14| MC | LUGLIO 2023 © infobae.com La migrazione venezuelana FUGA DA SÚPER BIGOTE Lo scorso maggio a Brownsville, in Texas, un suv ha investito un gruppo di persone in attesa dell'autobus fuori da un rifugio per migranti. Tra gli otto morti e i dodici feriti, la maggioranza era venezuelana. L'emigrazione dal paese latinoamericano è iniziata poco dopo la prima presidenza di Nicolás Maduro, mediocre successore di Hugo Chávez, ma si è intensificata a partire dal 2016, in concomitanza con l’aggravarsi della crisi economica. Sui numeri non c’è certezza, ma la fuga dal paese è certamente imponente. Secondo R4V (Plataforma de coordinación interagencial para refugiados y migrantes, che comprende anche le agenzie dell’Onu), i venezuelani usciti dal paese sarebbero oltre sette milioni, di cui oltre sei sarebbero andati verso paesi latinoamericani, in particolare in Colombia (2,5 milioni) e in Perù (1,5), seguiti a distanza da Ecuador, Cile e Brasile. Come accade sempre e ovunque, questa emigrazione di massa genera molti problemi. I venezuelani arrivano in paesi già di loro problematici con uno stato sociale (sanità, istruzione, ecc.) debole e un mondo del lavoro dominato da impieghi informali. Questa situazione origina reazioni xenofobe da parte della popolazione residente e misure populiste da parte dei governi. In mezzo, ci sono i migranti - oltre la metà sono donne con bambini - che necessitano di tutto: cibo, alloggi, lavoro, assistenza. A fine aprile, per frenare l’immigrazione illegale, il governo peruviano di Dina Boluarte ha decretato lo stato d’emergenza ai confini del paese. I più recenti episodi di intolleranza si sono verificati in Cile (che ospita circa 450mila venezuelani), nella regione desertica di Arica, alla frontiera con il Perù. Qui i due paesi andini si rimpallano la responsabilità di risolvere la questione dei migranti venezuelani bloccati al confine. Nell’ultimo anno, la situazione economica del Venezuela è leggermente migliorata. L’inflazione rimane iperinflazione, ma pare stabilizzata: 471 per cento all’anno, secondo l’Observatorio venezolanos de finanzas. Da tempo, per uscire dall’isolamento internazionale, il paese intrattiene rapporti di collaborazione con le dittature, in particolare con l’Iran, la Russia e la Cina, paesi con cui Caracas condivide l’avversione verso gli Stati Uniti (combattuti anche da Súper Bigote, Super Baffo, il cartone animato venezuelano che esalta un Maduro dotato di superpoteri). In aprile, ha fatto tappa a Caracas il ministro degli esteri russo, Sergei Lavrov, per ribadire la vicinanza di Mosca. Tuttavia, queste alleanze in chiave anti americana sono del tutto insufficienti per uscire dalla crisi. Più utile si sta dimostrando il riavvicinamento alla Colombia. Sempre in aprile, in un incontro a Washington, il presidente colombiano Gustavo Petro ha chiesto a Biden di ripensare le sanzioni contro il Venezuela. Il presidente Usa ha chiesto garanzie per le prossime elezioni del 2024. Elezioni alle quali l’opposizione si dovrebbe presentare con un candidato unitario che sarà eletto nelle primarie previste per il 22 ottobre 2023. Nel frattempo, il governo Maduro ha preso atto delle gravi difficoltà di Pdvsa, la compagnia petrolifera statale, un tempo vanto (e cassaforte) del Venezuela. Anche per questo ha recentemente concluso accordi con alcune compagnie petrolifere occidentali per esportare il proprio gas: con l’italiana Eni, la spagnola Repsol e la statunitense Chevron (tutte già presenti nel paese ma da tempo ferme a causa dell’embargo imposto dagli Usa). Soltanto con un miglioramento delle condizioni materiali della popolazione venezuelana Súper Bigote potrebbe riuscire a porre un freno alla fuga dal paese. Paolo Moiola VENEZUELA
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