Missioni Consolata - Luglio 2023

| MC | LUGLIO 2023 o 48 ossier alla stazione Termini a Roma, con continui sfratti dai centri di accoglienza e un asilo umanitario traballante? E dove sei tu, Abu, che fino a poco prima del crollo di Tripoli facevi il custode e giardiniere in una villa nel quartiere Tajoura? Fuori dal tuo bugigattolo pulito offristi cerimonioso alla pacifista, inutilmente presente da quelle parti, una cena a base di miglio e di un’erba del Niger che compravi al mercato. Ammiravi Thomas Sankara (un mot de passe per tanti saheliani) e anche altri eroi africani. Era stato surreale rievocarli in quel tardo pomeriggio, sotto le bombe. Mortali effetti collaterali nel Sahel I lavoratori tornati nei loro paesi dell’Africa subsahariana sono ben presto andati incontro a un’altra guerra, quella dei jihadisti, con il suo strascico di massacri e spostamenti di popolazioni. Questo effetto collaterale, per l’intero Sahel e non solo, della crescita dei gruppi estremisti in Libia a partire dal 2011, veniva sottolineato già nel 2013 da un negletto studio per l’Europarlamento. In esso si faceva notare come molte delle armi fornite dalle petromonarchie ai ribelli in Libia fossero finite nelle mani di gruppi terroristici sotto il deserto. Stragi di civili e di soldati, spostamenti di centinaia di migliaia di persone. Così è andato avanti, dunque, dagli inizi del 2012 il terrorismo nella fascia del Sahel, a iniziare dal Mali, poi Niger e dal 2016 in Burkina Faso. Tawergha, deportazione del XXI secolo Per fuggire dalla guerra e dall’avanzata delle milizie, anche tanti libici nel 2011 si sono riversati in Egitto o in Tunisia, o in altre aree del paese bombardato. Ma i circa 40mila residenti della città di Tawergha, cittadini libici di pelle nera discendenti degli schiavi africani, non sono partiti volontariamente: sono stati cacciati dalle milizie armate della vicina città di Misurata (cfr. MC giugno 2021). Tawergha è stata distrutta e saccheggiata, svuotata dei suoi abitanti accusati di essere sostenitori di Gheddafi. Il razzismo ha avuto un grande peso. Migliaia di famiglie di Tawergha sono state costrette per anni a vivere in accampamenti, ricoveri di fortuna, centri pubblici, o in aree del paese non controllate dalle milizie più estremiste. Nel 2018 gli accordi di riconciliazione conclusi sotto l’egida Onu avrebbero dovuto spianare la strada al ritorno dei tawerghesi, ma la distruzione massiccia e deliberata della città e delle sue infrastrutture e un senso di insicurezza pervasivo hanno a lungo impedito il loro ritorno in massa. Solo negli ultimi tempi il 45% della popolazione è potuta tornare anche grazie ai servizi di base ripristinati. Migrazioni o addirittura espulsioni di massa hanno modellato anche le altre guerre calde post guerra fredda, a partire dalla «Tempesta nel Golfo» nel 1991. Intanto, l’Arabia Saudita espulse circa 800mila yemeniti, punizione collettiva perché il loro governo - membro di turno del Consiglio di sicurezza Onu - non aveva votato a favore dell’ultimatum (risoluzione 678), tappa necessaria per © Marinella Correggia

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