Missioni Consolata - Dicembre 2022

ossier 46 sistenza i gruppi maggiori sono gli Yup’ik (34mila), gli Iñupiaq (20.800) e i Tlingit (14mila). Le comunità native più isolate, quelle non raggiungibili via strada (chiamate «bush communities»), vivono ancora oggi della pesca (salmone e halibut, soprattutto) e della caccia di animali selvatici (renne-caribou e alci-moose, in primis). Mary Peltola: «I am pro fish» Per i popoli indigeni dell’Alaska una buona notizia è arrivata lo scorso agosto (e ribadita l’8 novembre nelle elezioni di mid term) con l’entrata di una loro rappresentante nel Congresso degli Stati Uniti. Lei - Mary Peltola, democratica di etnia Yup’ik - è la prima nativa alaskana eletta deputata a Washington. Nata a Bethel, sul fiume Kuskokwim, cinquanta anni fa, la donna è un avvocato e una politica specializzata nella difesa della pesca in Alaska. Tanto che, sul suo sito, lei dichiara: «I am pro fish» (Sono a favore del pesce) e «Fighting for our fish is critical to preserving our Alaska way of life» (Lottare per il nostro pesce è fondamentale per preservare il nostro stile di vita alaskano). Non sono affermazioni esagerate. In effetti, la pesca - quella del salmone, in particolare - è un’attività vitale per le popolazioni autoctone. La stessa Peltola racconta di aver iniziato a pescare con il padre all’età di sei anni. Oggi la pesca è un’attività in grave rischio, soprattutto la pesca del salmone, il pesce più pregiato e richiesto. Nella loro migrazione fiume-oceano-fiume, i salmoni tornano indietro in numero sempre minore. Tra le possibili cause vengono annoverati i cambiamenti climatici, l’acidificazione degli oceani e i troppi pescherecci stranieri. Per i molti nativi che ancora vivono di questa attività il problema è diventato una questione di sopravvivenza. Paolo Moiola © Mary Peltola - Kyuk.org © photo exposed at Anchorage Museum © Roy Corral - Anchorage Museum

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