina, ponti in vista nessuno. Passare o non passare? «Un giorno dovevo andare a visitare un villaggio a circa dieci chilometri dalla mia missione di Gatunga, nel Taraka (depressione arida nel Meru, nord est del Kenya). Sono partito con la mia auto tranquillo e fiducioso come sempre - preoccuparsi in anticipo non serve, se lo fai senza motivo, ti sarai stressato per nulla, se poi arriva la sorpresa il pensiero negativo ti avrà solo coinvolto prima del necessario -. Nel tragitto so di dover attraversare un guado problematico. All’andata nessun problema. Sulla via del ritorno incontro “casualmente” il vice capo di quel villaggio che con gesti convincenti mi blocca, deve recarsi con urgenza in un luogo “piazzato” proprio lungo il percorso. Mi chiede un passaggio; lo accontento e lo scarico alla sua destinazione. Un po’ più in là un guado mi sta aspettando. Era quasi secco all’andata, ma nel frattempo c’era stata una grossa pioggia a monte. L’acqua è ben più alta, ma mi butto. Questa volta il Subaru 4x4 si emoziona al punto da restare incastrato nel bel mezzo del torrente, senza alcuna intenzione di muoversi. L’ora del tramonto si avvicinava e sono solo. Ansia. Improvvisamente quel vice capo villaggio si materializza ancora una volta con altre persone. Provano a disincagliare la macchina, ma devono desistere. Si allontanano con qualche promessa. Il tempo intanto passa e la luce lascia il posto al buio pesto. Ho un sussulto quando accanto al vetro vedo un volto apparire all’improvviso, meno male che lo conosco, mi porta qualcosa da bere, e poi anche lui se ne va. Visto che ormai devo rimanere in quel luogo almeno sino al mattino dopo, mi barrico bene con le portiere e i finestrini bloccati, in previsione del mattino quando, alle prime luci, gli animali (elefanti compresi) sono soliti abbeverarsi nei corsi d’acqua. Mi addormento. Preoccupazioni inutili (che scarsa fiducia ho avuto nel prossimo): mi desta il rumore di un motore che si avvicina, un bel camion con sopra un gruppo di uomini, fra loro ancora quel vice capo del pomeriggio prima. Ha pagato di tasca sua il mezzo e la “forza manuale” per tirarmi fuori da quella situazione e finalmente, dopo mezz’ora di tira e molla, il Subaru si schioda dal fiume. È stato uno dei tanti casi in cui ho sperimentato l’affetto vero della nostra gente». Roberto L. Rivelli 20/06/2023 7 Le nostre email: redazione@rivistamissioniconsolata.it / mcredazioneweb@gmail.com © AfMC / Gigi Anataloni - guado in secca vicino a Gatunga; Suzuki che lo attraversa, e padre A. Rondina nella stessa missione AGOSTO-SETTEMBRE 2023 | MC |

PAKISTAN FABBRICANTI DI MATTONI La Società per lo sviluppo umano, un’organizzazione promossa da padre Bonnie Mendes e padre Simon Khursheed, sta costruendo una nuova città chiamata «Bonnie Town» per ospitare i cristiani che lavorano nelle fornaci di mattoni e i senzatetto nel villaggio di Mureedwala, nella provincia del Punjab. Il progetto è iniziato nel 2022 quando la Società per lo sviluppo umano ha acquistato un terreno di cinque acri a Mureedwala per costruire abitazioni per i cristiani poveri che sarebbero state concesse gratuitamente. In quell’anno sono state costruite 34 case, nelle quali oggi risiedono altrettante famiglie, ma l’obiettivo immediato dell’organizzazione è di costruirne 80 in totale. Dopo aver studiato le necessità della popolazione, ultimamente la Società ha costruito tre centri di alfabetizzazione in punti diversi del villaggio, frequentati per ora da 60 bambini, ma si prevede che altri si uniranno nei prossimi mesi. Il sogno di padre Simon Khursheed, presidente della Società per lo sviluppo umano è di costruire 500 case, una nuova chiesa, una scuola, un dispensario medico gratuito e un centro di formazione per le donne. «Devo fare appello al popolo di Dio - ha detto -, affinché ci sostenga in questa nobile causa perché Bonnie Town in futuro sarà un modello per altre organizzazioni che lavorano per il miglioramento della vita dei poveri». (Asia News) MAROCCO PRESENZA DI CONSOLAZIONE Oujda, parrocchia ai confini con l’Algeria, al nord del paese, è un punto strategico dove i Missionari della Consolata portano avanti un progetto interreligioso, con mussulmani ed evangelici, di accoglienza dei migranti. Questi, dopo aver attraversato il deserto del Sahara giungono in quella città per passare poi in Europa. Sono quasi tutti mussulmani. Arrivano in parrocchia dopo aver percorso Nigeria, Niger, Algeria e Marocco. Spesso giungono di notte, feriti, dopo aver attraversato un calvario terribile durante il quale pensavano di essere arrivati al limite, di dover morire, ma, come dicono: «Allah mi ha aiutato». Accolti in parrocchia, vengono nutriti, curati, aiutati nelle procedure legali e messi in grado di proseguire il viaggio. Insieme ai cristiani, hanno celebrato la Pasqua e poi la festa di Eid che segna la fine del mese di Ramadan. È bello vedere la gioia di questi giovani nel riscoprire tutta la loro umanità e vivere la festa come se fossero in famiglia. Hanno trascorso lunghi mesi nel deserto dove hanno perso tutto, spesso anche la voglia di vivere. I Missionari della Consolata, con il loro servizio, vogliono essere per loro una presenza di consolazione e speranza. (Imc) INDIA DONNE IMPRENDITRICI Restituire dignità alle donne nella società, specialmente nelle aree rurali, promuoverne le capacità imprenditoriali e svilupparne le abilità: con questo obiettivo l’organizzazione Seva Kendra, braccio sociale dell’arcidiocesi di Calcutta, ha organizzato un tempo di formazione e di apprendistato, accompagnando le donne dei villaggi del Bengala occidentale (stato dell’India orientale), a mettersi in proprio, diventando piccole imprenditrici, contribuendo al sostentamento delle loro famiglie. «Abbiamo avuto un’opportunità per migliorare la nostra vita», dicono le partecipanti che hanno seguito corsi di cucito, ricamo e tessitura. Le donne hanno avviato piccole imprese artigianali che hanno permesso loro di migliorare la loro condizione socioeconomica, consentendo alle loro famiglie di mandare i figli a scuola, per seguire il percorso di istruzione. Accanto all’azione per lo sviluppo rivolta alle donne, vi è anche un programma specifico per tutelare i diritti dell’infanzia, svolto in collaborazione con la Caritas, per migliorare l’accesso all’istruzione e la protezione contro lo sfruttamento del lavoro minorile e il traffico di bambini. (Fides) a cura di SERGIO FRASSETTO LA CHIESA NEL MONDO | MC | AGOSTO-SETTEMBRE 2023 8 Pakistan: inaugurazione della scuola per i bambini figli dei fabbricanti di mattoni nel villaggio di Mureedwala. © Asia News

VATICANO/CINA UN FILOSOFO ALL’ACCADEMIA Papa Francesco ha nominato per la prima volta un accademico cinese tra i membri ordinari della Pontificia accademia delle scienze sociali, l’organismo consultivo voluto nel 1994 da Giovanni Paolo II per aiutare la Santa Sede nella riflessione su temi legati all’economia, alla sociologia, al diritto e alle scienze politiche. Tra i nuovi accademici figura infatti anche il prof. Bai Tongdong, 53 anni, docente della Facoltà di filosofia presso la Fudan university di Shanghai nonché alla New York university school of law. Oltre a rappresentare un ulteriore segnale dell’attenzione di papa Francesco verso la Cina, l’inserimento di questo docente cinese nell’accademia è significativo anche per il profilo specifico degli studi da lui portati avanti. Il «Maestro Bai» - come lo chiamano gli studenti in Cina - si occupa infatti di teorie politiche a partire dal pensiero confuciano e, nella sua opera più famosa, un libro del 2019 dal titolo «Against Political Equality: The Confucian Case», sviluppa la tesi - che fa evidentemente discutere - secondo cui l’egalitarismo che le democrazie liberali hanno proclamato a valore, talvolta entra in conflitto con il bene comune. Mentre la filosofia confuciana - con la sua sintesi tra unità e compassione - offrirebbe un approccio più universalmente applicabile alle società e alle stesse relazioni internazionali. (Asia News) NICARAGUA PERSECUZIONE Nel mese di maggio una scuola cattolica nella comunità di San Sebastián de Yalí, gestita dalle Figlie missionarie di Santa Luisa Marillac, è stata sequestrata dalle forze di polizia. Le suore straniere sono state espulse dal paese mentre quelle nicaraguensi sono state confinate nei rispettivi conventi. Questo è solo uno dei molteplici episodi che stanno riecheggiando negli ultimi mesi in merito a gravi episodi di abusi di diritti umani ai danni di istituti religiosi, sacerdoti, suore. L’ultimo attacco è l’accusa pretestuosa di «riciclaggio» che ha portato al blocco dei conti bancari di numerose diocesi del paese, della Conferenza episcopale e di altre realtà associative ed educative. Martha Patricia Molina, avvocato nicaraguense in esilio, nel recente rapporto «Nicaragua: una chiesa perseguitata», scrive che sono ben 529 gli episodi di ostilità, e in molti casi di vera e propria persecuzione, che la Chiesa cattolica in Nicaragua ha subito negli ultimi cinque anni per mano del governo guidato da Daniel Ortega, a partire dalle proteste popolari dell’aprile 2018. Un lungo elenco che riferisce di un vescovo incarcerato, mons. Rolando Álvarez, 37 religiosi esiliati, tra cui un altro vescovo, 32 religiose di varie congregazioni espulse, chiese profanate e istituzioni religiose confiscate. (Fides) Ucraina: l’angelo della pace Padre Luca Bovio, missionario della Consolata, residente in Polonia dove lavora come Direttore delle Pontificie opere missionarie, ha realizzato vari viaggi in Ucraina portando aiuti umanitari alla popolazione in diverse città. Nel mese di marzo, ha raggiunto la città di Kerson al sud del paese costruita sulla sponda occidentale del fiume Dnieper. La città, prima della guerra aveva 300mila abitanti, oggi ne conta circa 20mila. Nello stesso viaggio, padre Luca ha portato aiuti anche nelle città di Mikolajów e di Fastow. «Al di là degli aiuti materiali che, comunque, sono vitali per le persone che qui cercano di sopravvivere - dice - ci accorgiamo quanto sia importante l’esserci, l’ascoltarci e il guardarci». Padre Bovio racconta che a Fastow, il parroco, padre Michele, domenicano, come ringraziamento per gli aiuti ricevuti, gli ha regalato un’icona. L’immagine sacra rappresenta il volto di un angelo. Ciò che attira l’attenzione oltre alla simbologia dei colori, sono le viti arrugginite presenti sulla tavoletta di legno, inusuali per la tradizione iconografica. La presenza delle viti è spiegata dall’origine della tavoletta. Essa era il coperchio di una cassa di munizioni proveniente dal fronte dove oggi in Ucraina si combatte. Sul retro sono visibili infatti i dati delle munizioni contenute, il loro peso e il calibro. L’iconografo ha scritto l’icona su questa tavoletta per dare un messaggio simbolico. Il legno della tavoletta testimonia la guerra e le sue atrocità che conosciamo solo in parte. Il volto dell’angelo esprime la presenza di Dio da contemplare nella preghiera. Le guerre sono spesso combattute per modificare le frontiere delle nazioni. «Anche per noi missionari - dice padre Luca -, le guerre rappresentano delle frontiere ma con un altro significato: portare sollievo e consolazione a persone così duramente colpite. La preghiera rimane uno degli aiuti che siamo chiamati a donare insieme al nostro concreto impegno quotidiano per la costruzione della pace». (Imc) AGOSTO-SETTEMBRE 2023 | MC | 9 Cina: il filosofo Bai Tongdong, nuovo membro della Pontificia accademia delle scienze sociali del Vaticano. Roma: padre Luca Bovio mostra l’icona dell’angelo «scritta» sul coperchio di una cassa di munizioni. © Asia News Af MC

Città del Guatemala. Passeggiare per la capitale del Guatemala nel giugno 2023 non lascia spazio a dubbi. Si è chiaramente in uno Stato alla soglia del suo Election Day. Non è necessario essere appassionati di politica per rendersene conto. A ogni passo ci si imbatte in enormi cartelloni elettorali che rivestono pali della luce, spartitraffico, piazzali e attraversano le superstrade che dalle periferie portano verso il centro. Fotografie di candidati sorridenti e nomi di partiti si ammucchiano uno sull’altro senza un ordine preciso, alle fermate dei bus, di fronte ai mercati e in tutti gli angoli, anche dei quartieri più marginali della città, dove le facce in carne e Il paese è andato al voto senza troppe speranze di cambiamento. Le possibili candidature innovative sono state bloccate da cavilli. La stampa è sempre più imbavagliata e il sistema di lotta alla corruzione è stato smantellato. I guatemaltechi sono in fuga da miseria e violenza verso gli Stati Uniti. Eppure, dal primo turno elettorale, è arrivata una sorpresa. ossa delle persone raffigurate in quei cartelloni probabilmente non sono mai state. O meglio, si fanno vedere proprio adesso, all’ultima ora, per fare proseliti, cercare voti e convincere a votare anche chi dalla politica si è sempre sentito escluso. Il 25 giugno 2023 i cittadini del paese più a nord del Centroamerica sono stati chiamati alle urne | MC | AGOSTO-SETTEMBRE 2023 10 testo e foto di SIMONA CARNINO GUATEMALA I GUATEMALTECHI AL VOTO, MA SENZA CONVINZIONE Democrazia in affanno

per eleggere il nuovo presidente. La campagna elettorale, iniziata a marzo, non ha lasciato spazio a grandi novità, anzi è stata il riflesso di un sistema antico e consolidato dove a fare da padrona, in un Paese che al 60% è indigeno, è una ridotta oligarchia bianca di destra, incarnata in grandi proprietari di impresa e veterani di guerra, ancora oggi discendenti direttamente dai coloni spagnoli. Gli esclusi Le novità, in teoria, ci sarebbero anche potute essere, ma sono state messe fuorigioco fin dall’inizio. All’appello dei 23 candidati in lizza per le elezioni è mancato la coppia presidenziale formata dal sodalizio tra la leader del Comité de desarrollo campesino (Codeca), di origine maya mam, Thelma Cabrera, e l’ex procuratore per i diritti umani, famoso per la sua lotta contro la corruzione, Jordán Rodas, entrambi candidati per il partito di sinistra Movimiento de liberación de los pueblos (Mlp). Il Tribunale supremo elettorale ha bocciato la candidatura di Rodas e, di conseguenza, anche quella di Cabrera, a causa di un’indagine aperta contro di lui per presunte irregolarità avvenute durante il suo incarico come procuratore, che però non gli era mai stata notificata. Una secchiata d’acqua fredda per i due candidati che ha rappresentato uno stop per Thelma Cabrera che, con il 10,9% dei voti, si era piazzata al quarto posto già nelle precedenti elezioni e, di fatto, avrebbe avuto la possibilità di raggiungere buoni risultati anche in questa tornata. All’esclusione dei due candidati del Mlp, si è affiancato anche quella del candidato di destra Roberto Arzú, figlio dell’ex presidente Alvaro Arzú e, all’ultima ora, del favorito da tutti i sondaggi, il leader de partito Prosperidad ciudadana, Carlos Pineda, per supposte irregolarità avvenute durante l’assemblea del partito. L’elemento che più colpisce in questa vicenda è il ruolo di «tagliatore di teste» giocato dal Tribunale elettorale supremo che (anche alla conclusione del primo turno, ndr), invece di garantire l’iscrizione dei candidati presidenziali in un contesto democratico, ha abusato del proprio potere per escludere le candidature che sarebbero potute essere d’ostacolo al potere attuale, rappresentato da Alejandro Giammattei, presidente uscente (che non si è potuto ricandidare perché il mandato è unico), conservatore di destra, che da sempre rappresenta gli interessi dell’oligarchia. Human rights watch e numerose organizzazioni internazionali, già a gennaio, avevano espresso inquietudine di fronte alle frodi elettorali, dichiarando che «queste elezioni si sarebbero svolte in un contesto di deterioramento dello stato di diritto, in cui le istituzioni incaricate di monitorare le elezioni hanno poca indipendenza e credibilità. La decisione del Tribunale elettorale supremo del Guatemala di impedire ad alcuni candidati di partecipare alle elezioni presidenziali del 2023 si basa su motivazioni dubbie, mette a rischio i diritti politici e mina la credibilità del processo elettorale». Chi comanda il paese Frode, corruzione e fragile democrazia sono parole chiave per comprendere le elezioni in Gua- “ Le elezioni si sono svolte in un contesto di deterioramento dello stato di diritto. AGOSTO-SETTEMBRE 2023 | MC | 11 A sinistra: un senza fissa dimora e i cartelloni per le elezioni, a Città del Guatemala, maggio 2023. | Qui: venditore di latte di capra nella zona 1 (centro) di Città del Guatemala. Sullo sfondo, l'insegna di un fast food internazionale. Centroamerica | elezioni | migrazione | diritti umani | corruzione

temala dove l’astensionismo rimane sempre il protagonista, attestandosi intorno al 40% (come nel 2019), un dato che riflette lo scoraggiamento e la sensazione che nulla possa cambiare di fronte agli interessi di una élite economica e militare che favorisce senza mezze misure i suoi candidati di punta. Tra questi ultimi c’è Zury Ríos Sosa, figlia minore dell’ex dittatore del Guatemala Efraín Ríos Montt, condannato nel 2013 a 50 anni di carcere per il crimine di genocidio durante il conflitto armato interno durato 30 anni e conclusosi nel 1996. Sebbene la sentenza sia stata annullata per cavilli burocratici, la Costituzione del Guatemala proibisce ai consanguinei dei dittatori, fino al quarto grado di parentela, di potersi presentare come presidente o vice. Tuttavia, la candidatura della figlia di Ríos Montt è stata accettata, permettendole di presentarsi alle elezioni percorrendo una strada spianata grazie all’esclusione di tre candidati che avrebbero potuto darle filo da torcere. In pole position dei sondaggi, oltre a Zury Ríos Sosa, c’erano Edmond Mulet, 72 anni, del partito Cabal (Esatto, in italiano), e Sandra Torres, 67 anni, moglie dell’ex presidente Álvaro Colom, e candidata di Unidad nacional de la esperanza (Une). Entrambi hanno un profilo che, seppure differente, è offuscato da presunti scandali e macchie difficili da cancellare. La prima dama di Une, sconfitta proprio da Giammattei nelle elezioni precedenti, è stata arrestata nel 2019, poi prosciolta, per il reato di associazione illecita e finanziamento elettorale non registrato del suo stesso partito. Traffico di adozioni Edmond Mulet, nonostante abbia sempre respinto le accuse e sia stato assolto in un processo, è legato alle adozioni illegali di minori guatemaltechi avvenute nella decade inclusa tra gli anni Ottanta e Novanta, durante il conflitto armato interno. A partire dal 1977 il Guatemala aprì le porte alle adozioni internazionali e, l’allora avvocato trentenne Mulet, partecipò come legale a una organizzazione che facilitava le pratiche di adozioni per motivi che, lui stesso, ha sempre dichiarato essere umanitari. Proprio in quegli anni le richieste di bambini in adozione da parte di Europa, Stati Uniti e Canada aumentarono a dismisura e si creò una redditizia rete di traffico. Migliaia di bambini, dati in adozione e dichiarati in stato di abbandono, in realtà venivano prelevati dalle comunità distrutte dal conflitto armato, rapiti nelle strade e nei parchi, o direttamente dagli ospedali, in assenza del consenso dei genitori o dietro un misero pagamento che a volte le famiglie più povere si vedevano costrette ad accettare. Molti avvocati coinvolti nelle reti di traffico si occupavano di falsificare documenti, velocizzando le procedure di adozione. Come riportato dalla Corte interamericana dei diritti umani, in quegli anni il Guatemala si è distinto per essere il terzo paese al mondo per numero di adozioni internazionali, dopo Russia e Cina, realizzate in maniera irregolare «senza un ufficio notarile e senza alcun coinvolgimento degli organi statali». Nel 1981, Mulet è stato arrestato con l’accusa di essere coinvolto nelle reti di traffico e successivamente scagionato dall’organismo giudiziale di competenza «per mancanza di sufficienti motivi per portare il processo alla fase pubblica». A giugno, il collettivo Aquí Estamos formato da alcuni dei bambini, oggi adulti, adottati tra Canada e Stati Uniti, e tornati in Guatemala per cercare le proprie famiglie biologiche, hanno organizzato una conferenza stampa per denunciare la candidatura a presidente di persone coinvolte con il traffico di bambini, tra cui Mulet, ma anche Zury Ríos Sosa, in quanto figlia del dittatore che, con la violenza scatenata negli anni della guerra, ha distrutto o ridotto in povertà molte famiglie. 12 GUATEMALA | MC | AGOSTO-SETTEMBRE 2023

Oggi, invece, Mulet è un diplomatico apprezzato all’estero per la sua carriera internazionale come ex ambasciatore del Guatemala negli Stati Uniti e presso l’Unione europea, ex direttore della Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti (Minustah) e sottosegretario generale dell’Onu per le operazioni di pace nel 2007. Il candidato di Cabal, inoltre, è un intellettuale vicino al mondo giornalistico che ha dichiarato, diversamente da altri candidati, l’importanza della libertà di espressione severamente a rischio nel Paese e ha dimostrato vicinanza al pool anticorruzione attivo in Guatemala fino al 2018. Farsa elettorale Di fronte a questo panorama politico, il Paese, in buona parte, ha la sensazione che le elezioni siano una farsa, una porta falsamente democratica da cui entrerà in scena un governo autoritario che non farà altro che rappresentare gli interessi delle lobby economiche e militari da sempre al governo. Si ripeterà una gestione arbitraria delle istituzioni, che adatterà la legge alle proprie necessità e colpirà duramente tutti gli oppositori, così come fino a oggi è stato fatto dal presidente Alejandro Giammattei. Due esempi su tutti sono la persecuzione degli operatori di giustizia che, negli scorsi anni, si sono dedicati a sradicare la corruzione nel Paese e, di riflesso, il bavaglio stretto intorno ai giornalisti che si sono distinti per inchieste scomode sul governo. Il caso Zamora Caso paradigmatico è quello del processo contro José Rubén Zamora Marroquín, detto Chepe, 66 anni, giornalista riconosciuto a livello nazionale e internazionale per centinaia di inchieste contro la corruzione nel Paese, direttore del secondo quotidiano più diffuso del Guatemala, «El Periódico». Il giornalista, da quasi un anno, è in carcere accusato per riciclaggio di denaro, ricatto e traffico di influenze, nonostante non ci siano prove determinanti della sua colpevolezza. A metà giugno è stato condannato a sei anni. Il suo giornale ha chiuso i battenti il 15 maggio scorso a causa del collasso finanziario dovuto al sequestro dei conti correnti stabilito dal pubblico ministero dopo l’incarcerazione di Zamora il 29 luglio 2022. Erano passati cinque giorni dall’uscita di un reportage incentrato sulla corruzione del presidente del Guatemala, che è stato al centro di centinaia di altre inchieste de El Periódico, tra le quali quella che rivelava lo scandalo dell’acquisto di vaccini a prezzi gonfiati di cui avrebbero beneficiato persone vicine all’esecutivo. Zamora ha affermato più volte di sentirsi un prigioniero politico, in uno stato in cui il potere giudiziario, legislativo e governativo sono cooptati dalle oligarchie economiche in sodalizio con politici, giuristi corrotti e bande criminali che, di fatto, stanno riportando il Paese a una condizione simile a quella antecedente il 1996, quando ci fu il ritorno della democrazia. L’attacco a Zamora e, di conseguenza, la chiusura del suo quotidiano, è un avvertimento a tutta la stampa nazionale. Annichilire il famoso giornalista significa mandare a tutti i suoi colleghi il messaggio che a esprimersi liberamente si rischia il carcere. Contro i giudici Questa minaccia si trasforma in una vera e propria vendetta nel caso della persecuzione del pool di giudici, molti dei quali operativi nella Fiscalía especial contra la impunidad (Feci), che lavorava AGOSTO-SETTEMBRE 2023 | MC | 13 Qui: il giornalista José Rubén Zamora Marroquín, direttore di «El Periodico», scortato da alcuni agenti al processo (31/05/23). | A sinistra: alcuni membri del collettivo Aquí estamos, figli adottivi negli anni ‘80, rivendicano le loro origini (05/06/23). “ Il Paese ha la sensazione che le elezioni siano una farsa.

“ Il 59% della popolazione vive in condizioni di povertà (Banca mondiale). a fianco della Comisión internacional contra la impunidad en Guatemala (Cicig), organismo dell’Onu istituito nel paese nel 2006 per indagare sui gravi casi di corruzione. La Cicig è stata smantellata nel 2018 dall’allora presidente Jimmy Morales, che ha pure dichiarato Iván Velásquez, direttore della commissione, «persona non gradita» e lo ha cacciato dal Paese. Famosa è l’immagine in cui l’esercito scorta il funzionario in aeroporto. Da quel momento, uno dopo l’altro, tutti gli operatori di giustizia scomodi al governo e allo status quo sono stati perseguitati in differenti forme, a partire dal rinomato magistrato anticorruzione Juan Francisco Sandoval, direttore della Feci, che è stato sollevato dall’incarico e sostituito da Rafael Curruchiche, segnalato dal Dipartimento di stato degli Stati Uniti come persona «impegnata in azioni che minano processi o istituzioni democratiche, in atti di significativa corruzione o di ostruzione delle indagini su di essi». Sandoval è stato costretto a fuggire all’estero, così come altri ventiquattro operatori di giustizia all’epoca attivi nelle indagini anticorruzione, per sfuggire alla caccia alle streghe lanciata dal nuovo gruppo di giudici della Feci scelto dai settori politici più conservatori del Guatemala. Che fa il popolo A fare da pubblico alla lenta morte dello stato di diritto in Guatemala ci sono circa 17 milioni di cittadini, per lo più esclusi dalle logiche di potere e da qualsiasi scelta politica. Secondo la Banca mondiale, il 59% della popolazione vive in condizione di povertà e i numeri, come è successo in tutto il mondo, sono aumentati con la pandemia. Oggi meno di un chilo di pomodori al mercato costa 1,2 euro e in qualsiasi supermercato non si trova un prodotto di base, neppure mezzo chilo di fagioli, a meno di un euro. Molte persone decidono di migrare verso gli Stati Uniti in condizioni precarie, in viaggi nei quali mettono a rischio la propria vita, ma che diventano quasi un obbligo quando si vive in condizione di precarietà economica. Oggi nel paese nordamericano è presente una comunità guatemalteca, regolarmente residente, di circa un milione e mezzo di persone a cui si aggiunge un numero, difficile da quantificare, di lavoratori che vivono nel paese senza documenti. | MC | AGOSTO-SETTEMBRE 2023 14 Nonostante le rimesse siano la prima voce del prodotto interno lordo guatemalteco, solo tre candidati alla presidenza, tra cui Mulet, hanno fatto campagna elettorale per intercettare gli elettori all’estero, che, come riporta il giornale Los Angeles Times, hanno fatto arrivare dalla California un chiaro messaggio alla dirigenza del paese: «ristabilite lo stato di diritto». Nonostante petizioni per il ritorno a una democrazia reale, e non solo di facciata, arrivino da più voci nazionali e internazionali, bisognerà aspettare il 20 agosto per sapere chi sarà il o la presidente del Guatemala, e capire se davvero esiste la volontà da parte di chi verrà eletto di sfidare lo status quo e dare una svolta a un sistema in cancrena che lascia poca immaginazione per il futuro. Simona Carnino GUATEMALA Qui: chiesa di Nebaj, Santa Cruz del Quiché, commemorazione delle vittime del genocidio. Il Guatemala in cifre Superficie: 108.889 km2 (un terzo dell’Italia) Popolazione: 17,6 milioni (2021) Indice di sviluppo umano (posto nella classifica): 135/191 (2021) Pil procapite annuo [PPP$]: 5.025 (2021). PPP$: dollari in parità di potere d’acquisto, tiene conto dei livelli dei prezzi nel paese. Al primo turno del 25 giugno è arrivata in testa Sandra Torres, con circa il 15,8%, mentre la sorpresa è stato il secondo posto di Bernardo Arévalo, del movimento Semilla (semente) di centro sinistra. Dato all’ottavo posto dei sondaggi, ha invece sfiorato il 12%. Il 20 agosto si terrà il ballottaggio tra i due. A meno di eventuali, nuovi interventi del Tribunale elettorale, il solo vero protagonista delle elezioni guatemalteche.

«Guarda, è quello che rimane della Città proibita purpurea». Thang punta il dito e nella sua voce fin lì squillante e divertita subentra una punta di tristezza. Aveva 8 anni quando, nel 1968, l’antica capitale di Hue divenne il teatro di una delle più lunghe e sanguinose battaglie della guerra del Vietnam. Compresa la cittadella imperiale, simbolo della dinastia Nguyen, che era riuscita a unire da nord a sud il territorio vietnamita dopo tanti infruttuosi tentativi. Hue si trova nel Vietnam centrale, a pochi chilometri dall’antica zona demilitarizzata tra l’allora Vietnam del Nord e Vietnam del Sud. La cittadella era stata danneggiata una prima volta nel 1947, Le tensioni tra Washington e Pechino spingono i paesi asiatici a schierarsi. In Vietnam i segni della guerra con gli Usa, conclusa nel 1975, sono talvolta ancora visibili, ma i rapporti con la Cina non sono mai stati distesi. E anche il principale fornitore di armi, la Russia, sta dando forfait. Così Hanoi guarda sempre più oltre il Pacifico. quando i francesi avevano preso d’assedio la città occupata dai Viet Minh (Lega per l'indipendenza del Vietnam, ndr): molte delle strutture principali erano state colpite. Ancora peggiori di LORENZO LAMPERTI VIETNAM REPORTAGE DAL «NUOVO» VIETNAM Nemici ieri, partner oggi Qui: vita notturna a Da Nang, tipica serata vietnamita con locali e socialità. 15 © Lorenzo Lamperti

furono le conseguenze di quanto accadde tra il 31 gennaio e il 2 marzo del 1968, settimane in cui l’antica capitale e la sua cittadella contenente edifici e opere di valore inestimabile divennero l’epicentro del conflitto. L’Esercito popolare del Vietnam e i soldati Viet Cong (termine dispregiativo con cui erano chiamati i guerriglieri del Fronte di liberazione nazionale, ndr) arrivarono a conquistare la maggior parte della città. L’ordine era quello di distruggere l’apparato amministrativo del Vietnam del Sud e punire spie e reazionari. Quelli identificati vennero portati fuori dalla città per essere «rieducati». Pochi avrebbero fatto ritorno. Quelli ritenuti colpevoli dei «crimini» più gravi furono processati e giustiziati. Gli Stati Uniti prepararono il contrattacco, ma alle truppe venne ordinato di non bombardare la città per paura di distruggere i numerosi edifici storici, nonché per rispetto nei confronti dello status religioso di Hue, dove ancora oggi sorgono, lungo il fiume dei Profumi, le celeberrime e lussuose tombe degli imperatori. Dopo settimane di combattimenti casa per casa, proprio la cittadella divenne il fronte di combattimento. I Viet Cong occuparono diversi edifici e installarono dei cannoni anti aerei sulle torri esterne. I sudvietnamiti riuscirono comunque a entrare nel sito, sostenuti dai bombardamenti americani, ai quali era stato infine dato il via libera. Alcuni di questi colpirono direttamente edifici in cui erano piazzati cecchini rivali. I combattimenti avvennero tra giardini, fossati e padiglioni. Si arrivò a sparare anche alle porte del palazzo imperiale, dove si erano rifugiati i Viet Cong. Molte delle mura e delle porte vennero ridotte a poco più che macerie. Dei 160 edifici originari, solo 10 siti principali sono rimasti in piedi dopo la battaglia. Circa 100mila persone furono sfollate dalla città, dove lungo le strade rimasero insepolti centinaia di cadaveri. Le vittime furono numerose: morirono 216 militari statunitensi e 421 soldati sudvietnamiti, e poco meno di cinquemila militari da entrambe le parti restarono feriti. La battaglia causò la morte di circa quattromila civili. Tra questi, anche alcuni familiari di Thang, che oggi accompagna i turisti in ciclorisciò tra le mura della cittadella. «Ho perso i miei zii e uno dei miei cugini. Era tremendo, eravamo tutti senza acqua e non sapevamo dove andare o dove trovare rifugio. Avevamo paura sia dei nordvietnamiti che cercavano le presunte spie, sia 16 VIETNAM © Lorenzo Lamperti © Ninh Dinh

“ Con la Cina ci sono dispute territoriali aperte. sviluppo | relazioni internazionali | economia delle bombe degli americani», racconta. «Mi fa impressione leggere che la battaglia è durata circa un mese. Quando ero piccolo ero convinto che fosse durata molto di più, quasi come un’intera epoca della mia vita». I segni della guerra Osservando le grandi porte d’ingresso, il sontuoso palazzo Dien Tho e il laghetto pieno di carpe del padiglione Truong Du è difficile credere che questa enorme cittadella sia, suo malgrado, anche uno dei simboli della violenza del conflitto. Eppure, guardando bene, i segni di quella battaglia sono ancora presenti. Ci sono quelli visibili a occhio nudo, nonostante i decenni di ricostruzione che hanno reso la città una popolare attrazione turistica. Diversi fori di proiettile sono ancora lì in alcune parti delle mura della città, mentre al museo storico e rivoluzionario sono esposti diversi cimeli militari, tra cui un carro armato M48 Patton e un aereo da attacco leggero A-37 Dragonfly della Marina statunitense. E poi ci sono i segni non visibili agli occhi, ma percepibili attraverso ragione e sentimenti. «Meglio di tanti altri, qui conosciamo che cosa significa subire le devastazioni della guerra», sospira Ngoc, celando per un momento il sorriso mai interrotto durante tutta la cena presso il suo ristorante di cucina locale. «Per questo ora siamo preoccupati da quanto sta succedendo in Ucraina, ma anche e soprattutto dalla tensione tra Stati Uniti e Cina». Suo malgrado, Hue è stata uno dei principali campi di battaglia (indiretti) tra le due superpotenze e l’Unione Sovietica durante la guerra fredda. Ora il timore è che l’assenza di dialogo tra Washington e Pechino porti a una nuova epoca di divisioni in blocchi, costringendo i vari paesi asiatici a scegliere da che parte stare. Una scelta che Hue, il Vietnam e in generale tutto il Sud Est asiatico non vorrebbero compiere. Proprio il caso del Vietnam è forse il più emblematico dell’intera regione. Il paese ha conosciuto la colonizzazione occidentale e combattuto l’America, ma ha anche vissuto sotto la dominazione cinese per oltre mille anni, tra il terzo secolo avanti Cristo e il decimo secolo dopo Cristo, per restare poi a lungo uno stato tributario dell’impero cinese e subire diverse altre invasioni di cinesi e mongoli. Ancora oggi, le iscrizioni dei palazzi della cittadella imperiale di Hue sono in caratteri cinesi. I vicini scomodi Nonostante la vicinanza politico ideologica, i rapporti tra Repubblica popolare cinese e Repubblica socialista del Vietnam non sono mai stati del tutto distesi. Nel 1979 ci fu anche una guerra durata un mese, risultato della tensione per il sostegno di Hanoi all’Unione Sovietica (in un momento di grande contrasto con Pechino che si stava aprendo agli Usa) e dell’invasione vietnamita della Cambogia, causa della deposizione dei Khmer Rossi, tradizionali alleati della Cina. Oggi i rapporti politici tra i due partiti comunisti sono cordiali. E i rapporti commerciali tra i due paesi sono floridi. Ma questa cordialità si tesse su uno sfondo sempre più evidente di tensioni per alcune dispute territoriali sul Mar Cinese meridionale, intorno ai due arcipelaghi Spratly e Paracelso. A quest’ultimo è dedicato un muAGOSTO-SETTEMBRE 2023 | MC | 17 Qui a destra: la via centrale della città vecchia di Hoi An, patrimonio Unesco. | In basso: coltivatore di riso nell’operazione di trapianto delle piantine. | A sinistra: porta Hien Nhon del palazzo imperiale di Hue. © Lorenzo Lamperti

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