Missioni Consolata - Luglio 2023

In alto: a Nuova Delhi, membri della comunità cristiana protestano pacificamente per le violenze contro i cristiani occorse in vari stati dell’India (19 febbraio 2023). | A sinistra: un ritratto del bramino Vinayak Damodar Savarkar (1883-1966), fondatore del movimento nazionalista dell’«hindutva». zioni del libro induista interpretano la parola kālaḥ ( ) come «tempo», mentre Arthur W. Ryder, nella sua edizione del 1929, probabilmente quella da cui Oppenheimer aveva studiato e, successivamente, ne aveva tratto la citazione, la rende come «Morte». Oppenheimer potrebbe essersi identificato con Arjuna, con tutti i suoi dubbi e le incertezze sulla moralità di partecipare o meno ad una battaglia che lo avrebbe costretto a uccidere non solo i suoi stessi amici, ma anche i familiari. In quanto soldato, Arjuna aveva un compito ben preciso da compiere, esattamente come il fisico Oppenheimer. Avrebbe potuto trovare le stesse giustificazioni in altri pensatori occidentali (pensiamo, ad esempio, a Dietrich Bonhoeffer secondo il quale, a volte, per combattere il male maggiore era necessario compiere un male minore), ma per il fisico statunitense era più facile trovare una redenzione in un testo orientale (pur sapendo che l’Oriente indiano non era certo simile a quello giapponese) piuttosto che in un testo della sua cultura di provenienza. LUGLIO 2023 | MC | 21 “ Per i nazionalisti hindù, cristianesimo e islam sono fedi estranee all’India. Oggi il movimento induista si è incarnato in un movimento nazionalista, l’hindutva («induità»), nato negli anni Venti del XX secolo, che predica la superiorità etnica, morale, religiosa e culturale degli hindù sulle altre comunità presenti in India. Sviluppatosi per opera del bramino Vinayak Damodar Savarkar (1883-1966), l’hindutva ha come suo fondamento la distinzione tra le religioni nate all’interno dell’India (come il giainismo, l'induismo, il buddhismo e il sikhismo) e quelle nate fuori dall’India (islam e cristianesimo, in particolare), definendo queste ultime come estranee al corpus indiano. Fu però solo con il colonialismo britannico che si tracciò un netto spartiacque tra le fedi: nei censimenti voluti dalla Corona inglese nella colonia asiatica, gli indiani dovevano scrivere a quale religione appartenessero. Fino ad allora, la mentalità indiana non trattava giainismo, induismo, buddhismo e sikhismo (le quattro religioni dell’hindutva) come separate tra loro: l’appartenenza a una tradizione non escludeva l’altra. Oggi l’ideologia hindutva è rappresentata da un ombrello di partiti raggruppati nel Sangh Parivar (famiglia del Rss, Rashtriya swayamsevak sangh, l’Organizzazione nazionale di volontariato) di cui fa parte il Bharatiya janata party (Bjp) di Narendra Modi, dal 2014 primo ministro della nazione. Durante il suo mandato sono state emanate diverse leggi atte a opprimere le comunità musulmane e cristiane. Quattro Stati dell’Unione indiana (Karnataka, Haryana, Madhya Pradesh e Uttar Pradesh) hanno vietato le conversioni all’islam attraverso il matrimonio (secondo il diritto islamico una donna musulmana non può sposare un uomo di altra religione se prima questi non si converte), mentre la stampa di destra indiana continua a dare resoconti (molte volte non verificati) di islamici che uccidono vacche (sacre per l’induismo), stuprano donne, violano le leggi induiste. Con il nuovo governo, denominato Modi 2.0, l’hindutva sembra aver preso una piega ancora più radicale, soprattutto con la nomina di Amit Shah a ministro dell’Interno. La proposta di legge sulla cittadinanza avanzata da Shah intende dare la cittadinanza solo a quei profughi provenienti da Nepal, Bangladesh, Pakistan e Afghanistan che non siano musulmani. L’hindutva rivolge le sue attenzioni anche al cristianesimo, che ha una doppia colpa: quella di essere una religione straniera e di avere come fedeli i «fuoricasta». L’80% dei cristiani appartiene, infatti, alla casta dei dalit (un tempo si diceva «intoccabili»), in particolare nell’Orissa. Anche se non raggiungono ancora i livelli di odio e violenza a cui sono sottoposti i musulmani, gli episodi di intolleranza verso i cristiani si stanno moltiplicando: cappelle date alle fiamme, autorità che impongono alle comunità di non mostrare in pubblico i simboli della fede. I dalit che si convertono al cristianesimo o all’islam perdono ogni forma di protezione sia nazionale che locale, trasformandosi in potenziali bersagli dell’intransigenza hindutva. Tutti i rapporti concordano sulla pericolosa deriva di intolleranza intrapresa sia da organizzazioni che si rifanno al Sangh Parivar, sia dalle stesse istituzioni statali che dovrebbero garantire la salvaguardia dei diritti umani di tutti i cittadini indiani senza distinzione di appartenenza etnica, culturale, linguistica e religiosa. Per esempio, è significativo che lo scorso 28 maggio il premier Modi abbia inaugurato la nuova sede del parlamento indiano con una cerimonia religiosa induista. Piergiorgio Pescali

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