Poste Italiane S.p.A. - Spediz. in abb. postale "Regime R.O.C." - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n° 46) art. 1, comma 1, NO/TORINO
IL NUOVO LIBRO DI RANIERO LA VALLE Una fondamentale riflessione TVMMB QBDF JO VO NPOEP TDPOWPMUP EBMMB HVFSSB In libreria o sul nostro sito: www.emi.it JOGP PSEJOJ!FNJ JU -FWJBUBOJ EPW MB WJUUPSJB QBHJOF Ł
3 di GIGI ANATALONI direttore EDITORIALE ai lettori L’8 marzo è la «Giornata internazionale dei diritti della donna», conosciuta più semplicemente come «Festa della donna». È una giornata che, al di là del tanto parlarne che se ne fa in questi giorni, richiede una seria riflessione da parte di tutti, uomini e donne, chiamati a compiere assieme un cambiamento di mentalità. Quanti fatti sono davanti ai nostri occhi: lo stupro usato come arma di guerra in Ucraina, ma non solo; i jihadisti di varie tendenze che, nell’Africa subsahariana, rapiscono donne e bambine per usarle come schiave, emulati in questo dai miliziani che razziano il Nord Est della Rd Congo; la mutilazione genitale femminile, che in diverse regioni a influenza islamica prende la forma estrema di infibulazione; la pratica delle nascite selettive, per cui le bambine vengono soppresse. Aggiungi la tratta di persone che coinvolge soprattutto giovani donne e bambine sia per la prostituzione su strada che per il lavoro schiavo. Senza dimenticare la brutalità della repressione in Iran, dove in nome di Dio (che bestemmia!) giovani donne vengono torturate, abusate, stuprate e uccise proprio da chi si proclama difensore della religione e della famiglia; mentre in Afghanistan le donne sono imprigionate dentro il burqa e private di libertà, di diritti e di educazione, anche qui in nome di Dio (ma quale Dio?). Se quelle citate sopra possono sembrare (ma non lo sono) vicende lontane, anche guardando più vicino a noi, in Europa, troviamo molto da lavorare: dalla pedopornografia online che domanda efferatezze e violenze sempre più estreme, ai 120 femminicidi avvenuti in Italia nel 2022 più i cinque che hanno già marcato lo scorso gennaio; dalle discriminazioni nelle carriere e nei salari ai licenziamenti o penalizzazione sul lavoro delle donne incinte. S metto di elencare, e vengo al punto. Una lettura onesta di questa situazione deve essere per tutti, donne e uomini (in particolare), un pugno nello stomaco che provochi una vera revisione di tutto il nostro modo di essere, di pensare e di agire. E non solo: deve mettere in discussione le idee che abbiamo circa l’identità maschile e quella femminile, la posizione nel mondo che ciascuna delle due ha, e le diverse e specifiche modalità di relazionarsi con l’altro, con la natura e con Dio. A maggior ragione questo deve farlo chi si dice credente, perché proprio nella Parola di Dio trova i criteri per essere uomo e donna in modo nuovo. È nella Scrittura che chi si dice cristiano trova quelle linee guida fondamentali di castità che dovrebbero essere alla base di tutte le relazioni. Qualcuno si potrebbe domandare: cosa c’entra la castità ora? Mica possiamo vivere tutti come frati o suore? C’entra, perché la castità non è solo astensione dal sesso, è qualcosa di diverso e molto più profondo. Ricordo sempre quando il nostro professore di Bibbia, arrivato al testo di Matteo 5,28: «chiunque guarda una donna per desiderarla, ha già commesso adulterio con lei nel proprio cuore», lo ha parafrasato dicendo «smettetela di guardare le donne solo come un oggetto». Di fatto essere casti non è semplicemente non fare sesso, ma è vivere in modo nuovo le relazioni mettendo al centro il rispetto, l’amore che non mercifica, la ricerca del vero bene dell’altra/o, e la promozione della sua dignità e libertà. Castità indica certo un mondo di relazioni dove la sessualità ha il suo ruolo importante per esprimere la donazione totale che due persone si fanno a vicenda, unendosi in un progetto di vita, ma esprime anzitutto un rapporto dove si mette al centro la libertà, la gratuità e il benessere dell’altra/o. La castità è il contrario di ogni atteggiamento padronale, è contestazione di ogni possesso o dominio. Nella castità la relazione è dono, non diritto o imposizione. Questo tipo di relazione non si applica solo tra due persone fidanzate o sposate, ma diventa l’anima del vivere insieme, delle relazioni interpersonali, dei rapporti di lavoro, del modo in cui si guarda la tv, si naviga il web, si vedono le persone attorno a noi. Di questi tempi la castità non ha molta cittadinanza nella nostra cultura, schiacciata com’è dal fraintendimento di un altro grande dono che abbiamo tutti ricevuto: la libertà. Se la libertà, infatti, è solo «libertà da» ogni costrizione e legame, e «libertà di» fare tutto ciò che si vuole perché ci si percepisce come padroni assoluti della propria vita, la relazione intesa come dono perde la sua attrattiva. Castità invece si coniuga con «libertà per» amare con gratuità e rispetto, diventando così un grande cammino per costruire davvero un’umanità nuova, libera, inclusiva, dove ogni persona possa realizzare la propria vocazione e vivere in pace in un mondo amato, curato e rispettatto. Sì, allora castità diventa vera via alla pace. Castità, via di pace MC MARZO 2023 | MC |
* * * * * 08 CHIESA NEL MONDO a cura di Sergio Frassetto 25 NOSTRA MADRE TERRA Cinghiali (e lupi) alle porte di casa di Rosanna Novara Topino 29 E LA CHIAMANO ECONOMIA La società-super- mercato: lavora, guadagna, spendi di Francesco Gesualdi 32 CAMMINATORI DI SPERANZA /2 Giacobbe, il lottatore di Angelo Fracchia 67 COOPERANDO Davos in calo, disuguaglianze in aumento di Chiara Giovetti 81 LIBRARSI Fiori nei cannoni di Massimiliano Fortuna In copertina: nel campo di detenzione di Al-Hol, Nord Est della Siria (foto: Angelo Calianno). https://www.rivistamissioniconsolata.it Gli articoli pubblicati sono responsabilità degli autori e non riflettono necessariamente l’opinione dell’editore. - I dati personali forniti dagli abbonati sono usati solo per le finalità della rivista. Il responsabile del loro trattamento è l’amministratore, cui gli interessati possono rivolgersi per richiederne la verifica o la cancellazione (D. LGS. 196/2003). 3 | Marzo 2023 | anno 125 Il numero è stato chiuso in redazione il 13 febbraio 2023 e consegnato alle poste di Torino entro il 28 febbraio 2023. 03 AI LETTORI Castità, via di pace di Gigi Anataloni 05 NOI E VOI Lettori e Missionari in dialogo NIGER: LA NUOVA VIA DEI GIOVANI AFRICANI PICCOLE IMPRESE CRESCONO reportage di Marco Bello 10 SIRIA Accerchiati e bombardati di Angelo Calianno 16 PERÙ Anche Puno è in Perù di Paolo Moiola 21 BRASILE La riscossa delle donne di Silvia Zaccaria 51 ITALIA Dall’obiezione al servizio civile di Marco Labbate 56 MISSIONE REU POLONIA-UCRAINA E l’Est è venuto da noi di Luca Lorusso 61 SPAGNA Un passo dopo l’altro di Piergiorgio Pescali 71 AMICO Il tuo sguardo io cerco inserto a cura di Luca Lorusso SOMMARIO * * * 10 61 35 ossier | MC | MARZO 2023 4
MARZO 2023 | MC | 5 a cura del DIRETTORE LETTORI E MISSIONARI IN DIALOGO NOI E VOI neiro nel mezzo delle favelas (foto qui in basso): la famosa Mangueira, Morro do Telegrafo, Arará, Tuiutí e altre. Nonostante fossimo in viaggio già da mesi (avevamo attraversato la Patagonia in autostop, arrivando fino alla Terra del Fuoco), in quei giorni entrammo in contatto con una realtà assolutamente nuova per noi, scioccante, scomoda, che ci metteva in discussione. Una realtà che, decidemmo, si doveva raccontare, meglio, denunciare. E così fu. Rientrati in Italia, Roberto mi portò alla Casa Madre dei missionari, in corso Ferrucci a Torino. Era la fine del 1992. Qui incontrammo per primo padre Franco Cellana, all’epoca superiore della comunità. Fu molto accogliente e, dopo i nostri racconti, non esitò ad alzare il telefono e chiamare il direttore della rivista Missioni Consolata, padre Francesco Bernardi. Francesco ci ricevette subito. Ci ascoltò, e con i suoi occhi vispi, un mezzo sorriso incorniciato dalla barba che all’epoca aveva, manipolando una penna, ci disse che poteva pubblicare qualcosa, se gli avessimo proposto un testo. Radunate le idee, di getto, iniziai a scrivere. In quei mesi mi capitava spesso di scrivere delle riflessioni, ero ancora pieno di immagini del RIVISTA SCOMODA Buonasera, quest’anno ho voluto aggiungere al bonifico per il vostro progetto natalizio (la cardiologia di Neisu) un secondo bonifico specifico per la vostra rivista, perché la vostra rivista è «scomoda». La ritiro dalla buca delle lettere, la poso sul tavolino, la ignoro per un po’, voglio rimanere nel mio guscio di «sicurezze», non voglio sentire di altri guai, non voglio pensare (ci sono già le mille preoccu- pazioni del lavoro, figli, genitori anziani...), voglio solo pensieri leggeri. E poi? Passa qualche giorno, faccio uno sforzo e riprendo in mano la rivista e poi la leggo dalla prima all’ultima pagina, mi appassiono perfino all’economia che, spiegata da Francesco Gesualdi, ha tutto un altro sapore! E quindi questa mail per dirvi grazie perché la vostra «scomoda» rivista rompe la cappa di comodità in cui vuole rifugiarsi la mia mente e vuole nascondersi il mio cuore, grazie perché mi portate lontano dal mio rassicurante piccolo mondo, mi fate conoscere realtà di cui l’informazione di massa si disinteressa come non esistessero, grazie e un incoraggiamento a continuare, sotto gli occhi amorevoli della Consolata, nonostante tutte le difficoltà che incontrate. Manuela Pogliano 23/12/2022 TRENT’ANNI DI PENNA Nel febbraio del 1993, esattamente 30 anni fa, veniva pubblicato il mio primo articolo. Si trattava in realtà di due pezzi, la storia di una mia esperienza diretta, vissuta con l’amico Roberto Minetti, in alcune favelas di Rio de Janeiro, e una piccola riflessione personale sullo stesso tema. Io e Roberto, nel 1992, eravamo in viaggio in Sudamerica e, in quel periodo, eravamo stati accolti da padre Claudio Fattor, missionario della Consolata, alla missione nel quartiere Benfica, area di Rio de JaSudamerica e di sentimenti contrastanti. Mi sentivo un disadattato in Italia ed ero particolarmente ispirato. Roberto, invece, non mi seguì in questa iniziativa. Fu così che nacquero quei due primi articoli, quasi spontaneamente, mentre dentro di me cresceva qualcosa, lo stimolo per un mio nuovo ruolo nella vita. Da un lato, occorreva fare qualcosa per ridurre le disuguaglianze di cui ero stato testimone e, dall’altro, bisognava far sapere alla gente di questa parte del Mondo che quelle situazioni esistevano. A Rio avevo incontrato altri due personaggi particolari. Il primo era il giornalista Giuseppe Nava, che all’epoca lavorava per Missões Consolata, la rivista dei missionari in Brasile. Un giornalista che si occupava di temi sociali, in particolare di popoli indigeni, che affascinò me e Roberto con i suoi racconti e con il tipo di lavoro che faceva, dandomi sicuramente diversi stimoli. E poi, monsignor Aldo Mongiano, vescovo di Boa Vista, di passaggio a Rio per andare in Italia, con il quale visitammo i cantieri preparatori della conferenza di Rio92. Lui ci parlò molto della sua missione e dei popoli indigeni. Ma ci fece anche riflettere sul nostro futuro. Vo-
glio ricordare che eravamo neolaureati in ingegneria elettronica, con il massimo dei voti, e avevamo preso un periodo per visitare, in economia massima, il Sudamerica. Al nostro rientro tutte, o quasi, le strade ci erano aperte. Questa è la storia del mio primo articolo con le prime foto pubblicate, per combinazione o per genesi, proprio su Missioni Consolata. In seguito, pubblicai su diverse testate italiane, e alcune estere. Quindi iniziai a mettermi in testa l’idea di continuare a scrivere e a produrre immagini. Ma sempre con l’obiettivo di far conoscere e di denunciare realtà difficili. La fotografia, che mi aveva appassionato fino dall’infanzia, la vedevo ora come il più potente mezzo per comunicare queste realtà. Il testo scritto avrebbe contribuito a descriverle. Incontrai il mio primo giornalista in Italia, Sante Altizio, nella stanza della nostra comune amica Gabriella Roux, nel collegio femminile di via delle Rosine a Torino. Sante mi spiegò come funzionavano le cose per la professione giornalistica nel nostro paese. Poi cercai altre storie, altri soggetti. Andai in Centro America e incontrai il movimento civile dei guatemaltechi, in particolare le Comunità di popolazioni in resistenza. Documentai la loro lotta. In seguito, in Italia, mi presentarono il fotogiornalista Paolo Siccardi, il quale mi diede diversi consigli che si sarebbero rivelati preziosi. Nel 1996 mi iscrissi all’Ordine dei Giornalisti, grazie a diverse collaborazioni che avevo messo in piedi negli anni precedenti. Fu per me un primo traguardo: ero ufficialmente giornalista. Era deciso, avrei continuato anche su questa strada (intanto vivevo facendo il ricercatore nel settore delle telecomunicazioni), ma non sapevo ancora quanto spazio avrebbe preso nella mia vita. Marco Bello Torino, febbraio 2023 ENERGIA E SOFFIOVITALE Caro padre, ho già scritto altre volte su queste pagine. In particolare, in uno dei miei scritti parlavo di Dio come fonte di energia. «Allora, il Signore Dio plasmò l’uomo con la polvere del suolo e soffiò nelle sue narici un alito di vita e l’uomo divenne un essere vivente» (Gen 2,7). E commentavo: «Come non interpretare quel soffio come Energia?». Ebbene, nella vostra rivista di novembre, ho apprezzato molto l’articolo su Albert Einstein e qui mi ha fatto ricordare la famosa formula: E=mc2. Da qualche tempo questa formula mi ronza nelle orecchie cercando di andare oltre la materia rappresentata in poche lettere per descrivere tutto l’universo. Pensavo: ma non è anche divina questa Energia che impregna tutta la materia? Un giorno, in un «lampo» intravvidi qualcosa che va oltre la materia: «ED=mc2+F2». Mi spiego: alla E di energia ho aggiunto la D di divino, alla mc2 ho aggiunto la F di fede col 2 inteso come fede al quadrato, ossia grande fede. Badi che non intendo dire che la formula di Einstein sia errata, assolutamente no! È solo un tentativo di comprendere l’universo per coloro che credono in qualcosa che va oltre la materia (e qui sono comprese tutte le forme di religione). Lei cosa ne pensa? Mi piacerebbe segnalarla a Piergiorgio Pescali autore dell’articolo, ma non so come fare. La ringrazio anticipatamente per l’interessamento. Un cordiale saluto. Angelo Brugnoni 14/12/2022 Ho passato questa email al nostro Piergiorgio Pescali, ovviamente. Ecco qui la sua breve email di risposta quasi immediata. Gent.mo sig. Brugnoni, capisco che il verso biblico da lei citato possa indurre a interpretazioni scientifiche; personalmente, però, ho sempre interpretato che il soffio vitale che Dio ha instillato nell’uomo sia l’unicità che Dio stesso ha voluto per l’essere umano, concedendogli un dono unico che altri esseri non hanno. Quel soffio divino, quindi, è assai diverso dalla materia. Le formule scientifiche hanno significato perché utilizzano parametri matematicamente riconducibili a realtà concrete. Nella fattispecie, la formula di Einstein ha avuto conferme e continua ad averle nel nostro mondo fisico. Inserire in questa formula (ma il discorso vale anche per tutte le altre) indici non quantificabili dal punto di vista matematico, non avrebbe senso dal punto di vista scientifico. «E», «m» e «c» sono grandezze fisiche ben determinate, che trovano riscontro nelle sperimentazioni fisiche. Quali valori e quale unità di misura si potrebbero dare a D e F? Penso che chi ha il dono della fede non abbia bisogno di formule matematiche per spiegare il mondo in cui viviamo, la sua natura, la sua genesi e il suo termine. Con cordialità. Piergiorgio Pescali 15/12/2022 UNITÀ: CANTIERE DI FRATERNITÀ A fine gennaio, come di consueto, si celebra la settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Da noi in Italia, dove si è in gran parte cattolici, non si avverte il problema della divisione tra cristiani. Né si mostra grande sensibilità. Ma in terra d’Africa o d’Asia, dove sono stato come missionario, suonava invece come uno scandalo. «Portateci il Cristo e non le vostre divisioni!», sentivo implorare. Riunirsi in nome dello stesso Cristo da una parte protestanti e dall’altra cattolici - quasi due mondi separati - era, infatti, una ben triste testimonianza. Ora i tempi stanno cambiando… In Marocco si è perfino costituita nel 2012 a Rabat, insieme, in corresponsabilità tra protestanti e cattolici, una originale Università di teologia, unica al mondo, dal nome «Almowafaqa» (significa accordo). Rappresenta una vera novità nel panorama teologico, includendo persino professori musulmani. La Chiesa cattolica in Marocco, d’altronde, accoglie fraternamente nei | MC | MARZO 2023 6 noi e voi
suoi luoghi di culto o di accoglienza comunità protestanti. Per gli ortodossi, ricordo quando qualcuno chiedeva a père Michel, cattolico, di celebrare la Pasqua ortodossa. Ma di fronte all’imbarazzo del sacerdote, si mostrava rassicurante. «Non si preoccupi, padre, faccia come il solito, metta solo un po’ più di candele sull’altare!». Gli ortodossi, infatti, nel celebrare adorano la luce, segno vivo del Risorto. Come missionario ho avuto l’occasione di accompagnare comunità di migranti italiani a Londra, nel mondo anglicano e nella città di Ginevra, definita la «Roma di Calvino». Ricordo quando con due ragazze italiane siamo stati al culto nella centralissima St. Martin in the Fields a Londra e la loro viva sorpresa di vedere officiare una donna pastore in talare romana. Il sermone, poi, fu di una brevità, un’efficacia e un’ispirazione esemplari. La sorpresa più grande, alla fine, quando la donna pastore alla porta d’uscita saluta come sempre ad uno ad uno tutti i presenti. Arrivato il loro turno, sapendo che non erano anglicane ma italiane, con un sorriso inesprimibile le invitava a un caffè nel bar della cripta! Sì, distanza e prossimità, allo stesso tempo, sorprendenti. A Ginevra, invece, ci venne l’idea di invitare alla preparazione della cresima dei nostri giovani, Philippe, il pastore calvinista della parrocchia accanto. Venne con tutta la preparazione dotta della Parola di Dio, con l’esperienza di padre di famiglia di ben cinque figli e con l’amabilità sorridente del vicino di casa. Il campo da trattare era precisato, anche se sconfinato: lo Spirito Santo nella Bibbia. Quale, però, fu la nostra sorpresa nel vedere, alla fine del lungo incontro, i nostri ragazzi pronunciare disinvoltamente termini in greco o in ebraico come «pneuma», «ruah» dopo un bel percorso filologico! Ma entusiasti, soprattutto, della loro ultima scoperta: la creazione dell’uomo. Fu un bacio in bocca dato ad Adamo da Dio. È così che Dio stesso trasmise il suo soffio di vita. Evidentemente, il pastore era ricorso alla scioltezza di linguaggio dei suoi figli, ottenendo un vero e insperato successo! In altra occasione, in una celebrazione funebre, ci si era divisi i momenti con un pastore calvinista: a lui la spiegazione della Parola e il percorso di vita di un migrante italiano che conosceva, a me i gesti del rito e il loro commento simbolico (che i protestanti non contemplano). Alla fine, non posso dimenticare come la moglie stessa del pastore, raggiante, ci venne incontro per ringraziare entrambi. La complementarità dei nostri interventi pare aver dato alla celebrazione senso, interiorità, fede convinta e condivisa. Anche allora il pastore aveva fatto brillare due qualità della tradizione protestante: l’essenzialità e l’efficacia della parola. Un altro giorno, alla messa per una defunta italiana, notavo la presenza di un pastore protestante nell’assemblea. Durante il corteo verso il camposanto, allora, discretamente avvicinandomi gli chiedevo di improvvisare la preghiera al cimitero. Mi rispondeva con un’occhiata indecifrabile. Ma, poi, in quel luogo sacro che sembrava un giardino, mentre scendeva lentamente la bara nella terra, incominciava forte: «Tu ci hai fatti di terra, Signore, e alla terra noi ritorniamo…», improvvisando così una commossa preghiera finale. Con il suo linguaggio biblico ci inchiodò alla terra. Ci fece sentire tutti semplice argilla. E ci depose, allo stesso tempo, nelle palme accoglienti delle mani di Dio. Per i presenti fu un momento forte, indimenticabile, di speranza. Per me sono occasioni incredibili di fraternità con pastori protestanti, da sempre appassionati della Parola di Dio. Parola che essi hanno conosciuto, elaborato e interiorizzato non da sessant’anni come noi, ma da ben cinque secoli! Ecumenismo è costruire dei ponti, lanciare delle passerelle con quelli dell’altra riva. Sapendo che, un giorno, Dio stesso prosciugherà il mare che ci separa. Renato Zilio missionario scalabriniano a Casablanca, Marocco, autore di «Dio attende alla frontiera», EMI, 30ª ristampa 11/01/2023 MARZO 2023 | MC | 7 La nostra rivista esce solo grazie al tuo supporto. Per scelta non offriamo spazi pubblicitari a pagamento, ma l'informazione approfondita ha i suoi costi. Per questo sono vitali per noi le tue offerte, pur piccole. Da oggi puoi usare anche Satispay, inquadrando il QR code qui a lato, sia per sostenere questa rivista che per aiutare i nostri missionari sul campo. Rimangono attivi i soliti canali: CPP, bonifici bancari, PayPal (vedi pag. 83). Le offerte a MCOnlus, anche tramite Satispay, sono detraibili dalla dichiarazione dei redditi. Ricorda sempre di scrivere la causale della donazione. Grazie di cuore. Le nostre email: redazione@rivistamissioniconsolata.it / mcredazioneweb@gmail.com
FILIPPINE STAZIONI MISSIONARIE Nella diocesi di Kalookan, accanto a 32 parrocchie, vi sono 17 stazioni missionarie urbane. La diocesi sorge nella parte settentrionale dell’area metropolitana di Manila e comprende 17 città per un totale di 12 milioni di abitanti. L’iniziativa di creare «punti di luce» negli slum o nelle aree dove si vive un forte disagio economico e sociale è partita cinque anni fa ed esprime la volontà di andare verso le periferie esistenziali che la Chiesa è chiamata a incontrare, portando la buona novella dell’amore di Dio. Queste «nuove oasi di pace nel deserto metropolitano» a Kalookan sono pensate soprattutto per la gente che vive nelle vaste baraccopoli, segnate da miseria, criminalità e violenza. La Chiesa locale ha avviato il nuovo esperimento pastorale creando stazioni missionarie all’interno delle baraccopoli, dove sacerdoti e consacrati stabiliscono la propria residenza, scegliendo di condividere la propria vita con la gente di quei quartieri. Così si declinano gli scopi di quelle stazioni: costruire una comunità di discepoli missionari; essere presenza di Cristo tra la gente; essere un’ispirazione per i poveri dei più poveri, combattere droga e violenza; guarire le ferite e donare speranza ai poveri. (Fides) AMERICA LATINA REGCHAG La Repam, la Rete ecclesiale panamazzonica, è la primogenita (che ha già mostrato la sua fecondità con il Sinodo sull’Amazzonia e i successivi passi). È poi arrivata la secondogenita, la Remam (Rete ecclesiale ecologica mesoamericana e messicana), in America Centrale. Ora, ecco arrivare la terzogenita, la Regchag (Red Eclesial Gran Chaco y Acuífero Guaraní). Sono le tre figlie della Laudato si’ nel continente latinoamericano, reti ecclesiali che hanno messo al centro della loro azione, nell’apertura e dialogo con le popolazioni originarie, la custodia del creato e la promozione dell’ecologia integrale. Il Gran Chaco è la più vasta zona boscosa (a macchia e savana) del Sudamerica dopo l’Amazzonia, tra Brasile, Paraguay, Bolivia e Argentina. Il cosiddetto Acuífero Guaraní è la terza riserva d’acqua dolce del mondo, dà origine ai grandi fiumi Paraná, Paraguay e Uruguay e si trova tra Brasile, Paraguay, Uruguay e Argentina. Regioni dall’ecosistema inestimabile, abitate da varie popolazioni indigene e in particolare dal popolo Guaraní, oggi sempre più minacciate da inquinamento delle falde, monocolture, deforestazione, incendi, attività illecite. L’assemblea costitutiva della Regchacg si è tenuta ad Asunción, capitale del Paraguay, il 28 e 29 novembre 2022. L’obiettivo principale è quello di concretizzare in queste regioni quanto è previsto nella Laudato si’: promuovere l’ecologia integrale e la cura della casa comune. (Sir) VATICANO MISSIONARI UCCISI NEL 2022 Nell’anno 2022 sono stati uccisi nel mondo 18 missionari e missionarie: 12 sacerdoti, 1 religioso, 3 religiose, 1 seminarista, 1 laico. La ripartizione continentale evidenzia che il numero più elevato si registra in Africa, dove sono stati uccisi 9 missionari (7 sacerdoti, 2 religiose), seguita dall’America Latina, con 8 missionari uccisi (4 sacerdoti, 1 religioso, 1 religiosa, 1 seminarista, 1 laico) e quindi dall’Asia, dove è stato ucciso 1 sacerdote. Le poche notizie sulla vita e sulle circostanze che hanno causato la morte violenta di questi 18 missionari e missionarie ci offrono immagini di vita quotidiana, anche se in contesti particolarmente difficili, contrassegnati dalla violenza, dalla miseria, dalla mancanza di giustizia e di rispetto per la vita umana. Spesso hanno condiviso la stessa sorte dei missionari anche altre persone che erano con loro. Sacerdoti uccisi mentre stavano andando a celebrare la Messa con la comunità che guidavano. Una religiosa medico uccisa mentre era di guardia al centro sanitario della diocesi, pronta a salvare la vita di altre persone. Una suora uccisa durante un assalto alla missione. Ancora un laico, operatore pastorale, ucciso mentre andava verso la chiesa, a guidare una liturgia della Parola per i fedeli di quella zona, che non avevano un sacerdote residente. Testimoni e missionari della vita, con la loro vita, che hanno offerto fino alla fine, totalmente, gratuitamente, per gratitudine. (Fides) a cura di SERGIO FRASSETTO LA CHIESA NEL MONDO | MC | MARZO 2023 8 Filippine: la processione del «Nazareno nero», espressione di religiosità popolare che ha luogo il 9 di gennaio a Manila.
NIGERIA RAPIMENTI Il rapimento e, in alcuni casi, l’uccisione di sacerdoti e religiosi da parte dei diversi gruppi criminali ha reso la situazione dei cristiani precaria. La percentuale è in aumento rispetto all’anno precedente. Nel 2022 sono stati registrati più di 20 episodi di rapimento e uccisione di sacerdoti in Nigeria. L’ultimo episodio è avvenuto il 15 gennaio di quest’anno quando un gruppo armato ha assaltato la residenza parrocchiale di Kaffin Koro, nella Nigeria centro settentrionale, e ha bruciato vivo il parroco, padre Isaac Achi. Questi attacchi a sacerdoti e religiosi sono opera di diversi gruppi che agiscono per motivi diversi. I gruppi Iswap/Boko Haram tentano di imporre l’Islam e la Sharia a tutte le comunità in Nigeria e i loro attacchi servono come mezzo per allontanare i cristiani dalla Chiesa e costringerli ad abbandonare la pratica della fede. Altri episodi di rapimento e uccisione di sacerdoti sono compiuti da gruppi di pastori fulani, banditi nel Nord e nel Sud che si dedicano ai sequestri a scopo d’estorsione. In questo caso, rapiscono sia cristiani che musulmani o religiosi tradizionali africani. La ricerca di denaro è alla base della maggior parte delle attività di questi gruppi delinquenziali che, spesso, operano come mercenari al servizio di politicanti nigeriani. (Fides) COLOMBIA NELL’INFERNO DEL DARIEN Nel mese di novembre una delegazione di vescovi venezuelani e colombiani si è recata in visita alla frontiera tra Colombia e Panama, luogo di transito di migliaia di migranti irregolari, in continuo aumento, che cercano di attraversare la pericolosa selva del Darién per cercare di entrare negli Stati Uniti. Nel 2022 è stato registrato un record di passaggi, oltre 200mila tra gennaio e ottobre, in maggioranza migranti venezuelani. I vescovi sono andati alle porte del Darién per capire quali sono i meccanismi ingiusti dietro al viaggio di queste persone, per ascoltarli e prendere decisioni su come strutturare un migliore servizio da parte della Chiesa. Gli Stati Uniti, di recente, hanno messo delle restrizioni perché c’è un enorme afflusso di migranti venezuelani, oltre a quelli di altri paesi centroamericani. I «coyotes» li guidano nei sentieri e li aiutano a passare la frontiera in cambio di denaro, con cifre che variano dai 3mila ai 5mila dollari, a seconda della tratta. È una situazione di grande ingiustizia, perché la giungla è piena di pericoli e se qualcuno muore lo lasciano lì. La Chiesa con la rete Caritas e le Chiese locali in ogni paese apre «casas de paso», case di passaggio per i migranti in transito, dove possono mangiare, dormire, lavarsi, avere cure mediche, aiuto per i documenti e altri servizi. La rete Caritas è sempre presente e fornisce aiuti umanitari senza clamore. (Sir) Mongolia: Madre del cielo AA Darhan piccola città nel Nord della Mongolia, in Asia orientale, una povera donna, madre di undici figli, cercava tra i rifiuti dell’immensa discarica cittadina qualcosa da mettere sotto i denti per sé e per la sua numerosa famiglia e qualcosa da poter rivendere chissà dove. Nella discarica, un giorno un camion ribalta la spazzatura e ai piedi della povera donna si posa un oggetto avvolto in un panno. La donna, stupita, lo afferra e vi scopre una statua di legno ben intagliato, con le fattezze di una bella signora. È la Vergine Immacolata. Lei non è cristiana e l’unico suo approccio alla fede era stato, qualche tempo prima, con alcune suore di Madre Teresa che le hanno parlato della Madonna e insegnato l’Ave Maria. Così, una volta compreso chi fosse quella bella signora, porta la statua alla piccola comunità cattolica che la espone nella parrocchia locale. Tutto questo accadde alcuni anni fa. Solo di recente, per l’esattezza lo scorso anno, la storia riprende a camminare: le suore la raccontano al cardinale Giorgio Marengo, missionario della Consolata e prefetto apostolico di Ulaanbaatar, che ne rimane estremamente colpito. «Ho subito pensato che la Vergine, attraverso questo ritrovamento, volesse dirci qualche cosa», afferma Marengo e, nel tempo, matura la convinzione che la statua di Maria ritrovata nella spazzatura simboleggi l’atteggiamento della Vergine «sempre pronta a incontrarci anche nei luoghi di disperazione, di scarto, di dolore, di abbandono. Della statua - rivela - ne ho parlato anche con il Santo Padre e, dietro suo suggerimento, l’abbiamo chiamata “Madre del cielo”, pensando al cielo che per i mongoli è simbolo di Dio». L’epilogo della storia si è celebrato l’8 dicembre scorso, solennità dell’Immacolata Concezione, quando il cardinale Marengo ha consacrato l’intera Mongolia a Maria «Madre del cielo». (Osservatore Romano) MARZO 2023 | MC | 9 Nigeria: padre Isaac Achi arso vivo da un gruppo armato che ha assaltato la sua parrocchia. Mongolia: la statua della Madonna trovata in una discarica e dichiarata patrona della Mongolia con il titolo di «Madre del cielo».
Semalka (confine Kurdistan iracheno-Siria), 10 novembre 2022. Entrare in Rojava non è semplice per uno straniero. Riesco a varcare il confine, con il visto giornalistico, dopo circa due mesi di iter burocratico. L’unico accesso al Nord Est della Siria è via terra, dal Kurdistan iracheno attraverso Semalka, valico aperto tre giorni a settimana. I controlli di sicurezza durano ore, sei nel mio caso. Attraverso la frontiera insieme ad altre poche decine di persone. Alcuni tornano a casa dopo essere stati, per motivi di salute, a Erbil, città curda con ospedali più moderni ed equipaggiati. Sono migliaia invece le persone in uscita, chi ne ha la possibilità prova a fuggire per cercare un futuro migliore. Sono diretto a Qamishle (anche Qamishlo, ndr) una delle città principali del Nord Est della Siria e, per la sua posizione, un ottimo luogo come base logistica. A parte questo, le città del Rojava non hanno molto da offrire, quasi tutto sembra in uno stato di semi abbandono: case distrutte e mai ricostruite, cantieri di palazzi iniziati e mai terminati. Molte delle strade, fatta eccezione per alcune costruite con l’aiuto di Ong straniere, somigliano a sentieri sterrati. Piove I curdi del Nord Est della Siria sono stati fondamentali per fermare gli estremisti dello Stato islamico (Isis-Daesh). Dimenticato il loro contributo, oggi sono in balia dei vicini, la Siria di Assad e l’ambigua Turchia di Erdogan. molto al mio arrivo. Il maltempo ha tenuto alla larga per qualche giorno i droni della Turchia, ma ha riversato terra e fango sulle strade, rendendo ancora più difficile ogni spostamento. Tutte le città sono divise in quartieri, alcuni dei quali ancora sotto il controllo del regime di Assad. Il medico «terrorista» Per poter comprendere meglio quello che accade, visito il centro di riabilitazione della Mezzaluna rossa di Qamishle. Nella struttura vengono curati centinaia di pazienti feriti dai bombardamenti, dagli attentati e dalle decine di mine antiuomo | MC | MARZO 2023 10 testo e foto di ANGELO CALIANNO SIRIA REPORTAGE DAL ROJAVA, LO «STATO» DEI CURDI SIRIANI / 1 Accerchiati e bombardati
lasciate dall’Isis, prima della sua ritirata. È qui che incontro il dottor Adnan Malla Ali, direttore del centro e medico degli sfollati interni (Internally displaced persons, Idp) che, in più di 300mila, dovettero fuggire da Afrin durante l’invasione turca del gennaio 2018. «Non potrò mai dimenticare - racconta il medico - il giorno dell’attacco. Erano le 4 di pomeriggio, stavo curando dei bambini. Sentii il rumore dei razzi. All’inizio pensai fossero solo delle esplosioni isolate, la Turchia ha sempre attaccato le nostre città, come a “ricordarci” della sua presenza. Ma quel giorno è stato diverso. Gli aerei turchi hanno sganciato ben 72 bombe». Perché la Turchia ha invaso proprio Afrin?, gli chiedo. «I fattori sono diversi: la vicinanza con il loro confine prima di tutto. Afrin poi, è anche la zona più verde di tutta questa regione, famosa anche per la qualità del suo olio d’oliva, forse il migliore di tutto il Medio Oriente. Ma a parte questo, è un’affermazione di potere. Erdogan ha manie di espansione e considera tutti i curdi dei terroristi. Io stesso sono annoverato nelle “liste nere” come terrorista, semplicemente perché, da medico, ho curato dei combattenti delle milizie curde». Oltre a quanto affermato dal medico, molto dell’interesse nel Rojava deriva dalle sue risorse. Qui, infatti, si trova l’80% del petrolio di tutta la Siria. Il Rojava, però, non possiede raffinerie, infrastrutture che si trovano tutte nel territorio sotto il regime di Assad. Nonostante le sue risorse e il suo ruolo chiave nella lotta al terrorismo, il Rojava oggi versa in uno stato di estrema povertà. Materie prime, forniture ospedaliere, medicine e qualsiasi prodotto inviato dall’estero non possono arrivare direttamente qui (almeno legalmente), tutto deve passare da Damasco. La logistica è sempre complicata, perché il regime di Assad non ha mai riconosciuto ufficialmente l’indipendenza di questo stato. L’unico canale di accesso è il Kurdistan iracheno, via però tutt’altro che semplice a causa di una grande mancanza di strade e un grave problema di sicurezza. Inoltre, le città del Nord Est della Siria hanno pagato e pagano ancora un prezzo altissimo per la guerra contro l’Isis. Interi quartieri nelle città di Kobane e Raqqa sono in rovina, distrutti dai bombardamenti americani alcuni, e fatti saltare in aria dagli uomini di Daesh altri. Il campo di Al-Hol E poi c’è l’onnipresente Turchia. L’operazione «Claw-Sword» (riquadro a pag.14) non è terminata con gli eventi del 19 novembre 2022. La sera del 23 novembre, infatti, alle 19.30, un nuovo attacco di droni ha colpito il campo di rifugiati di AlHol, uccidendo otto militari che lo sorvegliavano. Vi arrivo qualche giorno dopo il bombardamento. Al-Hol è un campo di detenzione dove si trovano famiglie dei membri più radicali dell’Isis. Le persone al suo interno, ufficialmente, non sono accusate di nulla, ma per le forze di sicurezza curde sono potenziali terroristi. All’interno è impossibile vedere il volto di una donna adulta senza il burqa, MARZO 2023 | MC | 11 “ Nel campo di Al-Hol ci sono le famiglie dei membri dell’Isis. A sinistra: abitanti della zona si spostano lungo il fiume Putumayo che funge da confine tra Colombia, Perù ed Ecuador. | A destra: mappa con Puerto Leguízamo, il Putumayo e la triplice frontiera. A sinistra: camionetta ad Al-Hol; a causa del nuovo allarme terrorismo, solo ai mezzi che trasportano viveri è permesso entrare e uscire dal campo. | A destra: il dottor Adnan Malla Ali, direttore del Centro di riabilitazione della Mezzaluna rossa; profugo interno, è considerato dalla Turchia un terrorista. | Qui sotto: uno scorcio del bazar di Qamishle; nonostante i pericoli incombenti, la vita non si ferma.
Il Rojava e i curdi LA LOTTA PER UNO STATO INDIPENDENTE Il Rojava è uno stato, autoproclamatosi indipendente, che comprende i territori del Nord Est della Siria. In lingua curda, la parola Rojava sta a identificare il luogo dove tramonta il sole: l’Ovest. Non essendo ufficialmente riconosciuto da nessuna nazione, a parte il Kurdistan iracheno, nei documenti ufficiali ci si riferisce a quest’area geografica come: Siria del Nord Est o Kurdistan dell’Ovest. Gli storici fanno risalire la lotta curda per una propria patria al 1916 con L’ACCORDO SYKES-PICOT, conosciuto anche come accordo sull’Asia minore. Questa trattativa stipulava un’intesa segreta fra l’Inghilterra, rappresentata da Mark Sykes, e la Francia, rappresentata da Georges Picot, con l’assenso della Russia zarista. L’accordo ridefiniva confini e controllo dei territori dopo la caduta dell’Impero Ottomano. Il piano Sykes-Picot lasciava i curdi senza una propria nazione, divisi in un territorio frammentato tra TURCHIA, SIRIA, IRAQ E IRAN. La prima forma di governo in Rojava arriva nel 2012 quando le milizie curde prendono il controllo di alcune delle principali città istituendo il Dfns (Democratic federation of north-eastern Syria). La nascita ufficiale dello stato e la sua dichiarazione di indipendenza avviene nel 2016. Oggi il Rojava è amministrato dall’Aanes (Autonomous administration of North and East Syria), una coalizione politica formata da: Sdc (Syrian democratic council), e dall’Sdf (Syrian democratic forces). Quest’ultimo gruppo racchiude, in un unico corpo militare, milizie curde e ribelli di diverse etnie e credi religiosi. L’esperimento democratico in Rojava è stato oggetto di studio di centinaia di attivisti e ricercatori di tutto il mondo. La sua «Carta del contratto sociale» (una sorta di Costituzione provvisoria) prende ispirazione dall’ideologia del PKK (Partito dei lavoratori del Kurdistan), e dalla filosofia del suo leader Abdullah Ocalan che, nel 1978, fondò il partito di stampo marxista leninista. L’idea di base del Pkk e di Ocalan è quella di un decentramento del potere denominato: «Confederalismo democratico». I punti fondamentali sono: uguaglianza e pari rappresentanza per ognuna delle religioni ed etnie presenti nello stato; istruzione gratuita e accessibile per tutti; assoluta parità nei ruoli tra uomini e donne. Detto questo, Ankara considera il Pkk, e chiunque gli sia collegato, come un gruppo terroristico. Da 22 anni, Ocalan è incarcerato nell’isola prigione di İmralı a Bursa, in Turchia, dove sta scontando l’ergastolo. Le continue migrazioni, lo spostamento dei confini e le migliaia di profughi interni, rendono difficile una stima del numero degli abitanti in Rojava. ’ultima statistica risale al 2021 e contava 4 MILIONI E 500 MILA ABITANTI. Il 60% della popolazione è di etnia curda anche se, dopo l’annessione delle città di Manjin, Deir ez Zor e Raqqa, riconquistate dopo essere state sotto il controllo dell’Isis, la proporzione della popolazione araba ha quasi eguagliato quella curda. Le altre MINORANZE sono rappresentate da: Yazidi, Turkmeni, e Cristiani (divisi tra Siriaci, Assiri, Armeni, Greco ortodossi). Prima della guerra contro l’Isis, i cristiani erano 150mila, ora una stima approssimativa ne conta 55mila. Gli abitanti del Rojava si considerano in guerra con la Turchia, anche se nessuna comunità internazionale riconosce questo conflitto. Un’inchiesta della Bbc, effettuata tra il 2016 e oggi, ha contato più di duecento «incidenti di confine», azioni in cui la Turchia, con diversi pretesti, ha attaccato e provato a invadere il Nord Est della Siria. Angelo Calianno | MC | MARZO 2023 12 SIRIA
molte hanno anche gli occhi coperti da un velo. Lo spazio, dove sorge questa enorme tendopoli, è circondato da pali e reti metalliche. Ci sono diversi check point, guardie e veicoli blindati a presenziare ogni accesso. Ad accogliermi c’è Gihan, una giovane donna curda che si occupa della gestione del campo: «Qui vivono circa 53mila persone, l’80% sono donne, bambini e bambine fino ad un massimo di 12 anni. Il resto sono anziani e alcuni uomini adulti “Idp” (sfollati interni), che hanno perso la casa durante i vari conflitti. Il campo è diviso in diverse zone, quello dove ci sono gli Idp appunto, poi un’ulteriore divisione viene fatta per nazioni: c’è un settore dove si trovano solo iracheni e siriani. Un altro ancora raccoglie gli stranieri che arrivano da oltre 50 nazioni diverse, la maggior parte da Egitto, Tunisia e Kuwait». Chiedo a Gihan se può spiegarmi cosa è accaduto la sera del 23 novembre, quando la Turchia ha lanciato l’attacco. Qual era il loro scopo? Perché attaccare voi? La donna racconta: «Erano le 19.30 quando abbiamo sentito due forti esplosioni. Abbiamo in seguito capito che erano state delle bombe sganciate da droni. Ci sono state diverse ore di panico ma l’attacco è stato ben mirato: ha colpito e ucciso otto delle nostre guardie. Le bombe non sono cadute nel campo ma bensì fuori dalle reti di protezione per colpire noi, le forze di sicurezza curde. Lo scopo, che la Turchia cerca di raggiungere da tempo, è quello di creare caos e destabilizzare il governo di Rojava. Uno dei metodi più usati è quello di colpire luoghi come il nostro in modo che potenziali terroristi possano scappare e riunirsi alle cellule di Daesh operanti così da organizzare nuovi attentati. Qui, fortunatamente, siamo riusciti a riprendere chi cercava di fuggire. In un altro campo invece, nella città di Al-Hassakah, dopo i bombardamenti ci sono state diverse evasioni. Se usiamo le nostre risorse per continuare a combattere l’Isis e riprendere chi scappa, saremo più deboli nel momento in cui la Turchia dovesse invaderci. Questo sembra essere il loro piano». Chiedo: «Pensa che, all’interno dei campi come questo, ci siano davvero molti potenziali terroristi?». «Assolutamente sì - risponde sicura -. Lo sappiamo noi, lo sa la Turchia, lo sanno le forze di coalizione. Posso fare molti esempi a riguardo. Qualche giorno fa, nel settore degli egiziani, sono state trovate due MARZO 2023 | MC | 13 A sinistra: una donna - come tutte, completamente velata - lamenta la propria condizione di vita all’interno del campo di Al-Hol. | Qui sotto: alcuni quartieri di Raqqa; nonostante gli edifici siano semidistrutti e pericolanti, molte famiglie sono tornate a occuparli. Mentre andiamo in stampa arrivano le notizie del terribile terremoto che ha colpito la Turchia e la Siria, coinvolgendo anche le zone menzionate in questo reportage. Ne scriveremo più a fondo nella seconda parte, nel prossimo numero di MC.
ragazzine morte, due sorelle assassinate. Abbiamo allora fatto una perquisizione e, nelle tende, abbiamo trovato centinaia di armi, soprattutto Kalashnikov e Rpg (entrambi di produzione russa, ndr). C’era un arsenale sufficiente a cominciare una nuova guerra. All’interno del campo abbiamo scuole e anche 20 ambulatori. In uno di questi uno dei nostri dottori ha curato la gamba di un ragazzino, per mesi. Il bambino di sette anni era stato colpito da alcune schegge di granata. Alla fine della cura, il bambino ha detto al medico: “Quando sarò grande, uscirò da qui e ti ucciderò. Lo farò velocemente, tagliandoti la testa per non farti soffrire perché, mi hai curato, ma sei pur sempre un infedele”. Noi operatori, molto spesso, abbiamo paura perché il campo è enorme e gli eventi sono imprevedibili. Il prossimo passo per la sicurezza sarà un’ulteriore divisione dei settori, in modo da poter avere più controllo. Benché la maggior parte dei residenti siano donne e bambine, ogni anno nel campo ci sono circa sessanta nuove nascite». «Allah Akbar» Lasciato l’ufficio di Gihan, comincio a camminare per le stradine fangose della tendopoli, mi rendo subito conto dei problemi | MC | MARZO 2023 14 Il 19 novembre 2022 la Turchia ha lanciato l’operazione ClawSword (spada-artiglio), una serie di bombardamenti aerei che hanno attaccato il Nord Est della Siria, la regione a maggioranza curda conosciuta come Rojava (*). L’offensiva ha colpito diversi obiettivi nelle città di KOBANE, RAQQA, ALHASSAKAH, AL- MALIKIYAH E DARBASIYA. I portavoce dello Stato maggiore turco hanno dichiarato di aver centrato solo bersagli militari e potenziali terroristi. In realtà, ci sono state anche diverse vittime civili, tra cui IssamAbdullah, giornalista siriano ucciso durante un raid aereo mentre intervistava dei contadini nelle zone rurali di Al-Malikiyah. L’operazione Claw-Sword è nata come risposta all’attentato di Istanbul del 13 novembre 2022 quando, su Istiklal street, una delle principali vie dello shopping della capitale, una forte esplosione ha ucciso 6 persone e ferito altre 81. Il giorno dopo veniva arrestata una donna di origine siriana, AhlamAlbashir, accusata di essere l’esecutrice materiale dell’attentato. I primi comunicati stampa da parte del governo turco hanno affermato che la donna è stata addestrata dalle milizie curde dell’Ypg (unità di protezione popolare curda), e che l’attentato sarebbe stato ordinato dal Pkk (Partito del lavoratori). Il ministro dell’interno turco Suleyman Soylu, a seguito del messaggio di cordoglio da parte degli Stati Uniti, ha dichiarato: «Rifiutiamo le condoglianze da parte degli Usa. Sono nostri alleati ma, nello stesso momento, finanziano organizzazioni terroristiche curde che minacciano la nostra libertà». Cosa accade ora in Rojava dopo l’offensiva turca? Ci sono davvero le milizie curde dietro l’attentato a Istanbul? Ad oggi non si hanno più notizie di cosa sia accaduto alla sospettata, AhlamAlbashir. Nessuna novità riguardante le sue dichiarazioni o quelle degli altri 46 arrestati. Sia il Pkk che l’Ypg negano con forza qualsiasi coinvolgimento, accusando Erdogan di aver strumentalizzato la tragedia, usandola come ennesima scusa per attaccare e invadere il Rojava. Non è la prima volta, infatti, che la Turchia lancia offensive verso questa parte della Siria. Anzi, queste sono state una costante sin dalla nascita di questo stato. Uno degli attacchi più cruenti, poi seguiti da un’invasione e occupazione da parte dei Turchi, è avvenuto nel 2018 per l’importante città di AFRIN. Durante quell’anno, le milizie curde dell’Ypg si rendevano protagoniste nella guerra contro l’Isis, sconfiggendo decine di cellule terroristiche e costringendo gli uomini dello Stato islamico a fuggire dai principali centri abitati. Subito dopo queste vittorie, la Turchia attaccava e invadeva Afrin, considerato luogo di nascita e attuale centro dei movimenti politici curdi. Questa operazione, denominata Olive Branch (Ramoscello d’ulivo), fu eseguita anche con il supporto economico dell’amministrazione Trump. Gli STATI UNITI hanno un ruolo molto ambiguo nel Nord Est della Siria, essendo da una parte al fianco dei curdi nella coalizione anti Isis, dall’altra alleati strategici della Turchia. An.Ca. (*) La regione è stata interessata dal devastante terremoto dello scorso 5-6 febbraio. In particolare, è stata colpito il centro di Afrin, oggi in mano turca. I giochi politici della Turchia LA GUERRA DI ERDOGAN AI CURDI Qui: una delle «strade» principali del campo di Al-Hol, nel settore di siriani e iracheni; ai lati, alcune delle tende in cui vivono migliaia di persone. | In alto: una bambina durante una seduta di riabilitazione nel centro della Mezzaluna rossa, a Qamishle; questo e altri centri lamentano carenza di mezzi (anche perché molte Ong straniere hanno lasciato il Rojava per l’Ucraina). SIRIA
di sicurezza di cui mi parlava la manager. All’ingresso del settore egiziano e tunisino, io e il mio interprete siamo bersagli di una sassaiola. Il lancio di pietre comincia prima da alcuni ragazzini a cui, man mano, se ne aggiungono altri e in seguito anche donne. Molti urlano: «Allah Akbar» (Dio è grande), esclamazione spesso usata prima degli attentati. Siamo costretti a lasciare questo primo settore. Entrando nella zona a maggioranza irachena e siriana, l’accoglienza è molto diversa. Vengo accerchiato da tantissime donne, non vogliono darmi il proprio nome ma vogliono descrivermi le condizioni in cui vivono. Una signora, nella parte del campo destinata al mercato, MARZO 2023 | MC | 15 mi racconta: «I nostri mariti sono in galera ma noi non abbiamo fatto nulla. Siamo rinchiuse qui a crescere i nostri figli, senza soldi né risorse. È vero, il cibo è gratis ma è poco, non basta praticamente mai. Manca tutto, sono tre giorni che siamo senza corrente e per quattro siamo stati senz’acqua. Non c’è il diesel per il riscaldamento e nelle tende si muore dal freddo. Veniamo trattate come criminali. Alcuni militari mi hanno anche rubato i soldi». I racconti di chi gestisce il campo, e di chi ci vive, sono tra loro estremamente contrastanti. In questo clima, è molto difficile capire chi, tra le persone rinchiuse qui, sia innocente e chi un potenziale pericolo. Incertezze e pericoli I bombardamenti degli ultimi mesi sono solo l’ultimo capitolo di una regione che non trova pace. Nella conferenza stampa del 30 novembre, il generale Abid Mazloum, comandante dell’Sdf (Syrian democratic force) ha dichiarato: «In caso di invasione da parte della Turchia saremo pronti a combattere e combatteremo. Quello che però gli stati occidentali devono capire è che, se saremo impegnati in una guerra contro la Turchia, non potremo usare le nostre risorse per continuare a combattere l’Isis e mantenere quello stato di sicurezza garantito fino ad ora. Una nuova guerra, inoltre, significherà migliaia di nuovi profughi che scapperanno dai luoghi in conflitto e quindi, una nuova emergenza umanitaria. Una guerra in Rojava non riguarderà solo il Rojava, ma sarà un problema anche per tutti quegli stati che hanno interessi in Medioriente». Nel 2018, dopo le molte battaglie vinte contro l’Isis, i media occidentali osannavano le milizie curde. Si guardava al Rojava come un grande esempio di democrazia e convivenza tra religioni. Il Nord Est della Siria oggi è circondato dai suoi nemici: da una parte le forze ostili del regime di Assad, dall’altra le numerose cellule dell’Isis ancora attive. A tutto questo, si aggiunge la Turchia con i suoi raid aerei e una lotta senza sosta contro l’etnia curda. Erdogan continua a mantenere le proprie truppe vicine al confine, pronte per un’invasione via terra. Nonostante Onu e Usa abbiano condannato gli attacchi contro il Rojava, nessun passo concreto è stato fatto per scongiurare quello che potrebbe essere un nuovo, sanguinoso conflitto in quest’angolo di Medio Oriente. Angelo Calianno (1- continua) “ Il Rojava è una regione chiave del Medio Oriente.
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