Poste Italiane S.p.A. - Spediz. in abb. postale "Regime R.O.C." - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NO/TORINO
Disponibile in libreria o su www.emi.it pp. 128 / € 12 Prendiamoci cura della Casa comune Un confronto serio e rigoroso tra l’enciclica Laudato si’ e l’impatto delle grandi opere sull’ambiente. Un testo per capire, nel concreto, che significa per noi, qui e ora, “ecologia integrale”.
3 di GIGI ANATALONI direttore EDITORIALE ai lettori M C MAGGIO 2023 | MC | Cuore e verità Le cifre parlano: 58 giornalisti uccisi nel 2022, 48 scomparsi, 65 trattenuti in ostaggio, 533 incarcerati, di cui 110 in Cina, 47 in Iran, e 169 giornalisti fermati, arrestati, indagati o sotto processo in Russia dall’inizio della guerra. Quasi quasi fare il giornalista è più pericoloso che fare il missionario. Un «mestiere», quest’ultimo, che ha il suo bel numero di vittime, come ricordato il 24 marzo scorso nella «giornata dei martiri»: 18 nel 2022, 22 l’anno prima, 20 nel 2020, con il record di ben 40 nel 2018, senza contare quelli «scomparsi», come padre Paolo Dall’Oglio in Siria nel luglio 2013. Il 3 maggio ricorre la «giornata mondiale della libertà di stampa» proclamata dall’Onu, e il 21 la «giornata mondiale delle comunicazioni sociali», celebrata dalla Chiesa ne mondo, per la quale papa Francesco ha proposto il tema «Parlare col cuore. Secondo verità nella carità (Ef 4,15)». Comunicare, e soprattutto comunicare la verità come dovrebbero fare sia giornalisti che missionari, è un mestiere rischioso. Sì, perché è vero che la verità rende liberi, ma non piace a chi costruisce il proprio potere e la sua ricchezza sulla menzogna, sul controllo dell’opinione pubblica, la manipolazione, il monopolio, il pensiero unico e l’ostentazione. Comunicare, come insegnare, dovrebbe aprire nuovi orizzonti, far vedere oltre il proprio naso, stimolare la mente a ricercare idee inedite, far incontrare nuove realtà ed esperienze di vita. Aiutare quindi le persone a diventare più libere, creative, responsabili, fraterne, serene, rispettose e solidali. Far capire che la bellezza del mondo non finisce con i muri del proprio giardino, con il proprio pezzetto di cielo, con la propria lingua e cultura. Purtroppo, spesso, la realtà che viviamo è tutto il contrario di questo. Siamo in un tempo in cui la comunicazione non è solo quella fatta dai giornalisti, ma è soprattutto quella subdola, incontrollabile, invasiva di internet, dei social, della pubblicità, dei video virali, dei programmi televisivi e delle molte altre forme di comunicazione da cui siamo colpiti quotidianamente senza accorgercene. Tutte forme di comunicazione che non hanno lo scopo di rendere libere le persone, ma di condizionarle e asservirle. Quando un bambino, lasciato per ore davanti a uno schermo (Tv, smartphone, tablet) cresce senza saper distinguere un cartone animato dalla pubblicità o da un programma serio, come può far maturare in sé una mentalità critica e libera? Dove finisce la libertà e il senso critico di chi viaggia nel web condotto da algoritmi e intelligenza artificiale che, potenzialmente positivi, sono usati invece per condizionare le scelte, annullando la capacità di distinguere tra realtà e finzione, verità e fake news, a servizio dei profitti sempre più alti di pochi e del potere di politici, partiti e governi intenti a mantenere o costuire il consenso a tutti i costi? Per questo c’è da ringraziare per quei giornalisti che ancora oggi sono disposti a pagare di persona per servire e comunicare la verità. Essi sono un segno positivo che alimenta la speranza e che mostra quanto la verità sia più forte della menzogna, in qualsiasi forma essa si presenti. Grazie a persone come il nostro amico Gianni Minà, comunicatore appassionato e gentile, che è stato gradito ospite anche su queste pagine. Oggi abbiamo più che mai bisogno di quello che il Papa, nel suo messaggio, chiama «comunicare la verità nella carità». «In un periodo storico segnato da polarizzazioni e contrapposizioni - da cui purtroppo anche la comunità ecclesiale non è immune - l’impegno per una comunicazione “dal cuore e dalle braccia aperte” non riguarda esclusivamente gli operatori dell’informazione, ma è responsabilità di ciascuno. Tutti siamo chiamati a cercare e a dire la verità e a farlo con carità. Noi cristiani, in particolare, siamo continuamente esortati a custodire la lingua dal male (cfr. Sal 34,14), poiché, come insegna la Scrittura, con la stessa (lingua, ndr) possiamo benedire il Signore e maledire gli uomini fatti a somiglianza di Dio (cfr. Gc 3,9). Dalla nostra bocca non dovrebbero uscire parole cattive, “ma piuttosto parole buone che possano servire per un’opportuna edificazione, giovando a quelli che ascoltano” (Ef 4,29)». È quello che stiamo provando a fare con questa rivista, che non ha altre pretese oltre a quella di aiutare a guardare agli altri, vicini e lontani, per conoscerli nella verità, vincendo pregiudizi e stereotipi, senza piegarsi alle mode del momento, smascherando manipolazioni, paternalismi o paure alimentate ad arte. Siamo una piccola voce, una goccia nel mondo della comunicazione. Ma abbiamo una forza che ci brucia dentro: l’amore per l’uomo, ogni uomo, con una preferenza: quella per il più debole, indifeso, emarginato e sfruttato, visto con gli occhi di Cristo.
Il numero è stato chiuso in redazione il 14 aprile 2023 e consegnato alle poste di Torino entro il 30 aprile 2023. * * * * 08 CHIESA NEL MONDO a cura di Sergio Frassetto 29 E LA CHIAMANO ECONOMIA Popolazione e ambiente /2 di Francesco Gesualdi 32 CAMMINATORI DI SPERANZA /4 Mosè, in faccia a Dio di Angelo Fracchia 67 COOPERANDO Freddy, un ciclone lungo un mese di Chiara Giovetti 81 LIBRARSI Le frontiere del mondo di Elena Camino In copertina: gruppo di giovani durante il pellegrinaggio da Rumbek a Juba in Sud Sudan, gennaio 2023. (foto di Monica Moser). https://www.rivistamissioniconsolata.it Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. - I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003). 5 | Maggio 2023 | anno 125 03 AI LETTORI Cuore e verità di Gigi Anataloni 05 NOI E VOI Lettori e Missionari in dialogo MAROCCO, SUCCESSI E DEBOLEZZE PAROLA DI RE di Piergiorgio Pescali a cura di Paolo Moiola 10 SUD SUDAN È il tempo dei fatti di Marco Bello 16 KENYA La città dei tendoni di Enrico Casale 20 ITALIA Donne che scrivono la storia di Stefania Maiorino 24 COLOMBIA Mai fare tabula rasa di Angelo Casadei 51 GUYANA FRANCESE Idrogeno in Amazzonia di Daniela Del Bene 56 CONGO RD Nord Kivu senza pace di Pascal Martin 61 ANGOLA Gocce di speranza di Martin Mbai Ndumia 71 AMICO Un gemito inesprimibile inserto a cura di Luca Lorusso SOMMARIO * * * * * 24 56 35 ossier | MC | MAGGIO 2023 4
MAGGIO 2023 | MC | 5 a cura del direttore LETTORI E MISSIONARI IN DIALOGO NOI E VOI Papa, possa aprirsi e superare la terribile situazione di milioni di nostri fratelli e sorelle, non solo ucraini, ma anche di tutte le altre situazioni di guerre e persecuzioni nel mondo. Filippo Pongiglione Genova, 24/01/2023 Buonasera Filippo e grazie per la sua email. Credo che non sia possibile proporre dall’esterno specifiche azioni nonviolente durante una guerra in corso, senza esserne parte e conoscerne le condizioni e le sofferenze, tuttavia gli stessi ucraini hanno realizzato importanti forme di resistenza senza l’uso delle armi, seppure non sufficientemente raccontate e mai davvero prese in considerazione, come realistica possibilità, di fronte al diktat politico e comunicativo dominante: o armi oppure inermi. Ne trova una significativa documentazione a cura dell’Istituto catalano per la pace (Icip) e dell’Istituto internazionale di azione nonviolenta (Novact) nel dossier «La resistenza civile nonviolenta in Ucraina» (in www.atlanteguerre.it). Purtroppo - come avvenuto peraltro anche nel caso della resistenza nonviolenta del popolo kosovaro rispetto alla Serbia - l’insistere sulla guerra come unico strumento di lotta (soprattutto se con intervento militare esterno) annienta, insieme alle vite, anche le possibilità di successo delle altre forme di resistenza schiacciate tra le opposte violenze. NONVIOLENZA E GUERRA IN UCRAINA Pubblichiamo lo scambio di mail tra un nostro lettore e Pasquale Pugliese, autore dell’articolo «La guerra dei sonnambuli» uscito su MC di gennaio. Ringraziamo i due per averlo condiviso con noi e i nostri lettori. Buonasera Pasquale, nell’articolo «La guerra dei sonnambuli» parla di azioni nonviolente di Gandhi e tanti altri che hanno ottenuto per il loro popolo risultati che sembravano incredibili. Attuare l’azione nonviolenta anche in Ucraina sarebbe straordinario, ma non ho trovato possibili azioni concrete. Voi quali azioni pensate per quello che il Papa definisce «il martoriato popolo ucraino»? Ci vorrebbero modalità diverse: perché ogni situazione è diversa dalle altre e soprattutto perché in Ucraina un esercito bombarda case e civili. Come si può affrontare un’azione militare con la nonviolenza? Ci penso dall’inizio della guerra. E non mi dò pace per non aver cercato gruppi come il vostro già nel 2014. Non l’ho fatto io, ma anche nessun governo in Occidente in quegli 8 anni ha cercato di fare quello che avrebbe potuto ottenere, che allora sarebbe stato incommensurabilmente più di quanto si possa immaginare adesso. La stella polare resta nelle parole del Papa e dei siti da lei indicati: interrompere la guerra per ricostruire un tessuto umano, che nessuna vittoria militare riuscirebbe a garantire. Il problema è immenso: cessare le ostilità senza la resa dell’Ucraina e l’assoggettamento alla Russia di tutta la sua popolazione: la diplomazia non è il mio mestiere, ma non posso credere che non esista una via per un accordo, anche parzialmente doloroso. Sempre sperando che uno spiraglio di pace, «giusta», come dice il L’organizzazione della quale faccio parte, il Movimento nonviolento, fin dallo scorso febbraio 2022, da un lato sostiene il Movimento pacifista ucraino@ nelle sue diverse azioni, anche traducendone e diffondendone i documenti, dall’altro, insieme alla War resister’s international@ sostiene gli obiettori di coscienza alla guerra russi, bielorussi e ucraini, la cui azione coraggiosa, osteggiata dai rispettivi governi, ha sia un valore in sé, che di esempio rispetto alla dimostrazione della non inevitabilità della guerra e della relativa obbedienza@. Per quanto mi riguarda, inoltre, nell’articolo che ha letto, e nei molti altri che può trovare su diverse testate, cerco di resistere con la nonviolenza alla militarizzazione del pensiero anche in casa nostra. Cordiali saluti. Pasquale Pugliese SUDAFRICANO CON I SUDAFRICANI L’annuncio della scomparsa, il 14 marzo 2023, di padre Rocco Marra ha portato una grande nube di tristezza su molti, sia missionari che laici nella delegazione (il gruppo dei 25 missionari della Consolata, ndr) del Sudafrica/eSwatini. Padre Rocco Marra nasce il 19 ottobre 1962 a Tricase, Lecce, da Riccardo e Longo Fulvia (riposi in pace). Ha una sorella, Stefania, e due fratelli, Tommaso e Gianni. Arriva in Sudafrica nel 1993, dopo essere stato ordinato sacerdote nel
1988 e aver fatto alcuni anni di animazione missionaria a Galatina (Le). Concluso lo studio della lingua zulu, nel 1994 inizia il suo servizio adattandosi a vari ruoli in Sudafrica: come aiutante in una missione, come parroco responsabile oppure come animatore missionario; diventa anche consigliere e poi amministratore del gruppo dei missionari. Questo fino al 2016, quando viene inviato a Manzini, in eSwatini dal 2016 al 2019. Là svolge attività pastorale nelle parrocchie dei santi Pietro e Paolo a Kwaluseni, e si interessa attivamente anche dei rifugiati. Nominato superiore delegato della gruppo dei missionari, si trasferisce a Waverly (Pretoria). Nel 2021, a causa di problemi di salute, padre Rocco torna in Italia, nella comunità di Milano dove, mentre si fa curare, aiuta il superiore regionale dei missionari in Europa. Il Signore lo chiama a sé il 14 marzo 2023 per ricompensarlo di tutto il lavoro missionario e sacerdotale che ha svolto con tanta dedizione. Padre Rocco Marra era molto conosciuto in tutto il Sudafrica, soprattutto nelle diocesi di Pretoria e Dundee. Era un animatore molto dedito, che lavorava con e per i giovani. Oltre a questo, la sua passione era nella formazione dei laici cristiani, nella collaborazione tra laici e missionari e, ancora più profondamente, nell’inter collaborazione tra i missionari stessi. Curare la formazione permanente era anche un suo punto di forza. Padre Rocco era un comunicatore appassionato, e da quella passione è nato il blog Sanibonani (ciao, salve, saluti, ndr), che è diventato lo strumento di informazione dei missionari all’interno e all’esterno del Sudafrica ed eSwatini. Padre Rocco ci ha amato. Amava tutti i missionari in egual misura, anche se aveva un carattere a tratti imprevedibile. Tuttavia, era un vero riconciliatore e non ha mai preso le cose sul personale. Per questo lo ricorderemo davvero. Possiamo quindi riassumere padre Rocco Marra con queste caratteristiche: un vero essere umano, un autentico missionario e un sacerdote devoto, un vero figlio del beato Giuseppe Allamano. Phumula ngoxolo, Idwala (Riposa in pace, roccia). adattato da Sanibonani https://consolata.blogspot.com di padre Francis Onyango 20/03/2023 UNA RIVISTA CHE PARLI A TUTTI Caro direttore, ricordo che già da bambino arrivava in famiglia la rivista delle Missioni e parlo degli anni 1940. Ho viaggiato il mondo in lungo e in largo come pochi per lavoro. Ho vissuto a contatto con le popolazioni sudamericane e africane, specie East Africa: Kenya, Rwanda, Burundi, Tanzania e Sudan. Viaggiavo da solo per conoscere e per capire […]. La mia terribile sintesi dopo tanti viaggi è questa frase: «Mi vergogno di avere la pelle bianca». L’ho ripetuta sovente e rappresenta il mio vero sentire perché questa è la realtà. Ho vissuto l’impegno, la passione, la generosità dei Comboniani delle loro missioni distrutte nel Sud Sudan, e nelle missioni in Kenya. Ovunque le missioni cristiane sono un esempio di altruismo: persone che portano civiltà, educazione là dove regna solo miseria. Ho viaggiato negli anni 70 per circa 3.500 km in Africa da solo con zaino, la macchina fotografica e con pochi soldi in tasca. Sono stato rispettato e accolto da una marea di persone semplici e povere, mai avuto problemi o furti. Direttore, le scrivo queste righe per due ragioni. La prima è che niente può a mio avviso sublimare di più una persona che ha scelto la nostra fede se non la vita di missionario, attività che ti dà la soddisfazione ogni giorno di essere utile agli altri, cosa che oggi nel nostro mondo consumistico e avaro nessuno riconosce alla attività dei preti in generale. La seconda ragione si riferisce alla abissale caduta di valori a ogni livello che si è sempre più accelerata da quaranta anni in qua. Penso solo ai miei viaggi in solitario, oggi impensabili, fosse solo per la sicurezza personale. Il morbo del potere a ogni costo ha rinforzato una élite politica mondiale che non sente più il senso della fratellanza, della pianificazione di progetti agrari e sociali per garantire almeno un pasto al giorno normale oltre un minimo di assistenza medica. Mentre l’unico sviluppo sempre più rapido sono guerre e conseguenti distruzioni. Il Medio Oriente, che ben conoscevo, non c’è più: Siria, sud Turchia, Giordania, Iraq al 50% distrutti con i loro patrimoni storici in rovina. Scrivo queste righe a lei perché da sempre, non da oggi, ho apprezzato lo spessore educativo della rivista. […] In conclusione, MC ha uno spessore di contenuto morale educativo molto elevato. Dico questo perché sarebbe utile a mio avviso pensare a una edizione che permetta di avvicinare anche il lettore che non è un fervente o assiduo credente. Voglio | MC | MAGGIO 2023 6 noi e voi
cioè dire che l’impronta attuale non viene accettata dai troppi che sono poco credenti. L’obiettivo sarebbe di valorizzare al massimo il contenuto della rivista facendola arrivare a un pubblico più vasto. Ho qui davanti l’edizione del marzo 2023 ricca di articoli molto incisivi sulle tragedie del mondo di oggi che devono far pensare il maggior numero possibile di persone. Questa email ha lo scopo di valutare se possibile fare una edizione meno religiosa per dare più valore agli articoli che descrivono sempre con verità le tante situazioni. Per esempio, circa un anno fa ci fu un articolo sul Perù che dava una descrizione dell’antagonismo contro l’eletto presidente Castillo che spiegava molto bene la realtà. Sono articoli che scrive solo chi vive e conosce bene l’argomento come è la regola di MC. Spero che la lettura non l’abbia annoiata e possa portare a qualche concreta valutazione. Un cordiale saluto Giorgio Biancardi 15/03/2023 Caro Giorgio, grazie della lunga email (che ho dovuto tagliare in parte). Grazie anche per la sua lunga amicizia con la nostra rivista e i missionari. Grazie anche dell’invito che ci fà a fare una rivista che parli anche al cuore di chi è poco credente. Cerchiamo di realizzare questo facendoci aiutare da testimoni e corrispondenti che vivano in prima persona quello che raccontano. Tentiamo anche di usare un linguaggio il meno clericale possibile. Con convinzione abbiamo fatto nostro il motto: «Tutto quello che è umano mi interessa» (libera traduzione di Homo sum, humani nihil a me alienum puto di Terenzio), perché crediamo che il primo a essere totalmente appassionato dell’uomo sia Dio stesso, che non ha considerato un’umiliazione prendere su di sé la nostra umanità in Gesù. È una sfida quotidiana anche per noi, grazie di esserci vicino in questa avventura. NELL’AGENDA DI GIANNI La sua rubrica esordì su MC nel dicembre del 2015 con un titolo azzeccatissimo: «Persone che conosco». Perché Gianni Minà, scomparso lo scorso 27 marzo, conosceva tutti, ma proprio tutti. Famosa al riguardo è rimasta la battuta di Massimo Troisi: «Invidio quest’uomo per la sua agendina telefonica», disse l’attore napoletano. Giornalista, scrittore e documentarista, Gianni Minà aveva nell’empatia la sua qualità più preziosa. È stata certamente questa sua dote che gli ha permesso di portare davanti a taccuini, microfoni e telecamere un numero impressionante di personaggi dello sport, della cultura, dello spettacolo e della politica. Da Muhammad Ali (Cassius Clay) a Diego Armando Maradona, da Rigoberta Menchú a Fidel Castro. Nel giornalismo - oggi più che mai - l’obiettività è un mito. Gianni Minà è sempre stato considerato un giornalista schierato, militante. Vero, ma lo ha fatto senza sotterfugi: prima la realtà dei fatti e il racconto dei protagonisti, poi le opinioni. «Non ho mai avuto - mi ha raccontato in occasione della presentazione di un suo libro - una tessera politica, né ho mai ambito ad averla. Io sono una persona che è stata educata dai Salesiani. Ho capito da che parte stare quando ho visto la miseria. Per esempio, quella dei bambini di San Paolo che mi ha fatto conoscere Frei Betto». I pezzi di Gianni scritti per Missioni Consolata non sono molti (li trovate tutti sul sito della rivista), ma per noi era già un onore essere riusciti ad annoverarlo tra i nostri collaboratori. Era una stima reciproca: quando lui decise di presentare - in anteprima nazionale - il suo documentario sulla visita di papa Francesco a Cuba, lo fece a Torino, sua città natale, nell’aula magna dei missionari della Consolata (2016, foto qui sotto). L’ultima apparizione su MC è stata indiretta (giugno 2022), per mano di Loredana Macchietti, moglie di Gianni, ma anche sua producer, agente e factotum: era la presentazione di un suo documentario dedicato al marito (e padre di Marianna, Francesca e Paola). Per concludere, mi sia consentito un piccolo ricordo personale. Il mio primo incontro con Minà risale a oltre venti anni fa, quando ricevetti una sua telefonata in risposta a una email. Mi parlò subito come ci conoscessimo da una vita e poco dopo (relativamente poco, visto che le sue telefonate erano sempre lunghissime) mi chiese di scrivergli un articolo sulla situazione in Perù per «Latinoamerica», la prestigiosa rivista che lui e Loredana avevano rilanciato. Non ci pensai su un attimo e quello fu l’inizio della nostra amicizia. Paolo Moiola 7 Le nostre email: redazione@rivistamissioniconsolata.it / mcredazioneweb@gmail.com © AfMC / Luca Lorusso
ASIA VIAGGIARE COME POPOLO S’intitola «Viaggiare insieme come popolo dell’Asia» il documento finale della Conferenza generale della federazione delle conferenze episcopali asiatiche (Fabc) tenutasi a Bangkok dal 12 al 30 ottobre 2022 e pubblicato il 15 marzo. Consta di 40 pagine e comprende cinque parti, secondo cinque passi: camminare insieme condividendo i tre elementi essenziali di una Chiesa sinodale, cioè comunione, partecipazione e missione; guardare alle realtà emergenti dell’Asia; discernere ciò che lo Spirito sta dicendo alla Chiesa nel continente; offrire i nostri doni, che sono la cultura e la spiritualità asiatiche; aprire nuove strade. La seconda parte del testo offre una panoramica sulle realtà emergenti dell’Asia, mettendole poi in relazione alla missione della Chiesa. Quelle individuate sono: i migranti, rifugiati e indigeni; la famiglia; le questioni di genere; il ruolo delle donne nelle società asiatiche; i giovani; l’impatto della tecnologia digitale; la promozione di un’economia equa di fronte all’urbanizzazione e alla globalizzazione; la crisi climatica; il dialogo interreligioso. Donando la luce del Vangelo su queste macro aree, al fine di essere sempre costruttori di ponti, strumenti di dialogo e di riconciliazione in Asia, le Chiese del continente propongono nuove strade verso una evangelizzazione maggiormente inculturata, passando dal dialogo alla sinodalità, che abbracci popoli e culture non cristiane. L’ispirazione viene dal percorso dei Re Magi che hanno saputo scrutare i segni dei tempi, e dall’opera di Matteo Ricci che «ha voluto incarnare la fede in un contesto e in una cultura specificamente asiatica». (Fides) AMERICA LATINA CORPO A CORPO I responsabili di 40 gruppi e realtà ecclesiali operanti in 13 paesi dell’America Latina, coinvolti nell’opera di accompagnamento e recupero di persone tossicodipendenti, hanno deciso di unire le forze e fare rete, dando vita alla Pastorale latinoamericana di accompagnamento e prevenzione delle dipendenze. L’atto fondativo è avvenuto durante una tre giorni online (15-17 febbraio), scandita da momenti di preghiera, letture del Vangelo, ascolto di interventi qualificati e condivisione di esperienze atte a definire forme di collaborazione concreta e strutturata tra le diverse opere. I partecipanti all’incontro hanno anche condensato in un documento lo spirito che anima la nuova rete, le prospettive e i criteri che orienteranno il lavoro comune. In esso, tra le altre cose, si sottolinea che l’opera pastorale che si vuole condividere coinvolge la famiglia e la comunità, e riconosce un ruolo cruciale agli «accompagnatori» che hanno vissuto sulla propria pelle l’esperienza tragica delle tossicodipendenze e ne sono usciti, con l’aiuto di Dio e dei fratelli e sorelle, e proprio per questo ora possono accompagnare «fianco a fianco, corpo a corpo» coloro che iniziano il cammino per uscire dalla schiavitù delle droghe. (Fides) CAMBOGIA CATECUMENI Sono 95 i catecumeni che la notte di Pasqua hanno ricevuto il battesimo nella cattedrale di Phnom Penh. La loro presenza - ha affermato il Vicario apostolico, mons. Olivier Schmitthaeusler - non rappresenta tanto «l’esito dell’opera umana dei sessanta sacerdoti presenti in Cambogia, o delle centinaia di religiosi e religiose che vivono qui, ma è soprattutto un’opera di Dio che dona la fede e cambia i cuori». Molti dei candidati vengono da famiglie buddiste e hanno ricevuto l’annunzio del Vangelo nell’età giovanile o adulta. Diversi di loro hanno conosciuto e si sono interessati alla fede cattolica grazie all’impegno in opere educative, sociali e caritative gestite dalla Chiesa. Secondo le indicazioni del catecumenato per adulti seguito dalla Chiesa locale, i candidati che desiderano abbracciare la fede cattolica devono seguire un cammino di formazione e catechesi per circa due anni, inserendosi in una comunità parrocchiale e partecipando alla sua vita, per conoscere i fondamenti della fede cattolica, la Bibbia, i rituali. Il cammino li porta ad approfondire la dimensione spirituale e li coinvolge nelle attività caritative, crescendo nell’amore verso Dio e verso il prossimo. (Fides) a cura di SERGIO FRASSETTO LA CHIESA NEL MONDO | MC | MAGGIO 2023 8 Thailandia: i delegati delle Conferenze episcopali dell’Asia riuniti a Bangkok.
KENYA DIOCESI DI ISIOLO Il 15 febbraio 2023, papa Francesco ha elevato a diocesi il Vicariato apostolico di Isiolo, con la medesima denominazione e configurazione territoriale, rendendola suffraganea della sede metropolitana di Nyeri. Il Santo Padre ha nominato primo vescovo mons. Anthony Ireri Mukobo, missionario della Consolata, finora vescovo titolare di Rusguniae e Vicario apostolico di Isiolo. La diocesi di Isiolo è situata nella parte centrale del Kenya e i suoi confini corrispondono a quelli dell’omonima contea civile. Ha una superficie di 25.700 km2 e una popolazione di 268mila abitanti, di cui 66mila sono cattolici. Ci sono 13 parrocchie, 74 istituzioni educative e 11 di beneficenza, tra cui cinque dispensari e un ospedale materno. Vi lavorano 19 sacerdoti diocesani, due sacerdoti fidei donum e tre sacerdoti missionari, assieme a 66 religiosi/e. (Fides) LIBANO GRANELLO DI SENAPE Le comunità cattoliche in Medio Oriente sono chiamate a testimoniare «fraternità e speranza nella sofferenza», a rappresentare il volto di una Chiesa «umile come un «granello di senape», che cresce nella precarietà della sua condizione e deve sottrarsi alle pressioni che spingono tanti suoi figli e figlie a lasciare le proprie terre». È l’immagine suggestiva espressa nella dichiarazione finale dell’Assemblea sinodale continentale delle Chiese cattoliche in Medio Oriente svoltasi a Harissa, in Libano. Dal 13 al 17 febbraio, l’assemblea ha visto riunirsi presso il Centro Bethania rappresentanti delle sette Chiese cattoliche presenti in Medio Oriente: patriarchi, vescovi, sacerdoti, religiosi e religiose, laiche e laici provenienti da Egitto, Siria, Giordania, Terra Santa, Iraq, Libano e Stati del Golfo. Nel documento finale, l’assemblea ha condensato in 13 punti i tratti fondamentali della comune identità e missione delle chiese mediorientali. Tra gli altri, si ribadisce che l’unità nella diversità delle varie tradizioni ecclesiali rappresenta un tratto specifico della missione delle chiese nelle regioni del Medio Oriente e del Golfo; si sottolinea il ruolo dei laici e la necessità di porre attenzione al contributo e alle attese dei giovani per una Chiesa rinnovata nella quale si riaffermi anche l’importanza del ruolo e della missione delle donne. (Fides) VATICANO ANNUARIO PONTIFICIO La Santa Sede ha pubblicato l’Annuario pontificio 2023 che contiene i dati più aggiornati su tutti i numeri che riguardano la Chiesa cattolica nel mondo. A livello planetario il numero dei cattolici battezzati è passato da 1.360 milioni nel 2020 a 1.378 milioni nel 2021, con una crescita dell’1,3%. Focalizzando lo sguardo sull’Asia, i cattolici rappresentano circa il 3,3% della popolazione (rispetto al dato del 17,67% di battezzati a livello globale). È interessante però ricordare che - essendo l’Asia il continente dove vive la maggior parte della popolazione mondiale - nello sguardo complessivo sulla Chiesa universale i cattolici asiatici rappresentano l’11% dei battezzati. (Asia News) Costa d’Avorio: la Sistina di Dianra Anord della Costa d’Avorio, nella diocesi di Odienné, presso la parrocchia Saint Joseph Mukasa di Dianra-Village dei Missionari della Consolata, dal 2019 sorge una chiesa che ha la più umile delle architetture, ma stupisce per il suo simbolismo profondo. L’architetta Daniela Giuliani, della diocesi di Senigallia, in Italia, racconta come è nata questa chiesa piena di luce e di colori, dove anche chi non sa leggere, o non conosce la lingua in cui si celebra, può comprendere e partecipare alla liturgia. «La chiesa nasce dalla fede grande del primo catechista Maxime Soro, della sua gente e dal coraggio di padre Matteo Pettinari, il quale mi ha chiesto di dar forma al loro sogno: poter celebrare le meraviglie di Dio in un edificio che potesse annunciare visivamente il suo amore per noi. Il cantiere è durato tre anni e ci ha insegnato tanto: nell’ascolto della cultura Senoufo, nella fede della gente semplice, nei materiali locali. Con stupore, i mattoni impastati uno a uno sono diventati muri, archi, volte, mai visti a Dianra. Soro, piccolo di statura, arrampicato su trabattelli di fortuna, ha affrescato le pareti, lui che dipingeva murales, usando i suoi tre bar,attoli di colori da carrozzeria con un’abilità degna dei migliori artisti. Nella chiesa di Dianra-Village colpiscono subito i colori la cui simbologia vuole rappresentare l’inizio della vita cristiana attraverso il battesimo (con il fonte battesimale all’esterno), e poi l’entrata nella comunità ecclesiale accolti dalla mano di Dio (con l’abside dove risplende la Gerusalemme celeste nella quale tutto ciò che oggi è fatica e sudore, se vissuto nell’amore, diventa oro pieno di luce). Gli abitanti di Dianra-Village, affascinati dalla loro “Cappella Sistina”, la chiesa più bella della Costa d’Avorio, come amano definirla, hanno iniziato a imitarla nelle loro case e anche la loro vita di stenti, le loro case di terra cruda, il loro villaggio, possono divenire i più belli della Costa d’Avorio». (Osservatore Romano) MAGGIO 2023 | MC | 9 Kenya: monsignor Anthony Ireri Mukobo vescovo di Isiolo. Costa d’Avorio: l’abside della chiesa di Dianra-Village risplendente di simboli e colori.
| MC | MAGGGIO 2023 10 Monsignor Christian Carlassare, missionario comboniano, classe 1977, lavora in Sud Sudan dal 2005. È stato nominato vescovo di Rumbek da papa Francesco nel marzo 2021. Il 25 aprile dello stesso anno ha subito un attentato nel quale è stato ferito alle gambe. Ha potuto ricevere l’ordinazione vescovile solo un anno più tardi. A Rumbek succede a monsignor Cesare Mazzolari, anche lui comboniano, molto amato dalla gente, deceduto nel 2011. Monsignor Carlassare ci parli della sua diocesi di Rumbek. Quali sono le principali difficoltà, ma anche le sfide e i segni di speranza? «La diocesi di Rumbek ha le stesse le stesse ferite che il Paese ha sofferto a causa della guerra e del conflitto che si è protratto anche dopo l’indipendenza (2011). La violenza ha marcato profondamente le relazioni sociali di questo Paese durante decenni, e non è facile essere fermento di cambiamento neanche per la Chiesa. Ci si Dopo il Congo, papa Francesco è andato in Sud Sudan, insieme all’incaricato della Chiesa di Scozia, Iain Greenshields, e all’arcivescovo di Canterbury, Justin Welby. Un viaggio progettato da tempo, ma che era stato rimandato per motivi di sicurezza. Monsignor Carlassare, comboniano, vescovo di Rumbek, ci racconta le sue impressioni. aspetterebbe, infatti, che la Chiesa fosse una comunità di fede che sia lievito per la massa. Anche Gesù, in un momento di frustrazione, aveva raccomandato ai discepoli di guardarsi dal lievito dei farisei. Ecco, anche la comunità cristiana, piccola e fragile, vive le sue contraddizioni che sono spesso le stesse della gente: la fatica nel dialogo e nella comunione, specie quando ci sono interessi di gruppo in conflitto con altri; l’accettazione supina dell’idea che “vince il più forte”, di MARCO BELLO SUD SUDAN IL PAPA IN SUD SUDAN È il tempo dei fatti © Christian Carlassare
MAGGIO 2023 | MC | 11 alla quale tutti si accodano, la paura di programmare il futuro preferendo vivere alla giornata. In particolare, la Chiesa in Sud Sudan vive la sfida della nuova evangelizzazione, nel senso che, pur avendo sentito parlare di Gesù Cristo, in verità molta gente non ne conosce l’insegnamento, o lo conosce solo superficialmente, senza aver fatto esperienza concreta di Lui e di vita cristiana. Oltre ad alcune idee, c’è bisogno di più prassi insomma. Mentre invece la gente rimane prevalentemente legata alle proprie categorie culturali e non si lascia facilmente interrogare dal Vangelo. La Chiesa viene spesso vista più come un’agenzia umanitaria che parla di Dio, piuttosto che come una comuità di fede che propone una trasformazione della società dal suo interno. L’aspetto più positivo è che la Chiesa in Sud Sudan, come nel resto dell’Africa, non è ferma, ma in cammino. È in divenire. E il futuro appare molto più luminoso del passato. C’è speranza insomma. Una speranza riposta in comunità cristiane formate in gran parte da giovani. Le nostre assemblee domenicali sono frequentate per il 90% da giovani sotto i vent’anni. Si capisce allora che le comunità cristiane non possono essere molto stabili, non sono poggiate sulle forti fondamenta dell’esperienza e saggezza della vita adulta. Allo stesso tempo, però, la presenza di tanti giovani che cercano nella Chiesa identità, dignità e opportunità, ci fa scommettere nel futuro». Missione istruzione «La popolazione della nostra diocesi arriva a un milione e duecentomila persone. Calcoliamo che solo duecentomila sono cattoliche. Il territorio è grande quanto il Nord Italia, ma le missioni-parrocchie sono solo sedici. Ogni parrocchia copre un territorio vastissimo con molte cappelle (fino a quaranta), e queste sono tutte seguite da agenti pastorali laici e catechisti. La diocesi conta quasi trecento catechisti, che non sono semplici insegnanti di catechismo, ma vere e proprie guide delle comunità cristiane. Abbiamo nove preti diocesani, venti preti religiosi e sette fratelli di sei istituti missionari, oltre a trentadue suore di nove istituti religiosi. C’è molta ricchezza di carismi e creatività, e di questo sono molto contento e orgoglioso. Tra le altre cose, la diocesi è molto impegnata nel campo dell’istruzione a partire dalle scuole dell’infanzia e primarie fino alle scuole secondarie e università. È da ricordare che in Sud Sudan solo il 20% dei bambini in età scolastica ha accesso a una scuola primaria. E solo il 6% a una scuola secondaria. L’analfabetismo regna ancora sovrano. Inoltre, le bambine non godono delle stesse opportunità dei loro coetanei maschi. Molte bambine non riescono a finire la scuola primaria, spesso anche a causa di matrimoni combinati, e solo l’1% accede alle scuole superiori. Quindi, oltre ai programmi di istruzione ordinari, abbiamo anche centri di apprendimento accelerato per adulti, con lo scopo principale di valorizzare la donna e chi non ha potuto frequentare la scuola in età scolastica. Ultimamente stiamo cercando di introdurre anche scuole dedicate all’insegnamento di arti e mestieri, sia con corsi professionali che tecnici. Abbiamo anche centri di formazione per maestri e un corso all’università per preparare insegnanti per le scuole superiori. Qui: Monica Moser (vedi box) con le allieve della Loreto girls secondary school di Rumbek, dove ha insegnato. | A sinistra: monsignor Carlassare durante il pellegrinaggio per la pace, da Rumbek a Juba. “ Le nostre assemblee domenicali sono frequentate per il 90% da giovani sotto i vent’anni. papa francesco | pace | pellegrinaggio | chiesa africana © Monica Moser
Il viaggio di una studentessa di ingegneria ERO PARTITA PER FARE LA TESI... Monica ha fatto un’esperienza importante. È stata un mese nel paese più povero del mondo, scoprendovi una grande ricchezza. È stata accolta, ha insegnato e ha molto imparato. In queste pagine ci racconta quei giorni. Sono una studentessa di ingegneria matematica al Politecnico di Torino. A gennaio sono partita per il Sud Sudan per scrivere la mia tesi sulla didattica della matematica in Africa subsahariana, con il sostegno del Politecnico e della Fondazione Cesar (fondazionecesar.org). Dopo alcune esperienze di insegnamento in Italia, volevo scoprire come coinvolgere ragazze e ragazzi nello studio di materie scientifiche in un Paese che, dal punto di vista educativo, soffre a causa dei conflitti. Il Sud Sudan è da decenni uno dei Paesi più poveri al mondo, segnato da conflitti armati e disordini politici che hanno avuto un impatto devastante sull’istruzione e sulla formazione delle future generazioni, creando un circolo vizioso di povertà e mancanza di opportunità. Nonostante ciò, il popolo sudsudanese ha dimostrato una grande resilienza e determinazione, cercando di costruire un futuro migliore per sé stesso e per le proprie comunità. Sono partita dall’Italia con uno zaino carico di vestiti e di emozione, consapevole che sarebbe stata un’esperienza di vita. Una volta arrivata a Rumbek, ho incontrato padre Christian, Vescovo della diocesi e testimone di una Chiesa a servizio del popolo sudsudanese. Assieme a lui ho visitato la Mazzolari secondary school, dove sono rimasta particolarmente colpita dal numero di bambini e ragazzi presenti in una sola classe, e la Catholic university of South Sudan, a Rumbek. Successivamente, mi sono spostata alla Loreto girls secondary school dove ho iniziato la mia esperienza di insegnamento. Ho notato immediatamente la gioia delle persone incontrate nel dare il benvenuto a un nuovo arrivato: dopo pochi giorni di scuola, tutte le ragazze conoscevano il mio nome e correvano a salutarmi appena mi vedevano uscire dalla stanza. È impressionante vedere la forza e il coraggio che queste giovani donne dimostrano quotidianamente, poiché per loro continuare gli studi a 16 anni nel Sud Sudan significa lottare contro la tradizione e spesso anche contro la propria famiglia. Tuttavia, queste ragazze persistono nel loro desiderio di istruzione e, nonostante le difficoltà che incontrano, sono determinate a costruire un futuro migliore per se stesse e per la loro comunità. Un pellegrinaggio unico Dopo aver trascorso dieci giorni con le studentesse, ho avuto l’onore di essere invitata a partecipare a un pellegrinaggio di pace dalla città di Rumbek a Juba, la capitale. Si trattava di camminare 20 km al giorno per accogliere l’arrivo del Papa in Sud Sudan. Questa esperienza mi ha permesso di parlare con le ragazze dell’importanza della matematica nella vita di tutti i giorni. In un gruppo di sessanta giovani, abbiamo affrontato ogni momento insieme: i risvegli alle 5 del mattino, il caldo soffocante dei 40 gradi a mezzogiorno e l’entusiasmo dei giovani delle parrocchie nelle quali passavamo, che ci accoglievano correndo. Non è stato sempre facile, soprattutto dormire per terra dopo ore di cammino, ma la forza e la gioia di fare qualcosa di unico per il Sud Sudan mi hanno fatto superare le difficoltà. Durante il pellegrinaggio di pace, ho avuto l’opportunità di discutere con le giovani studentesse del | MC | MAGGIO 2023 12 SUD SUDAN A sinistra: Monica con alcuni bambini di Rumbek. | A destra: Monica con un gruppo di giovani durante il pellegrinaggio da Rumbek a Juba. © Monica Moser
MAGGIO 2023 | MC | 13 sistema scolastico del Sud Sudan, dove la mancanza di infrastrutture e di insegnanti qualificati rappresenta una sfida costante per l’accesso all'istruzione. Nonostante queste difficoltà, ho potuto sperimentare in prima persona la determinazione dei giovani a perseguire i loro sogni e a costruire un futuro migliore per se stessi e per la loro comunità. Il viaggio mi ha anche permesso di conoscere meglio la realtà quotidiana della popolazione locale e di vedere come la sua grande forza di volontà e resilienza l’aiuti a superare le difficoltà. Ogni piccolo successo rappresenta un passo avanti nella costruzione di un futuro migliore per l'intera comunità. Inoltre, ho avuto modo di apprezzare la grande ospitalità del popolo sudsudanese, che non ha esitato ad accogliermi a braccia aperte e a condividere con me la propria cultura e tradizioni. Giovani per la pace Tramite il pellegrinaggio abbiamo voluto dare una testimonianza di pace e di dialogo a tutte le comunità che incontravamo, una pace tanto desiderata e attesa da tutti i giovani sudsudanesi, indispensabile per migliorare il sistema educativo e le prospettive del Paese. I giovani per primi sono stati portatori di un messaggio di comunione grazie a una novena di preghiera e riflessione sul camminare insieme. “ Essere giovane donna in campo scientifico ha ispirato molte ragazze. In ogni parrocchia abbiamo partecipato alla messa con l’intera comunità, e i ragazzi hanno messo in scena una recita sulla pace concreta che può nascere anche tra tribù diverse. Una volta arrivati a Juba, siamo stati sorpresi dalla notizia che papa Francesco avrebbe incontrato il nostro gruppo. Questo incontro è stato un’esperienza indimenticabile per tutti noi, e ci ha regalato una grande emozione, ma, soprattutto, ha trasmesso un messaggio di speranza e fiducia, dimostrando ai ragazzi che tutto è possibile nella vita. La matematica è divertente Dopo l’esperienza del pellegrinaggio di pace, sono tornata a Rumbek e ho avuto l’opportunità di insegnare ai professori della primaria di Loreto e di trascorrere una settimana presso la All Saints Alp school di Cueibet. Sapevo che la matematica non era la materia preferita degli studenti, ma ho cercato di trasmettere loro l’idea che può essere divertente e affascinante. È stato gratificante vedere i ragazzi interessati ed entusiasti, e mi sono divertita a mettermi in gioco con loro e con i loro insegnanti. Durante il mio mese in Sud Sudan, ho visto la realtà di un Paese che lotta per l’istruzione e il progresso, e allo stesso tempo ho visto la forza e la determinazione della sua gente. Questa esperienza mi ha insegnato molto, soprattutto sull’importanza dell’educazione e sulla sua capacità di cambiare la vita delle persone. I miei sforzi per promuovere la matematica e le materie scientifiche hanno anche avuto un impatto sulle attitudini degli studenti riguardo i ruoli di genere nei campi Stem (sigla in inglese: scienza, tecnologia, ingegneria, matematica, ndr). Essere una giovane donna impegnata nel campo scientifico ha ispirato molte ragazze con cui ho lavorato, inclusa una studentessa del secondo anno alla Loreto girls secondary school che mi ha scritto una lettera per esprimere la sua gratitudine: «Ho il sogno di diventare un’ingegnera civile. È stato così sorprendente per me quando ti ho sentita parlare di questo, perché non avevo mai visto una donna che fa l’ingegnere». Inoltre, questa esperienza mi ha mostrato l’importanza del dialogo interculturale e della cooperazione tra diverse comunità. L’incontro con il Papa e il pellegrinaggio di pace sono stati momenti intensi di condivisione e unione tra persone di culture e religioni diverse, dimostrando che la pace è possibile se si lavora insieme. In conclusione, il mio viaggio in Sud Sudan è stata un’esperienza unica e indimenticabile, che mi ha arricchito a livello personale e professionale. Ringrazio il Politecnico di Torino e la Fondazione Cesar per avermi dato questa opportunità, e tutte le persone che ho incontrato in Sud Sudan per avermi accolto a braccia aperte e per aver condiviso con me la loro cultura e la loro vita quotidiana. Monica Moser © Monica Moser
“ Basta violenze, basta sangue, basta promesse. C’è il desiderio forte di favorire la formazione integrale delle persone perché attraverso l’istruzione possano esprimere la propria identità e dignità». In sintesi, qual è la situazione attuale del Paese? Secondo lei, la visita di papa Francesco con il moderatore generale della Chiesa presbiteriana scozzese Greenshields e l’arcivescovo anglicano Welby, ha dato un reale impulso al processo di pace? «In generale direi che ci troviamo davanti a un Paese non solo povero, ma profondamente impoverito dal conflitto interno che si è protratto dal 2013 al 2019, e dallo stato di continua insicurezza e instabilità in cui versa. Un Paese dove le istituzioni sono fragili e non sempre dalla parte della popolazione, soprattutto la più vulnerabile. La visita a inizio febbraio è stata un momento di grande gioia per tutto il Paese. Secondo la cultura tradizionale, l’arrivo di una persona così importante porta sempre una benedizione. È difficile dire se porterà frutti duraturi di riconciliazione e pace in Sud Sudan, ma di certo papa Francesco ha fatto la sua parte e ha contribuito rendendo tutti più consapevoli che il dono della pace prende forma laddove si è camminato insieme su una via di pace, con passi concreti di ascolto e non violenza. L’effetto immediato della visita è apparso nelle parole del presidente che ha annunciato la ripresa del dialogo con quelle opposizioni che non sono al governo, dialogo facilitato dalla Comunità di sant’Egidio. Le speranze però sono più | MC | MAGGIO 2023 14 grandi: poter testimoniare il ritorno di rifugiati e sfollati nei loro territori, il disarmo e la fine di ingiustizie e violenze in tutto il Paese, l’unificazione e limitazione dell’esercito, la fine della corruzione e del nepotismo, l’accesso ai servizi (istruzione, sanità), l’uso appropriato delle risorse per una ripresa economica, il processo di unificazione del Paese che superi divisioni etniche, il processo democratico e le elezioni». C’è qualche aspetto della visita del Papa che l’ha colpita in modo particolare? «Direi la grande semplicità di papa Francesco e, allo stesso tempo, la fermezza delle sue parole: basta violenze, basta sangue. Basta promesse, è il tempo dei fatti. E poi le parole di solidarietà verso i piccoli e i deboli: pensiamo agli sfollati e rifugiati, soprattutto donne e bambini, vittime di violenza e abusi. Papa Francesco ha spesso detto la parola “insieme”. Insieme si è più forti. Ma il ricordo personale più bello è quello dell’incontro di papa Francesco con i giovani del pelSUD SUDAN © Christian Carlassare
IL SUD SUDAN SU MC Marco Bello, Quasi amici... (in nome del petrolio), ottobre 2018. Marco Bello, Sud Sudan: la speranza sottile, maggio 2017. Marco Bello, Guardandosi in cagnesco, agosto-settembre 2016. A sinistra: foto di gruppo con papa Francesco. Alla sua sinistra mons. Carlassare, in seconda fila Monica Moser. | A destra: un momento del pellegrinaggio, al tramonto. | Sopra: mons. Christian Carlassare con un amico, durante la marcia per la pace. legrinaggio (si veda domanda successiva, ndr). Un fuori programma: è uscito dall’incontro con i preti e i religiosi e ci ha incontrati sulla gradinata davanti la cattedrale. Lì ci ha detto: “Grazie della vostra testimonianza, continuate a camminare sulla via della pace, contribuirete a chiudere il capitolo dello scontro e scrivere un nuovo capitolo nella storia del Sud Sudan, quello dell’incontro”». Ci parli del pellegrinaggio tra Rumbek e Juba: come è venuta l’idea, con quali obiettivi e a che cosa è servito? «Eravamo un gruppo di 84 persone, tra cui una sessantina di giovani. L’idea è nata dal desiderio di dare la possibilità di incontrare il Papa a quante più persone possibile. Da Rumbek solo un piccolo numero avrebbe potuto partecipare viaggiando con i mezzi. Perciò abbiamo pensato di andare a piedi. Poi ci siamo scoperti in comunione con papa Francesco che veniva da pellegrino di pace: un cammino che, prima di tutto, dovremo essere capaci di fare noi. E chi meglio dei giovani può fare appello alla pace, visto che proprio loro che sono stati spietatamente manipolati e strumentalizzati per combattere in nome di altri che, invece, hanno guadagnato poltrone e potere sulla loro pelle. Il pellegrinaggio è stato un’esperienza molto bella di comunione e solidarietà che ha poi anche ispirato l’assemblea diocesana intitolata: “Camminando insieme come famiglia di Dio”. Lungo il cammino abbiamo incontrato nove comunità locali che ci hanno accolto. Oltre alla preghiera, i giovani avevano preparato un teatro della pace nel quale raccontare storie di conflitto concluse in fraternità. Ogni comunità locale ci ha sorpreso con la sua accoglienza e comunione, tanto che ci siamo accorti che non marciavamo per noi stessi, ma per tutti i costruttori di pace presenti nel Paese. All’arrivo a Juba ci siamo trovati immersi in un bagno di folla che era uscita per strada ad accoglierci. Lì abbiamo capito che con il nostro semplice gesto e impegno, avevamo ispirato tutta la nazione». Marco Bello MAGGIO 2023 | MC | 15 © Christian Carlassare © Monica Moser
Immaginate una città grande come Firenze. Senza però monumenti e strade asfaltate. Senza case in muratura. Senza un fiume che l’attraversa. Una distesa infinita di rifugi improvvisati, capanne, tende, circondata da un deserto arido dove a farla da padrona è una terra rossa che impregna l’aria e riempie i polmoni. Di fronte a voi, ecco Dadaab, il più grande campo profughi dell’Africa che sorge nel Nord del Kenya, nell’Africa orientale. Fondato nel 1991 dalla Croce rossa internazionale e gestito dal governo keniano e dall’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), da allora ha continuato a ospitare un flusso imponente di somali in cerca di rifugio, inizialmente dagli scontri tra le milizie claniche seguiti alla deposizione del presidente somalo Mohamed Siad Da 32 anni è una città fatta di ripari di fortuna, in mezzo al deserto. Ci abitano 350mila persone, e gli arrivi continuano. Intanto la guerra in Europa ha dirottato in Ucraina parte delle risorse. Alcune Ong e agenzie Onu continuano a dare assistenza a una popolazione (di rifugiati) che non può farcela da sola. Barre, poi dalla violenza delle milizie fondamentaliste di alShabaab (cfr. MC maggio 2018) e dalla siccità. Sono trascorsi 32 anni e, nonostante Dadaab fosse stato concepito come un’infrastruttura temporanea, la maggior parte dei rifugiati che vivono nell’insediamento è nata qui e qui ha sempre abitato. Dadaab è la loro città e, spesso, è l’unico posto che conoscono. | MC | MAGGGIO 2023 16 IL CAMPO PROFUGHI PIÙ GRANDE D’AFRICA La città dei tendoni © Tony Karumba / AFP di ENRICO CASALE KENYA
I quartieri della «città» Il campo si compone di cinque insediamenti principali, noti come Ifo, Dagahaley, Hagadera, Kambioos e Ifo 2. Ciascuno di essi ha il proprio centro sanitario, scuola e servizi di base. Negli anni scorsi, il campo ha ospitato fino a 500mila persone, scese poi a 250mila e risalite a 350mila negli ultimi sei mesi. Tanto è vero che il governo keniano ha ordinato la riapertura di due quartieri di Dadaab che erano stati chiusi nel 2019 a seguito della riduzione dei rifugiati per effetto di un programma di rimpatrio volontario in Somalia. Il rapporto tra Kenya e Daadab è controverso. A più riprese i politici keniani hanno annunciato, anche a scopo di consenso elettorale, l’intenzione di chiudere il campo e rimpatriare i rifugiati in Somalia, ma l’Unhcr e altre organizzazioni umanitarie hanno sollevato preoccupazioni per la sicurezza dei rifugiati e per la situazione umanitaria in Somalia. Il campo di Dadaab è quindi rimasto aperto e, nel tempo, è diventato sempre più una questione urgente e complessa da gestire per la comunità internazionale. Nel rapporto Emergency watchlist che ogni anno la Croce rossa internazionale stila per individuare quali sono i paesi a maggiore rischio di crisi umanitarie, la Somalia è al primo posto. Oltre duecentomila persone nel Paese stanno soffrendo le conseguenze di un aspro conflitto civile contro la milizia fondamentalista al-Shabaab, e questo numero, si prevede, triplicherà entro novembre 2023. Al conflitto, che interessa soprattutto le regioni centrali e meridionali, si sta aggiungendo una forte siccità causata dalla quinta stagione consecutiva di scarse o nulle precipitazioni atmosferiche (le previsioni annunciano che anche il 2023 sarà asciutto). Ciò ha provocato una diffusa insicurezza alimentare e una forte dipendenza dalle importazioni di cibo dall’estero. Anche queste, però, si sono ridotte per l’instabilità causata prima dalla pandemia di Coronavirus e poi dalla guerra tra Russia e Ucraina (tra i maggiori esportatori mondiali di cereali). Di fronte a questa situazione drammatica, migliaia di famiglie abbandonano le loro case cercando rifugio in altre zone del Paese o all’estero. Fuga dalla Somalia Le storie di chi arriva a Dadaab sono drammatiche. Dekow Derow Ali, padre di quattro figli, faceva affidamento sui suoi raccolti e sul suo bestiame per sostenere la famiglia. Ma tre anni senza pioggia hanno distrutto i suoi mezzi di sostentamento. «Si piantano i semi, ma poi non c’è nulla da raccogliere - ha detto in un colloquio con i responsabili dell’Unhcr, agenzia Onu per i rifugiati -. Le mie mucche sono morte all’inizio della siccità. Ho perso anche alcune capre». Allora Dekow ha venduto le capre rimaste e, con i soldi ricavati, ha pagato il trasporto per sé e la famiglia fino a Dadaab. «Sono venuto senza nulla, tranne i miei figli», ha detto. Come lui, almeno 80mila somali hanno deciso di attraversare il confine e rifugiarsi a Dadaab negli ultimi due anni, di cui circa 45mila sono arrivati nel solo 2022. Molti di essi non hanno niente. Sopravvivono grazie agli aiuti internazionali e sono costretti ad abitare in sistemazioni di fortuna in attesa di ricevere lo status di rifugiato. MAGGIO 2023 | MC | 17 Qui: rifugiati in fila a Dadaab, per la visita dell’attivista pachistana, premio Nobel, Malala Yousafzai (2016). | A sinistra: una vista del settore est del campo Ifo 2 di Dadaab (2015). “ Si piantano i semi, ma poi non c’è nulla da raccogliere. © Tony Karumba / AFP Dadaab | campo profughi | rifugiati | bambini | salute | Somalia
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